Il delitto è stato ricostruito, ma manca il colpevole. Se fosse un giallo, l’accertamento delle verità sulla strage di Ustica si potrebbe riassumere così: si sa infatti che il 27 giugno 1980 il Dc9 dell’Itavia inciampò in un’azione di guerra calda avendo la peggio e si sa che in volo c’erano altri 18 aerei. Ma a tutt’oggi non c’è una conferma ufficiale sulla nazionalità di quei mezzi e dunque manca uno Stato – per cui uno o più piloti – a cui imputare la colpa di aver ucciso 32 anni fa 81 cittadini italiani, tutti civili.

Le rogatorie: gli Stati non rispondono agli inquirenti italiani. È lo schema, ormai via via sempre più classico, tale per cui alla verità storico-politica si riesce ad arrivare quasi completamente. Ma a quella giudiziaria – necessaria per colmare determinati vuoti,  sanzionare condotte personali che hanno dato vita a un reato e garantire ai familiari le dovute tutele – manca spesso un pezzo. E nel caso di Ustica quel pezzo passa per le responsabilità degli Stati, Francia, Gran Bretagna, Germania e Belgio in primis.

A oggi tutte le nazioni interpellate per rogatoria non hanno risposto. Anzi, quasi tutte, dato che alla procura di Roma è giunto dal Belgio un segnale, ma negativo. Per il Paese che ospita a Mons il quartier generale delle potenze alleate in Europa, fornire informazioni alla magistratura italiana – o anche solo confermare quelle già in possesso – è fuor di discussione perché sono di “natura tale da pregiudicare gli interessi militari”.

Sospira Erminio Amelio, il pubblico ministero romano che insieme alla collega Maria Monteleone, è il titolare del fascicolo aperto sulla vicenda. “Nessun altro Stato ha detto alcunché”, dice al FattoQuotidiano.it. “Non possiamo fare altro che attendere ancora e vedere se qualche governo lo farà”. E in merito al nuovo fronte che si apre, quello libico, al centro di un’istanza presentata oggi ai magistrati di piazzale Clodio, aggiunge: “La situazione in quel Paese è nel caos, non so quando potranno colloquiare con le autorità italiane. In merito invece alla richiesta di sentire Abdel Salam Jalloud, occorrerà accertare se si trovi davvero in Italia e una volta appurato lo sentiremo”.

Le verità della Libia: “Interrogare il braccio destro di Gheddafi”. Ma chi è Abdel Salam Jalloud e perché dovrebbe sapere qualcosa sulla strage di Ustica? Intanto il suo nome compare sull’istanza depositata oggi a Roma e l’associazione delle vittime della strage del 27 giugno 1980 lo ritiene utile agli accertamenti da eseguire perché fu primo ministro sotto il regime di Muammar Gheddafi fino al 1977, oltre a essere stato un amico personale e uno stretto collaboratore dell’ex dittatore. Per conto del suo capo trattò partite d’armi con l’Unione Sovietica e per un paio di decenni fu considerato l’uomo più potente, secondo solo allo stesso Gheddafi. Ma poi con le recenti rivolte, la detronizzazione del dittatore e la sua morte, ha deciso a fine agosto 2011 il voltafaccia definitivo, avendo assistito impotente alla caduta della sua stella.

L’estate scorsa, infatti, lo si dava in arrivo a Roma e fonti investigative italiane lo avrebbero registrato all’aeroporto di Ciampino. L’ex ambasciatore libico Abdulhafez Gaddur aveva confermato l’approdo europeo dell’ex potentissimo, per quanto avesse poi glissato sulla sua localizzazione esatta. Il suo legame con la strage aerea del 1980 si innesta sui documenti in possesso del governo libico. Documenti a cui si era riferito quasi un anno fa Peter Bouckaert, direttore del settore emergenze di Human Rights Watch, e che potrebbero raccontare qualche retroscena dell’Italia, dei legami libici con i servizi segreti del Belpaese, soprattutto con il Sismi, e delle attività a tutt’oggi non documentate tra le due nazioni che si affacciano sul Mediterraneo.

Insomma, la vecchia questione della “moglie americana e dell’amante araba”, per usare un’espressione datata che descrive il doppio volto della politica estera italiana del tempo, da un lato (quello ufficiale) filo atlantica e dall’altro (l’ufficioso) sempre ben disposta a dialogare con il Paesi mediorientali, soprattutto quanto in gioco c’erano partite di petrolio in cambio di armamenti che sostenessero l’industria tricolore e fruttassero mazzette ai politici così spesso finiti in mezzo agli scandali dell’oro nero.

“Le indagini non devono perdere il mordente”, ha detto Daria Bonfietti, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, nel suo discorso per il trentaduesimo anniversario. “Si deve continuare a cercare, ad approfondire ogni nuova indicazione. Ci rivolgiamo dunque alla procura di Roma perché si aprano nuove indagini: ci sono esuli libici, con un importante passato, in Italia, si parla di materiale racconto dai servizi segreti nei giorni caldi della caduta di Gheddafi, infine si possono instaurare rapporti di collaborazione con la nuova dirigenza libica”.

Giovanardi: “Bene sentire i libici, ma nessun missile, è stata una bomba”. Le informazioni che potrebbero giungere dal golfo della Sirte per un attimo – ma solo per quello, perché subito le rispettive posizioni tornano a divergere – mettono d’accordo i familiari e un politico che da tempo perora una tesi, quella della bomba, sconfessata in diversi sedi, da quella giudiziaria a quella politico-parlamentare.

È il senatore Pdl Carlo Giovanardi, ex sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri, che ricorda come “lo scorso 18 gennaio avevo fatto prendere un impegno all’ambasciatore libico in Italia perché aprisse gli archivi a disposizione del suo Paese. Ma poi l’ambasciatore è cambiato e non se n’è più fatto niente. A maggio ho presentato un’interrogazione al primo ministro Mario Monti perché si attivi sullo stesso tema, tuttavia non ho ancora ricevuto risposta. La Libia è l’unico Paese che non ha mai detto niente di niente alla magistratura italiana”.

Le convergenze tra Giovanardi e i familiari però finiscono qui perché il parlamentare insiste sullo scoppio di una bomba a bordo del velivolo, nonostante le perizie lo abbiano escluso, e su un’altra sua convinzione: quella di una linea terroristica che condurrebbe agli attentati con esplosivo nei casi del Sudan e di Lockerbie. Se il secondo episodio si riferisce tuttavia al 1988 e non al 1980, come sostenuto dal senatore, il primo neanche è mai avvenuto e l’unico episodio che potrebbe corrispondere è quello del Ciad, anno 1989. Per Giovanardi, tuttavia, si tratta di errori veniali, quelli delle date e dei luoghi sbagliati. “È stata una bomba e i tracciati ce lo dimostrano”.

Gli accertamenti di giudici e i tracciati Nato: c’erano 18 aerei in volo. In realtà i tracciati forniti dalla Nato al giudice istruttore Rosario Priore dimostrano che in volo, quella sera, c’erano 18 aerei di cui però le autorità atlantiche non hanno voluto fornire la nazionalità. E qui si torna al pezzo di verità giudiziaria mancante: chi ha accompagnato il Dc9 nel suo ultimo volo contribuendo al suo abbattimento? In 32 anni Daria Bonfietti ricorda che “tutto si voleva sgombro da ogni presenza, si erano manomessi documenti, fatti sparire registri, ingannato cambiando gli orari. Io vado ripetendo che in tutto il materiale dell’aeronautica non c’è una pagina integra per la serata del 27 giugno 1980”.

La sentenza-ordinanza del 1999 ha consentito di fare luce sull’azione di guerra in corso quella sera, per quanto un processo sulla strage di Ustica non abbia mai potuto aprirsi e quello ai vertici dell’aeronautica per i depistaggi non abbia portato a condanne tra reati nel frattempo prescritti, sospettati deceduti a causa dell’avanzare dell’età e i rimanenti imputati mandati assolti. “Rimangono però gli archivi dei servizi segreti”, aggiunge Bonfietti, “che dovrebbero confluire nella documentazione dell’archivio di Stato, fatto che non è mai avvenuto. Che almeno quegli archivi vengano aperti alla magistratura”.

In altre parole, l’appello della presidente dei familiari è che la si finisca, superata ampiamente la boa dei tre decenni, con la “tortura della goccia cinese”, per usare un’espressione che si lega alla sentenza di primo grado del tribunale civile di Palermo. Risale allo scorso settembre e ha condannato ministero dei Trasporti e della Difesa al pagamento di oltre 100 milioni di euro di danni per non aver garantito la sicurezza dei passeggeri di un aereo civile e per aver essersi dati da fare con uno scopo, impedire l’accertamento della verità.

Oggi però anche il fronte della giustizia civile si è arenato. La prossima udienza del processo d’appello ci sarà nel 2015 e i risarcimenti sono stati congelati per evitare la bancarotta ai dicasteri condannati in primo grado. Se si aggiunge questo punto alle rogatorie inevase e alle sempre più evidenti difficoltà in sede europea ad attivare una commissione ad hoc sul caso Ustica (difficoltà generate dalla mancata ratifica della convenzione in materia giudiziaria del maggio 2000), il pezzo di verità mancante sembra allontanarsi.

Il presidente Napolitano: “Le istituzioni si sforzino per la verità”. Nel messaggio che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha spedito per il trentaduesimo anniversario della strage, il capo dello Stato si dice “amareggiato” e aggiunge: “È indispensabile che le istituzioni tutte profondano ogni sforzo, anche sul piano dei rapporti internazionali, per giungere a una compiuta ricostruzione di quanto avvenne quella drammatica notte nei cieli di Ustica”. Concorda Gianfranco Fini, presidente della Camera dei deputati, che scrive ai familiari delle vittime usando espressioni simili. Dal canto suo il Comune di Bologna, per bocca del sindaco Virginio Merola e del presidente del consiglio comunale Simona Lembi, anticipano un progetto che coinvolga le amministrazioni locali per la tutela della memoria su fatti di strage e terrorismo.

Leoluca Orlando, neo primo cittadino di Palermo presente nel capoluogo emiliano per le commemorazioni, raccoglie l’invito dei colleghi bolognesi annunciando che ne parlerà nel primo consiglio, fissato per il 9 luglio. E afferma che “gli Stati nascono per garantire verità e giustizia. Di fronte al muro di gomma innalzato in Italia e all’estero, anche noi chiediamo di aprire gli archivi, non si può accettare un silenzio omertoso. E la città di Palermo starà accanto alle altre quando si tratterà di far luce su eventi di mafia e talvolta di strage”.

Se rimane valido l’appello dei giorni scorsi a un “sussulto di dignità” da parte del governo Monti sullo scacchiere europeo per far chiarezza su Ustica, intanto l’associazione ci ha messo un’altra volta del suo. Ce lo ha messo con gli eventi artistici e culturali che a Bologna ricorderanno per un mese e dieci giorni la strage del giugno 1980. E lo ha fatto anche con il portale “Una città per gli archivi”, che entrerà a pieno regime a partire da settembre mettendo a disposizione migliaia di documenti cartacei (tra atti giudiziari, parlamentari e corrispondenze istituzionali) e materiale multimediale per 183 ore di audio e 160 di video.

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