C’è stata tentata corruzione all’Amiat di Torino, lo ha riconosciuto questa mattina la prima sezione penale presieduta dal giudice Maria Cristina Domaneschi. Raphael Rossi (nella foto sopra) può tirare un sospiro di sollievo. La corte ha inflitto in primo grado una condanna a un anno e nove mesi a Giovanni Succio e Giorgio Malaspina, rispettivamente amministratore delegato e proprietario della Vm Press, perché nel 2007 cercarono di addolcire l’allora consigliere di amministrazione Rossi promettendogli una mazzetta di 150 mila euro per l’acquisto di un loro macchinario, che sarebbe costato ad Amiat più di 4 milioni di euro. Per lo stesso episodio, l’ex presidente della municipalizzata dei rifiuti, Giorgio Giordano, ha patteggiato nel gennaio 2011 una pena ad un anno. I condannati dovranno risarcire per danno morale Amiat, con la cifra di 78mila euro, e Rossi, con 5 mila euro, mentre è sospesa per loro la possibilità di contrarre nuovi accordi con la Pubblica amministrazione per tutta la durata della pena.
“La corte ha riconosciuto che l’episodio denunciato da Rossi si è verificato esattamente nei termini in cui lui lo ha raccontato alla Procura – ha spiegato all’uscita dell’aula l’avvocato Roberto La Macchia –. Siamo soddisfatti del risultato anche perché una condanna per istigazione alla corruzione è un fatto nuovo, con pochissimi precedenti in Italia”. Per provare la verità dei fatti denunciati Rossi, nel corso delle indagini, si è dovuto prestare al ruolo di agente provocatore. Solo così è stato possibile efettuare le intercettazioni ambientali e telefoniche necessarie alla celebrazione del processo. Un comportamento mal digerito dalla difesa degli imputati: “Bene ha fatto Rossi a denunciare l’episodio, ma poi si è mosso secondo modalità non accettabili. È stato fin troppo energico – l’avvocato della difesa Gian Paolo Zancan usa un’immagine forte per spiegare il suo pensiero – è stato come la levatrice che ha tirato troppo fino a provocare un aborto. Ricorreremo in appello”.
Assolti invece gli imputati del secondo ramo del processo, relativo ad una presunta turbativa d’asta emersa nel corso delle intercettazioni: l’ex direttore acquisti Amiat Giancarlo Gallo, il titolare della Vm Press Carlo Gonella, gli imprenditori e politici valdostani Leonardo Latorre e Salvatore Luberto. “E’ positivo il riconoscimento del tentativo di corruzione ma è ancora più positiva la partecipazione delle persone al flah mob di questa mattina davanti al Palazzo di giustizia e all’intero svolgimento del dibattimento”. Raphael Rossi è soddisfatto della sentenza: “Non è una mia vittoria, ma un successo per l’intera comunità. Come un danno alla comunità sarebbe stato l’acquisto milionario e inutile del macchinario all’Amiat”. Il processo Amiat, che è diventato il simbolo in Italia della mobilitazione collettiva contro la corruzione, è stato infatti l’innesco per la nascita del movimento dei Signori Rossi, che questa mattina si sono trovati davanti al tribunale di Torino per animare un flah mod dal titolo “Mi manifesto” e annunciare la loro costituzione in associazione nazionale. A Torino la loro sede sarà in via Salgari 7, in un bene confiscato alle mafie e gestito dall’associazione Libera. Ma altri gruppi si stanno organizzando in Lombardia, Veneto, Liguria, Toscana, Lazio, Campania Puglia e Sardegna. “Continueremo a coinvolgere i cittadini perché ognuno faccia la propria parte contro la corruzione – spiega Alberto Robiati che con Stefano Di Polito è uno degli animatori del movimento – per esempio seguendo i processi che parlano di corruzione e che normalmente vendono ignorati dai media e dalle istituzioni, come è capitato con Amiat”. I Signori Rossi continueranno a collaborare con le associazioni Libera e Avviso Pubblico, Slow food, Associazione di Comuni virtuosi e Addiopizzo per promuovere le loro campagne di sensibilizzazione. Nel loro progetto anche l’ampliamento del servizio Sos corruzione, per il sostegno psicologio e legale delle vittime di