Si celebra oggi la giornata internazionale contro la tortura. Una data significativa, che tenta di far luce su di un fenomeno ancora diffusissimo (sono oltre 100 gli Stati che secondo Amnesty International ricorrono alla tortura e il numero delle vittime è incalcolabile) e tuttavia non sufficientemente contrastato.
In Italia, ad esempio, manca ancora una legge che incrimini il reato di tortura. 24 anni dopo aver aderito alla Convenzione Onu contro la tortura del 1984, l’Italia ancora non l’ha attuata. Di conseguenza stiamo violando gli obblighi internazionali assunti ratificando questo trattato, che impongono agli Stati di dotarsi di specifiche disposizioni per incriminare la tortura. Obblighi analoghi discendono inoltre dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e dallo Statuto della Corte Penale Internazionale (anche questo mai attuato).
La Convenzione considera tortura qualsiasi atto commesso da un pubblico ufficiale con il quale si infliggano intenzionalmente ad una persona dolore e sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine di ottenere informazioni, di punirla, intimorirla o a fini discriminatori.
La tortura non è solo quella fisica. Come scriveva Antonio Cassese, che fra i numerosi incarichi che rivestí fu anche presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura: “Nella tortura una persona compie volontariamente contro un’altra atti che non solo feriscono quest’ultima nel corpo o nell’anima, ma ne offendono la dignità umana. Nella tortura c’è insomma l’intenzione di umiliare, offendere e degradare l’altro, di ridurlo a cosa.”
Mi ero già occupata della questione anni fa, nella medesima occasione, con un articolo apparso sull’Unità del 26 giugno 2009; sono andata a rileggermelo e mi ha fatto impressione rendermi conto che in Italia passano gli anni, cambiano i governi, ma per certe cose nulla cambia. Scrivevo allora:
“Da più di vent’anni i diversi governi italiani hanno messo in piedi commissioni, investito forze e denaro in progetti mai approdati a nulla. Nel corso della XIV legislatura (cioè dal 2001 al 2006) i progetti di legge presentati in Parlamento sono stati ben sette: quattro alla Camera e tre al Senato. Nella precedente legislatura (1996-2001) si era arrivati a un passo dal concludere l’iter parlamentare. Il disegno di legge n. 1216, approvato alla Camera il 13 dicembre 2006, introduceva il delitto di tortura nel codice penale (art. 613 bis), punendolo con la reclusione da tre a dodici anni….”
Oggi, 26 giugno 2012, siamo esattamente nella stessa situazione. Da mesi la commissione giustizia del Senato sta esaminando un ennesimo disegno di legge volto a introdurre uno specifico reato di tortura nel nostro ordinamento; secondo le dichiarazioni del presidente della commissione, saremmo di nuovo ad un passo dalla soluzione. Il condizionale è d’obbligo.
E comunque il reato formalmente non c’è, ma la tortura c’è, eccome, anche in Italia.
Si pensi ai fatti della Diaz e di Bolzaneto del luglio 2001 (oggetto del recente film Diaz), che torture erano ma che non sono stati puniti adeguatamente come conseguenza di leggi – per l’appunto – inadeguate che hanno permesso che i crimini si prescrivessero troppo velocemente. I ricorsi presentati dagli avvocati delle vittime (i manifestanti brutalmente picchiati dai poliziotti) sono pendenti davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e probabilmente porteranno ad una condanna dell’Italia in sede internazionale per mancata prevenzione della tortura.
L’Italia inoltre non ha un meccanismo nazionale interno di monitoraggio delle carceri e degli altri luoghi di privazione della libertà. E questo è particolarmente grave alla luce della disastrosa situazione delle carceri italiane, sovraffollate e spesso teatro di abusi e violenze. Come ben spiega Mario Palma, presidente del Comitato per la prevenzione della tortura, l’Italia non ha infatti ratificato il protocollo opzionale delle Nazioni Unite in materia di tortura (Opcat), che dovrebbe portare alla creazione di un Garante dei diritti dei detenuti.
Punire adeguatamente il crimine di tortura è il frutto di decenni di battaglie per la tutela dei diritti umani e una conquista di tutte le democrazie più avanzate; questa carenza non si comprende e non è degna di una avanzata tradizione giuridica come quella italiana.
Chantal Meloni
Giurista, studiosa di diritto penale internazionale
Diritti - 26 Giugno 2012
L’Italia non (ri)conosce la tortura
Si celebra oggi la giornata internazionale contro la tortura. Una data significativa, che tenta di far luce su di un fenomeno ancora diffusissimo (sono oltre 100 gli Stati che secondo Amnesty International ricorrono alla tortura e il numero delle vittime è incalcolabile) e tuttavia non sufficientemente contrastato.
In Italia, ad esempio, manca ancora una legge che incrimini il reato di tortura. 24 anni dopo aver aderito alla Convenzione Onu contro la tortura del 1984, l’Italia ancora non l’ha attuata. Di conseguenza stiamo violando gli obblighi internazionali assunti ratificando questo trattato, che impongono agli Stati di dotarsi di specifiche disposizioni per incriminare la tortura. Obblighi analoghi discendono inoltre dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e dallo Statuto della Corte Penale Internazionale (anche questo mai attuato).
La Convenzione considera tortura qualsiasi atto commesso da un pubblico ufficiale con il quale si infliggano intenzionalmente ad una persona dolore e sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine di ottenere informazioni, di punirla, intimorirla o a fini discriminatori.
La tortura non è solo quella fisica. Come scriveva Antonio Cassese, che fra i numerosi incarichi che rivestí fu anche presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura: “Nella tortura una persona compie volontariamente contro un’altra atti che non solo feriscono quest’ultima nel corpo o nell’anima, ma ne offendono la dignità umana. Nella tortura c’è insomma l’intenzione di umiliare, offendere e degradare l’altro, di ridurlo a cosa.”
Mi ero già occupata della questione anni fa, nella medesima occasione, con un articolo apparso sull’Unità del 26 giugno 2009; sono andata a rileggermelo e mi ha fatto impressione rendermi conto che in Italia passano gli anni, cambiano i governi, ma per certe cose nulla cambia. Scrivevo allora:
“Da più di vent’anni i diversi governi italiani hanno messo in piedi commissioni, investito forze e denaro in progetti mai approdati a nulla. Nel corso della XIV legislatura (cioè dal 2001 al 2006) i progetti di legge presentati in Parlamento sono stati ben sette: quattro alla Camera e tre al Senato. Nella precedente legislatura (1996-2001) si era arrivati a un passo dal concludere l’iter parlamentare. Il disegno di legge n. 1216, approvato alla Camera il 13 dicembre 2006, introduceva il delitto di tortura nel codice penale (art. 613 bis), punendolo con la reclusione da tre a dodici anni….”
Oggi, 26 giugno 2012, siamo esattamente nella stessa situazione. Da mesi la commissione giustizia del Senato sta esaminando un ennesimo disegno di legge volto a introdurre uno specifico reato di tortura nel nostro ordinamento; secondo le dichiarazioni del presidente della commissione, saremmo di nuovo ad un passo dalla soluzione. Il condizionale è d’obbligo.
E comunque il reato formalmente non c’è, ma la tortura c’è, eccome, anche in Italia.
Si pensi ai fatti della Diaz e di Bolzaneto del luglio 2001 (oggetto del recente film Diaz), che torture erano ma che non sono stati puniti adeguatamente come conseguenza di leggi – per l’appunto – inadeguate che hanno permesso che i crimini si prescrivessero troppo velocemente. I ricorsi presentati dagli avvocati delle vittime (i manifestanti brutalmente picchiati dai poliziotti) sono pendenti davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e probabilmente porteranno ad una condanna dell’Italia in sede internazionale per mancata prevenzione della tortura.
L’Italia inoltre non ha un meccanismo nazionale interno di monitoraggio delle carceri e degli altri luoghi di privazione della libertà. E questo è particolarmente grave alla luce della disastrosa situazione delle carceri italiane, sovraffollate e spesso teatro di abusi e violenze. Come ben spiega Mario Palma, presidente del Comitato per la prevenzione della tortura, l’Italia non ha infatti ratificato il protocollo opzionale delle Nazioni Unite in materia di tortura (Opcat), che dovrebbe portare alla creazione di un Garante dei diritti dei detenuti.
Punire adeguatamente il crimine di tortura è il frutto di decenni di battaglie per la tutela dei diritti umani e una conquista di tutte le democrazie più avanzate; questa carenza non si comprende e non è degna di una avanzata tradizione giuridica come quella italiana.
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Mondo
A Gaza è finita la tregua: Israele attacca Hamas sulla Striscia. “Oltre 350 morti, molti bambini”. Tel Aviv: “Colpiremo fino alla restituzione di tutti gli ostaggi”
Da Il Fatto Quotidiano in Edicola
Trump-Putin, oggi la telefonata. Media: “Usa pensano a riconoscere la Crimea come russa”. Tasse e debito: corsa al riarmo dell’Est Europa
Politica
“Riarmo? Linea di Schlein sensata, non porterà più sicurezza”: la lettera degli ex big del Pd toscano
Roma, 18 mar (Adnkronos) - "Spero ci sia la volontà politica per evitare di dividerci di nuovo. Questo è un passaggio storico. Non possiamo sbagliare, è troppo importante. La politica estera e i temi della difesa europea magari non sono decisivi per il consenso elettorale, ma sono fondamentali per la costruzione della credibilità di un soggetto politico e della costruzione di un’alternativa di governo". Lo dice al Foglio Alessandro Alfieri, senatore del Pd e coordinatore di Energia popolare, a proposito della mozione del Pd sulle comunicazioni di Giorgia Meloni in vista del Consiglio Ue.
"Lavoriamo a un documento che sottolinei le criticità del piano sulle quali il governo dovrebbe negoziare con la Commissione – dalla necessità di non sbilanciare il costo del riarmo troppo sui bilanci nazionali, alla necessità di investimenti che contribuiscano a far crescere la collaborazione industriale trai i paesi europei e gli acquisti e programmi comuni tra pesi – ma che confermi comunque che questo è oggi un passaggio necessario per garantire la sicurezza dell’Europa", sottolinea il senatore dem.
Roma, 18 mar (Adnkronos) - La tregue in Ucraina "ci sarà, è inevitabile. Trump e Putin si sono spinti troppo avanti. Hanno tagliato fuori dal confronto l’Europa che rompe le scatole e ora, escludendo gli altri, hanno obbligato se stessi a portare a casa il risultato. Non possono fallire, non possono tornare alla casella di partenza". Lo dice Romano Prodi a 'Avvenire'.
Ma "la pace è un’altra cosa. È più complicata perché si tratta di definire aspetti complessi. A cominciare dai problemi territoriali. Certo di solito una tregua finisce con il rendere definitivi accordi provvisori", sottolinea l'ex presidente della commissione Ue. Sulla difesa europea, Prodi spiega: "Ora è il momento di farci il nostro ombrello. Penso a un lungo e indispensabile cammino verso la difesa comune. Penso a risorse aggiuntive che vengano progressivamente messe insieme da tutti i Paesi Ue. Penso a risorse spese in modo coordinato e unito. Se aumentiamo le spese militari senza organizzare una politica estera e una difesa comune, sono soldi buttati via".
Prodi, tra le altre cose, parla della situazione del Pd: "In Europa non esiste un Paese in cui un partito abbia la maggioranza. Ecco il tema: creare la compagnia di viaggio" e con il M5s "c’è tanta distanza. Troppa. Questo gioco della separazione quotidiana vuol dire condannarsi alla sconfitta. E invece la sfida è trovare una capacità di mediare avanzando. Servono proposte innovative. Servono proposte che emozionano. Che prendono il cuore. Perchè c’è metà del Paese che non va più a votare. E perchè i giovani non si convincono con proposte in contrasto tra loro".
(Adnkronos) - Serie di attacchi aerei di Israele nella Striscia di Gaza, ripresi nella notte su ordine di Benjamin Netanyahu, che ha ordinato "la ripresa della guerra" contro Hamas, dopo che gli sforzi per estendere il cessate il fuoco sono falliti. Il bilancio delle vittime continua a salire. Secondo il direttore del ministero della Sanità della Striscia, Mohammed Zaqout, i morti sono saliti "ad almeno 330, per la maggior parte donne e bambini palestinesi, mentre i feriti sono centinaia"
Secondo quanto appreso dall'Afp da due fonti del movimento di resistenza islamico, tra le vittime c'è anche il generale di divisione Mahmoud Abu Watfa, che era a capo del ministero dell'Interno del governo di Hamas.
L'ufficio del primo ministro Netanyahu ha dichiarato che lui e il ministro della Difesa Israel Katz hanno dato istruzioni alle Forze di Difesa Israeliane (Idf) di intraprendere “un'azione forte contro l'organizzazione terroristica di Hamas” nella Striscia di Gaza. “Questo fa seguito al ripetuto rifiuto di Hamas di rilasciare i nostri ostaggi, così come al suo rifiuto di tutte le proposte ricevute dall'inviato presidenziale statunitense Steve Witkoff e dai mediatori”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in un post su X. “Israele, d'ora in poi, agirà contro Hamas con una forza militare crescente”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in una dichiarazione riportata dal Times of Israel, aggiungendo che i piani per la ripresa delle operazioni militari sono stati approvati la scorsa settimana dalla leadership politica.
Israele continuerà a combattere a Gaza "fino a quando gli ostaggi non saranno tornati a casa e non saranno stati raggiunti tutti gli obiettivi", ha affermato Katz.
La Casa Bianca dal canto suo ha confermato che Israele ha consultato l'amministrazione americana prima di lanciare la nuova ondata di raid. "Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per estendere il cessate il fuoco, invece ha scelto il rifiuto e la guerra", ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Brian Hughes, al Times of Israel, dopo la ripresa dei raid israeliani contro la Striscia di Gaza.
Dal canto suo Hamas ha dichiarato che Netanyahu, con la sua decisione di "riprendere la guerra", "ha condannato a morte gli ostaggi" che si trovano ancora a Gaza. "Netanyahu e il suo governo estremista hanno deciso di sabotare l'accordo di cessate il fuoco - accusa il movimento in una nota - La decisione di Netanyahu di riprendere la guerra è la decisione di sacrificare i prigionieri dell'occupazione e di imporre loro la condanna a morte”. Hamas denuncia poi che il premier israeliano continua a usare la guerra a Gaza come "una scialuppa di salvataggio" per distrarre dalla crisi politica interna.
Hamas ha quindi esortato i mediatori internazionali a “ritenere l'occupazione israeliana pienamente responsabile della violazione dell'accordo” e ha sottolineato la necessità di “fermare immediatamente l'aggressione”.
Il cessate il fuoco era rimasto in vigore per circa due settimane e mezzo dopo la conclusione della prima fase, mentre i mediatori lavoravano per mediare nuovi termini per l'estensione della tregua. Hamas ha insistito per attenersi ai termini originali dell'accordo, che sarebbe dovuto entrare in vigore nella sua seconda fase all'inizio del mese. Questa fase prevedeva che Israele si ritirasse completamente da Gaza e accettasse di porre fine definitivamente alla guerra in cambio del rilascio degli ostaggi ancora in vita. Sebbene Israele abbia firmato l'accordo, Netanyahu ha insistito a lungo sul fatto che Israele non porrà fine alla guerra fino a quando le capacità militari e di governo di Hamas non saranno state distrutte. Di conseguenza, Israele ha rifiutato anche solo di tenere colloqui sui termini della fase due, che avrebbe dovuto iniziare il 3 febbraio.
Gli Houthi dello Yemen "condannano la ripresa dell'aggressione del nemico sionista contro la Striscia di Gaza". "I palestinesi non verranno lasciati soli in questa battaglia e lo Yemen continuerà con il suo sostegno e la sua assistenza e intensificherà il confronto", minaccia il Consiglio politico supremo degli Houthi, che da anni l'Iran è accusato di sostenere, come riportano le tv satellitari arabe.
Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.