Sì alla tassa sulle transazioni finanziarie ma solo in cambio dello scudo anti spread. La bordata lanciata ieri da Mario Monti condiziona inevitabilmente la due giorni del super vertice Ue. La proposta rappresenta un vero e proprio aut aut, uno scambio alla pari, insomma, e costituisce, a questo punto, l’arma principale per il fronte interventista guidato da Italia e Francia in contrapposizione con la trincea del rigore presieduta da Berlino. Funzionerà? Per ora si possono solo fare ipotesi ma una cosa è comunque certa: Monti ha colpito nel segno. Mettendo Angela Merkel in sostanziale difficoltà.
Potrebbe trattarsi, in definitiva, di un piano ben congegnato. Una strategia sottile studiata per mesi in attesa di poterla mettere in pratica come extrema ratio. Lo suggeriscono, oggi, fonti vicine alla campagna internazionale per l’introduzione della tassa che hanno seguito da vicino le mosse del governo italiano e gli umori interni all’esecutivo tedesco. L’idea è più o meno questa: Berlino non può fare a meno della tassa, tanto da essere pronta a darle il via libera facendo ricorso alla cooperazione rafforzata con il consenso di altri 8 Paesi. Dieci ci sono già ma una presa di posizione netta da parte dell’Italia, ovvero della terza economia dell’euro, farebbe decisamente comodo. Il premier lo sa ed è disposto ad accontentare la cancelliera. Ma non gratuitamente.
La tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf) – spesso denominata Tobin Tax sebbene James Tobin (già docente di Mario Monti a Yale) l’avesse a suo tempo pensata per i soli scambi valutari escludendo le altre operazioni di trading – è da sempre nell’agenda europea della Spd, il partito socialdemocratico tedesco. Il suo sostegno da parte di Angela Merkel e della Cdu, rappresenta da sempre un elemento di coesione nei rapporti tra governo e opposizione. Ma anche una possibile merce di scambio. In sintesi: la cancelliera ha bisogno del fiscal compact e la Spd è disposta a seguirla ma in cambio vuole il sostegno sulla Ttf, ipotesi che, in ogni caso, non dispiace né alla stessa Merkel né al ministro delle finanze Schaeuble. Da qui la necessità del capo del governo di Berlino di portare a casa il risultato garantendosi così consenso e stabilità interna.
Lo scorso mese di gennaio, in realtà, la Germania aveva dato l’impressione di voler abbandonare l’idea di una tassa alla sola eurolandia (aggirando così l’ostacolo del non negoziabile No britannico) ipotizzando l’introduzione di una banale bourse levy, una tassa sui soli scambi azionari che non avrebbe toccato derivati, valute e obbligazioni. Una soluzione all’acqua di rose che, a livello di proposta, contribuì a calmare la tensione che si era venuta a creare con Londra. In realtà, assicurano fonti della campagna internazionale, alcuni esponenti istituzionali di Berlino ammisero in via riservata che il passo indietro rappresentava solo una mossa tattica. Placare la tensione, dunque, continuando però a perseguire l’obiettivo. In pratica una ritirata strategica.
Il premier italiano è sempre stato consapevole dell’importanza della Ttf per gli equilibri di Berlino. Per questo ha da subito offerto un’apertura sottolineando la sua distanza dalle posizioni del precedente esecutivo (Berlusconi aveva definito a suo tempo la proposta come “ridicola”). Ma anche per questo, bisognerebbe aggiungere, ha scelto opportunamente di non manifestare un entusiasmo eccessivo per l’ipotesi Tobin. Nello scorso mese di maggio, il Ministero delle Finanze inviò una lettera agli attivisti della campagna italiana Zero Zero Cinque rimandando in pratica ogni discussione in attesa di un quadro internazionale più chiaro. Appena una settimana fa, fonti istituzionali confidavano ancora agli attivisti la mancata definizione di una posizione precisa da parte dell’Italia. Ora invece Monti gioca a carte scoperte, ma con un appoggio condizionato dall’apertura tedesca al meccanismo anti spread. Il piano di accerchiamento è entrato nel vivo. Anche se, ovviamente, non è detto che funzioni.