È iniziata con un assalto all’emittente privata Ikhbariya l’ennesima giornata di scontri in Siria. Il bilancio delle vittime è di almeno sette morti. “L’attacco terroristico”, come l’ha definito l’agenzia ufficiale Sana, è avvenuto circa 20 chilometri a sud di Damasco. Il gruppo armato ha fatto irruzione negli uffici dell’emittente satellitare privata, ma schierata su posizioni filo governative, prendendo in ostaggio alcune guardie e facendo poi detonare ordigni che hanno fatto saltare in aria due edifici.
Appena poche ore prima dell’attacco, il presidente Bashar al Assad aveva dichiarato che il Paese vive in uno stato di guerra “su tutti i fronti” esortando gli esponenti del suo esecutivo a mettere tutte le politiche al servizio di un unico obiettivo: la vittoria. “Dal momento che siamo in guerra – ha aggiunto Assad nel discorso trasmesso dalla televisione di Stato – tutti i settori e tutte le sedi devono essere diretti in modo da vincere questa guerra”. Ai Paesi che hanno chiesto che se ne vada ha replicato che l’Occidente “prende e non dà nulla”.
Che il conflitto siriano ormai giunto al quindicesimo mese si stia intensificando lo dimostrano anche gli scontri di ieri alle porte di Damasco tra l’esercito e i ribelli in rivolta per rovesciare il presidente che mai avevano sferrato un’offensiva di quella portata vicino alla capitale, addirittura dove hanno le proprie postazioni gli uomini della Guardia repubblicana guidata dal fratello di Assad, Maher.
Già in passato invece l’emittente Ikhbariya, era finita nel mirino dei rivoltosi, che al momento tuttavia negano la paternità dell’assalto. All’inizio del mese due inviati della televisione erano stati attaccati e feriti mentre giravano un servizio sugli scontri tra esercito e ribelli nella città di Haffa. L’attacco odierno e il numero dei morti è stato confermato dagli informatori dell’Osservatorio siriano per i diritti umani. L’organizzazione con base a Londra non ha però potuto dare maggiori informazioni. Poco dopo l’assalto comunque l’emittente ha potuto riprendere le trasmissioni. “Quello che è avvenuto oggi è un massacro contro la libertà d’informazione”, ha tuonato il ministro dell’Informazione, Omran al Zoeb.
Il livello delle violenze, ha dovuto ammettere il vice inviato delle Nazioni unite, Jean-Marie Gueheeno, ha addirittura superato quello che si era toccato prima della cessate-il-fuoco proclamato il 12 aprile scorso, parte del piano di pace in sei punti dell’ex segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. Preoccupazione è stata espressa anche da Navi Pillay, Alto commissario Onu per i Diritti Umani. Il rapporto dell’agenzia delle Nazioni Unite sulle violenze in Siria ha evidenziato come quella che era iniziata come la repressione del regime contro i gruppi dissidenti sta degenerando, almeno in alcune parti del Paese, in guerra civile. Il rapporto denuncia l’escalation di efferatezze compiute dalle truppe governative e il sempre più massiccio ricorso alle esecuzioni. Allo stesso tempo sottolinea anche come siano in aumento le morti causate dai ribelli di cui si stigmatizza l’uso di bambini come cuochi o messaggeri, mettendoli così in pericolo. Nel documento si ammette inoltre la difficoltà di accertare con sicurezza chi sia responsabile per la strage di Hula a maggio, in cui furono uccise oltre 100 persone, compresi donne e bambini. L’inchiesta guidata da Paulo Pinheiro ha sottolineato il ruolo avuto nella strage dalle forze filogovernative, ma ha indicato anche le probabili responsabilità dei ribelli o di gruppi provenienti dall’estero.
Sul fronte internazionale restano le recenti tensioni fra Damasco e Ankara, dopo l’abbattimento il 22 giugno scorso di un jet turco lungo le coste siriane Ieri il premier turco Recep Tayyip Erdogan, ha annunciato nuove regole di ingaggio per le forze armate lungo i 600 chilometri di frontiera con la Siria. Nel fine settimana intanto dovrebbe svolgersi a Ginevra il vertice internazionale promosso da Annan e cui il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov ha già confermato la proprio partecipazione. Ieri, come riportato dal Financial Times, il think tank moscovita Centre for Analysis of Strategies and Technologies, vicino agli ambienti militari russi, ha pubblicato un documento in cui contesta la tesi che la difesa della Siria, di cui il Cremlino è ora il principale sponsor, sia fondamentale per gli interessi nazionali russi. La difesa di Assad appare più dettata dalle emozioni che dalla razionalità, sottolinea il rapporto. L’anno scorso le esportazioni di armi verso la Siria sono state soltanto il 5 per cento del totale, mentre il valore del porto di Tartus appare più simbolico che effettivo, continua. Una posizione che per gli autori riflette le fobie dell’éliterussa che paventa la perdita di influenza sul Medio Oriente.
di Andrea Pira