Ma esistono davvero quelle registrazioni che hanno “pizzicato” la voce di Napolitano al telefono con Mancino? Quante sono? E cosa dice il Capo dello Stato in quei colloqui che hanno gettato nello scompiglio lo staff del Colle, provocando fibrillazioni ai piani più alti del giornalismo italiano? Ora dagli uffici giudiziari romani arriva a Palermo una richiesta ufficiale di informazioni sulle misteriose intercettazioni telefoniche, tuttora top secret, che avrebbero registrato la voce del Capo dello Stato, al telefono con Nicola Mancino, coinvolto nell’inchiesta sulla trattativa mafia-Stato e impegnato in un’azione di pressing sul Quirinale per evitare di finire nel registro degli indagati. Una lettera proveniente dall’Avvocatura dello Stato di Roma è stata recapitata nei giorni scorsi al Procuratore di Palermo Francesco Messineo con una richiesta formale di chiarimenti sulla presenza – nei brogliacci dell’indagine non ancora depositati – di alcune trascrizioni di conversazioni telefoniche che avrebbero captato la voce di Giorgio Napolitano.
“UNA LETTERA dell’avvocatura dello Stato? Si tratta di una cosa riservata, e sulle cose riservate non rispondo”, ha detto al Fatto Messineo, che adesso ha il compito di redigere una risposta, dopo avere ricevuto le controdeduzioni dal pm chiamato in causa nella missiva, Nino Di Matteo. Nel documento, redatto su input della segreteria generale del Quirinale, l’Avvocato dello Stato chiede a Messineo di confermare o smentire l’esistenza di quelle intercettazioni, facendo esplicito riferimento a un’intervista pubblicata il 22 giugno scorso dal quotidiano Repubblica, nella quale Di Matteo sosteneva che “negli atti depositati non c’è traccia di conversazioni del Capo dello Stato, e questo significa che non sono minimamente rilevanti”, ma poi, riferendosi alle intercettazioni non ancora depositate, aggiungeva: “Quelle che dovranno essere distrutte con l’instaurazione di un procedimento davanti al gip, saranno distrutte, quelle che riguardano altri fatti da sviluppare saranno utilizzate in altri procedimenti”. Un’affermazione che evidentemente ha attivato l’interesse della segreteria generale del Colle che, adesso, su quelle bobine di Palermo vuole vederci più chiaro. Una curiosità condivisa da un altro inquilino temporaneo del Quirinale, il consigliere giuridico Loris D’Ambrosio che, ai sensi dell’articolo 116 del cpp, chiede formalmente di accedere agli atti dell’inchiesta sulla trattativa e in particolare alle trascrizioni di tutte le telefonate che lo riguardano.
NELLA SUA lettera, in pratica, lo spin doctor del Quirinale fa sapere di voler acquisire per intero il voluminoso dossier delle intercettazioni che hanno registrato – dallo scorso novembre fino alla primavera di quest’anno – la nervosa escalation di telefonate da parte di Mancino, impegnato in una costante invocazione di aiuto e protezione nei confronti del Colle. Alla richiesta di D’Ambrosio fino a questo momento la procura non ha risposto, lo ha fatto invece Di Matteo che avrebbe già fornito per via gerarchica, al capo del suo ufficio, tutti i chiarimenti richiesti sui passaggi dell’intervista a Repubblica. E mentre da Viterbo, ospite della rassegna “Caffeina cultura”, il Procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso ribadisce che “le intercettazioni del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non possono essere distrutte, se non dopo l’autorizzazione da parte di un giudice, sentite le parti e i loro avvocati”, il procuratore Messineo è tornato ieri sulla nuova nota di Scalfari, che dalle colonne del quotidiano romano ha citato norme e codici, e persino una sentenza della Corte costituzionale in materia di uso giudiziario di attrezzature di sorveglianza. “Premesso che non ho lezioni da dare a nessuno – ha detto il Procuratore di Palermo – il fondatore di Repubblica è entrato ieri nelle specifico delle norme presuntamente violate; la risposta non può che attenere, dunque, a un contesto di carattere giuridico”. “Scalfari – esordisce Messineo – cita norme vigenti, operative ed efficaci nel caso dell’intercettazione diretta, ma non è questa la fattispecie che ci troviamo ad analizzare”. “In questo caso – prosegue il capo dell’ufficio – si tratta di un ascolto occasionale, e cioè dell’ascolto della voce di una persona coperta da immunità a colloquio con un’altra legittimamente sottoposta a intercettazione. In questo ambito le norme citate da Scalfari non possono trovare applicazione”. Ma non solo. A sostegno della sua tesi, il fondatore di Repubblica cita anche una sentenza della Corte costituzionale. “Mi è sembrata una citazione poco pertinente – replica Messineo – il riferimento ci ha incuriositi e siamo andati a leggere quella sentenza. Se non ricordo male prende in considerazione il caso della liceità di una ripresa video di un locale sospetto, sottoposto a controllo, ma non ha nulla a che vedere con personalità coperte da immunità”.
da Il Fatto Quotidiano dell’11 luglio 2012