Troppa finanza ed eccessivo credito al settore privato danneggiano l’economia. Parola del Fondo monetario internazionale che in uno studio svolto degli economisti Jean-Louis Arcand, Enrico Berkes e l’italiano Ugo Panizza intitolato “Troppa finanza?” sottolinea che la crisi attuale ha colpito proprio quei paesi che hanno ecceduto nel concedere liquidità al settore privato, in particolare quelli in cui i prestiti verso i privati hanno superato il 110 per cento del Pil. Una volta superata la soglia del 100 per cento del prodotto interno, spiegano gli studiosi, il settore finanziario perde la sua spinta propulsiva senza riuscire a sostenere la crescita dell’economia nazionale. Questo principio, ritengono i tre scienziati economici, è valido sia in paesi che vivono una situazione di normalità, sia in quelli in cui imperversano tensioni economiche o sociali. Inoltre sottolineano che le risultanze della ricerca non sono collegate a shock dell’offerta, crisi bancarie, basso livello della qualità delle istituzioni o differenti regolamentazioni per supervisionare il sistema bancario.
Gli economisti sostengono che esista una robusta e positiva correlazione fra la presenza di un settore finanziario e la crescita economica, ma solo in quei paesi dove la finanza assume un ruolo marginale o comunque ha medie dimensioni. Infatti continuano ci sono almeno due ragioni per cui la troppa finanza tende ad affossare l’economia. La prima, come illustrato da Minsky nel 1974, consiste nel pericolo che l’eccessiva finanziarizzazione dell’economia porti ad una grande volatilità del sistema (un eccitamento improvviso degli operatori seguito da un gran pessimismo, le bolle speculative) facendolo collassare. Mentre Kindleberger nel 1978 ha spiegato che anche in condizioni di crescita, troppa liquidità comporti una potenziale allocazione sbagliata delle risorse.
Nell’analisi vengono passati in rassegna dati macroeconomici dal 1960 al 2010 di 64 stati. Dopo il 2006 tutti avevano un credito al settore privato che superava il 50per cento del Pil, in 27 il rapporto andava oltre il 90 per cento e in 17 superavano il 113 per cento. Il record spettava all’Islanda dove il credito superava il 260% del Pil e non a caso, sottolineano gli studiosi, proprio la piccola isola nordica è stata la prima vittima della crisi della finanza globale. Quindi, concludono gli economisti, bisogna superare l’idea di lasciar fare al mercato e senza imporre regole, ma anzi “esistono un gran numero di paesi per cui sarebbe desiderabile una riduzione del settore finanziario”.