Il problema del reclutamento universitario è ormai in piena ebollizione. Questo è sostanzialmente bloccato dal 2008 e pochi giorni fa l’Agenzia Nazionale per la Valutazione del sistema Universitario (Anvur) ha pubblicato la delibera che indica come procedere alle abilitazioni, passaggio fondamentale per i successivi concorsi. Ne è nato un vespaio, e l’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, guidata da Valerio Onida, ha subito annunciato l’intenzione di impugnare una parte del decreto. Il motivo è semplice: sono stati introdotti dei criteri retroattivi, ovvero oggi si hanno dei criteri per “giudicare” dei lavori scientifici scritti una decina d’anni fa senza che all’epoca il ricercatore avesse la possibilità di sapere quale fosse la strategia migliore per pubblicare il suo lavoro. Alcuni dicono che sia un ricorso pretestuoso portato avanti dai “vecchi baroni” per difendere il loro potere dal nuovo che avanza. A noi sembra invece un ricorso del tutto ragionevole per ripristinare la legalità violata. Infatti, un altro supposto covo di baroni, l’Unione Matematica Italiana, ha redatto un documento sottolineando che la modalità introdotta dal’Anvur per giudicare il lavoro dei ricercatori “… non è accettabile ed è stata condannata dalla comunità scientifica internazionale, al punto da essere ora bandita in molti paesi scientificamente all’avanguardia…”.
Il problema di fondo di tutta la questione non è solo il decreto delle abilitazioni: è molto più importante e vitale perché riguarda l’indipendenza e l’autonomia della ricerca dal potere politico. L’ Anvur non è un’Autorità indipendente come l’Autorità della concorrenza (questo era il disegno originario che purtroppo non è stato approvato dal parlamento), ma è parte della pubblica amministrazione – come, per esempio, l’Agenzia delle entrate nei confronti del Ministero dell’economia: la sua indipendenza viene dunque esercitata nel quadro della politica del MIUR. L’Anvur è stata organizzata sotto il Ministero Gelmini e si occupa di tantissimi compiti che vanno dalla valutazione dell’intero sistema universitario e della ricerca a quello dei singoli docenti. Come ricorda il rettore del politecnico di Milano, Giovanni Azzone, “in nessuna parte del mondo a una stessa Agenzia di valutazione vengono affidati congiuntamente tanti compiti….(che) appaiono del tutto incompatibili con le risorse disponibili e con l’autonomia degli Atenei.”
Questa grandissima quantità di compiti e competenze fa dell’Anvur il vero artefice della politica universitaria e della ricerca con un ruolo che va molto al di là dell’elaborazione di semplici linee di indirizzo generali ma che invece gli permettono di intervenire in maniera molto invasiva sul soggetto stesso della ricerca e sull’autonomia dell’università. L’Anvur è dunque lo strumento attraverso il quale la politica può condizionare in maniera mai tentata prima sia la politica universitaria che la natura stessa della ricerca. Visto il delicatissimo ruolo dell’agenzia bisogna chiedersi come questa sia stata strutturata e come questa si muova rispetto alla comunità scientifica.
L’Anvur ha un consiglio direttivo di nomina politica: è stata istituita da quell’emblema della meritocrazia all’italiana che fu il ministro Gelmini e da quel coacervo di cervelli che ancora occupa i ruoli chiave del ministero. L’Anvur ha a sua volta nominato, tramite delle procedure per nulla trasparenti, i presidenti dei gruppi d’esperti di valutazione che a loro volta hanno nominato, attraverso altre procedure opache, i membri dei gruppi d’esperti di valutazione. Dunque tutta la procedura di disegno dell’architettura dell’agenzia non solo non è trasparente ma è piuttosto top-down. Il problema che bisogna porsi da un punto di vista politico è se una tale struttura, nominata da un governo che (per fortuna nostra) non esiste più, possa continuare il suo operato senza soluzione di continuità. Questo è il problema politico di fondo che sta velocemente emergendo in tutta chiarezza in questi giorni.
Un esempio di uno dei motivi di grandissima preoccupazione dell’operato di questa agenzia, è il problema della classificazione delle riviste scientifiche. Secondo l’Anvur un lavoro scientifico di un ricercatore sarà valutato più o meno bene a seconda della rivista in cui è stato pubblicato. E chi decide quali sono le riviste ottime, buone o pessime? L’Anvur stesso utilizzando dunque un metodo che non si ritrova in nessun’altra agenzia di valutazione al mondo. Dunque un’agenzia di nomina politica ha il potere di stabilire quale sia la ricerca “migliore” e quale la “peggiore”. Questa situazione non è accettabile ed è evitata in tutto globo terraqueo. Come ha scritto Antonio Banfi, ricorda però la situazione che in URSS ebbe come massimo caso il tristemente famoso biologo Lysenko, che portò avanti una visione ideologica della biologia basata sull’idea che l’ereditarietà dei caratteri sia influenza da fattori ambientali. Questa teoria, ostile alla genetica mendeliana e priva di ogni base scientifica, piaceva tanto a Stalin e alla nomenclatura sovietica, tanto che vari scienziati sovietici che vi si opposero furono incriminati e condannati a morte in quanto nemici del popolo. Nel nostro piccolo i casi di polemica sono tanti e per il momento hanno riguardato, oltre i matematici che hanno preso posizione in maniera molto chiara e netta, soprattutto le scienze umane, come la sociologia e l’economia. Chi non se n’è preoccupato finora lo farà nel prossimo futuro appena vedrà la conseguenza di scelte scellerate sulla propria carriera.
E’ necessario dunque che la forze politiche mettano all’ordine del giorno di ripensare completamente al ruolo dell’Anvur, facendone una agenzia indipendente ed autonoma in grado di discutere le sue scelte in maniera trasparente con la comunità scientifica.