“Una situazione economica che definire disastrosa è un eufemismo”. Così il procuratore generale della corte dei conti Giovanni Coppola aveva descritto i bilanci della Regione Sicilia, alcune settimane prima che il vicepresidente di Confindustria Ivan Lo Bello paventasse di possibile default per l’isola.
I magistrati contabili avevano monitorato i bilanci della regione più a sud d’Italia e il presidente delle Sezioni Unite della Corte dei Conti Rita Arrigoni aveva usato parole dure: “Il rendiconto generale relativo all’anno finanziario 2011 registra una situazione di notevole, preoccupante deterioramento: tutti o quasi i saldi fondamentali di bilancio presentano valori negativi”. È probabilmente questo l’input che aveva portato Lo Bello a paragonare i conti siciliani a quelli della Grecia. Per Lo Bello “il bilancio regionale era reso non trasparente da poste dubbie e residui inesigibili”. Il governatore Raffaele Lombardo è andato su tutte le furie, soprattutto dopo la lettera dal premier Mario Monti che ha chiesto rassicurazioni sulle sue dimissioni, previste per fine luglio. Ma in conferenza stampa il presidente siciliano ha in linea di massima confermato che la Sicilia ha crediti non riscossi per milioni di euro.
È questo il male dei conti siciliani. Alla voce entrate del bilancio risultano infatti alcune somme non ancora riscosse dalla Regione. Cifre a nove zeri che supererebbero i 15 miliardi di euro. Solo nel 2011 i crediti della Regione, mai riscossi ma già iscritti a bilancio come entrate, sono circa 400 milioni di euro. Il problema è proprio questo: quante possibilità ci sono di riscuotere questi fondi e fare in modo che da entrate teoriche si trasformino in entrare reali? Secondo la ragioneria della Regione Sicilia sono più di 13 miliardi gli euro che verranno incassati con certezza. Secondo Lombardo, molti di questi fondi dovrebbero pervenire dalle casse dello Stato. O per esempio da quelle dell’Unione Europea. Che però proprio nei giorni scorsi ha congelato il rimborso di 600 milioni di fondi per lo sviluppo regionale: soldi che spesso la Sicilia anticipa riscuotendo successivamente da Bruxelles.
Ci sono poi i casi in cui nel bilancio regionale sono state segnate come entrate cifre che in realtà non si sono poi trasformate in veri e propri guadagni. È il caso della Spi, Sicilia Patrimonio Immobiliare, la società pubblico–privata voluta da Salvatore Cuffaro per valorizzare il patrimonio immobiliare della Regione. La Regione ha iscritto alla voce entrate decine di milioni di euro legati alla possibilità di valorizzazione del parco immobili di Palazzo dei Normanni. Possibilità che non sempre si è concretizzata. Nel frattempo però l’immobiliarista piemontese Enzo Bigotti, socio privato dello Spi, ha battuto cassa per 60 milioni di euro, dopo gli 80 già ottenuti, in relazione al contratto che aveva stipulato con la stessa Regione.
Se da una parte infatti le entrate non arrivano subito nelle casse regionali, dall’altra le uscite si volatilizzano a tempi record. Non potrebbe essere altrimenti visto che la Sicilia alla voce uscite ha degli elementi fissi e pesanti, nonché costosi. Ogni mese dalle casse siciliane escono gli stipendi per oltre 21 mila dipendenti. A questi vanno aggiunti circa nove mila salari che spettano ai lavoratori delle società collegate alla Regione. In più vanno considerati i costi dei quasi tentamila lavoratori socialmente utili e dei dipendenti forestali. Stipendi per oltre un miliardo di euro che salassano i già languidi conti siciliani