Mi sento schiaffeggiata da questa notizia”. Rita Borsellino, sorella di Paolo, europarlamentare, ripete queste sei parole seduta nella sua casa al mare, a Trabia, dove il pomeriggio del 19 luglio venne a sapere della strage di via D’Amelio. Le ha pronunciate la prima volta l’altroieri in una libreria a pochi passi dalla storica focacceria di San Francesco, appena saputo che il Quirinale aveva sollevato un conflitto di attribuzioni alla Consulta contro la Procura di Palermo. E non torna indietro. Rincara la dose. Non porge l’altra guancia. Come quando alla vigilia del Natale 2007, alla notizia dell’istruttoria sollecitata dallo stesso Giorgio Napolitano per un’eventuale concessione della grazia all’ex funzionario del Sisde Bruno Contrada, si oppose senza se e senza ma. Quella volta Napolitano la chiamò al telefono e non fu certo una conversazione tranquilla. “La sensazione di essere stati schiaffeggiati credo l’abbiano provata tutti gli italiani. Non ce l’aspettavamo dal Capo dello Stato una presa di posizione così netta e grave nei confronti della Procura di Palermo, nel momento in cui quest’ultima sta cercando di fare chiarezza tra depistaggi e sentenze indotte. A pochi giorni dall’anniversario della strage, ci viene detto che delle intercettazioni tra Mancino e il Presidente la gente non deve sapere nulla. Ma tutti quanti abbiamo il diritto di conoscere tutto ciò che può servire a scoprire la verità. Siamo stanchi di sentire solo i non so e i non ricordo. Quando abbiamo gli elementi concreti è giusto che siano messi a disposizione. Io voglio sapere se Mancino è una persona che effettivamente sta facendo un doppio gioco. Se i magistrati abbiano violato la legge sull’immunità del Capo dello Stato o no questo dovrà essere stabilito. Intanto mi ritrovo sul piatto della bilancia la Presidenza della Repubblica che dice che ciò che è accaduto non è lecito, ma anche la Procura di Palermo che afferma il contrario. Come persona alla ricerca della verità, come famigliare, ma soprattutto come cittadina, mi sento offesa. E’ come se mi fosse stato detto: certe cose non le puoi e non le devi sapere. E io non lo posso accettare”.
È un caso che il decreto del Presidente della Repubblica sia arrivato a pochi giorni dalle celebrazioni del ventesimo anniversario della strage di via D’Amelio?
Ci sono delle ragioni di opportunità. Non penso che gli avvisi di garanzia debbano essere sospesi in funzione dei momenti. La giustizia deve fare il suo corso, ma credo che tirare fuori un argomento così controverso nella circostanza in cui tutti quanti avrebbero dovuto concentrarsi sulla necessità di fare chiarezza in occasione del ventennale della strage, sia stato inopportuno. O forse si è voluto contribuire proprio così.
Il 19 luglio arriverà come ogni anno il messaggio del Capo dello Stato e la sua corona di fiori in via D’Amelio.
Se il Presidente della Repubblica manderà il suo fax di partecipazione sarà sempre accolto con deferenza perché è il capo dello Stato. Ma la richiesta che abbiamo fatto io e mio fratello Salvatore al sindaco di Palermo è chiara: non rifiutiamo i fiori della Presidenza della Repubblica, del Consiglio o della Regione, ma chiediamo che via D’Amelio quest’anno sia un luogo dove viene ricordata la vita. I simboli della morte come possono essere le corone, siano depositati in un altro luogo . Noi vogliamo ricordare la vita di Paolo Borsellino. Vogliamo che lì dove ci sono dei dubbi che investono le istituzioni non ci siano simboli che le rappresentano. Paolo diceva che le istituzioni sono sacre. Possono essere discutibili gli uomini. Mio fratello era un uomo di quelle istituzioni sacre. Purtroppo oggi abbiamo troppi elementi per confermare quello che lui diceva: ci sono state persone che in quelle istituzioni hanno tradito. Non vogliamo correre il rischio che i simboli si possano confondere con le persone, perché ancor oggi non sappiamo chi sono i traditori”.