Ha vinto il superfavorito della vigilia, ma forse non il più forte. Sono tanti i paradossi di questo Tour de France, conclusosi oggi con la tradizionale passerella sugli Champs-Élysées di Parigi ed il successo di Bradley Wiggins, primo britannico della storia a trionfare alla Grande Boucle.
Un percorso tagliato su misura per un singolo corridore e quasi fatto apposta per addormentare la corsa. Una squadra, il Team Sky, spropositatamente più forte di tutte le altre: il bottino finale – che conta, oltre al primo e al secondo posto della generale, anche 6 successi di tappa e 14 giorni di maglia gialla consecutivi – parla di un dominio incontrastato. E del resto c’è poco da competere contro 30 milioni di budget annuale. Per non parlare dell’assenza di Contador e Andy Schleck, i due più forti ciclisti in circolazione, gli unici che avrebbero potuto inventare qualcosa e far saltare il banco del Team Sky.
Così la novantanovesima edizione della Grande Boucle è stata una delle più piatte degli ultimi anni. Poi per fortuna il ciclismo trova sempre il modo di regalare emozioni ai suoi tifosi. E gli spunti di interesse non sono mancati. Come l’attentato della 14esima tappa, quando un ignoto sabotatore ha riversato sulla strada chiodi e puntine. Il risultato: oltre trenta forature in serie, e la gag di Evans alla disperata ricerca di una bici sana, insieme ad altri tre compagni anch’essi appiedati. Situazione curiosa e forse divertente per gli spettatori, certo un po’ meno per i ciclisti: proprio a causa di una di queste forature Kiserlovsky è caduto e si è fratturato la clavicola. A lui auguri di pronta guarigione, all’autore di questo scherzo di pessimo gusto di venire al più presto identificato ed arrestato.
Sul piano sportivo, invece, è stato il Tour della consacrazione di Peter Sagan, talento slovacco vincitore di tre tappe e destinato a diventare uno dei più forti ciclisti al mondo. E del dominio britannico: fino a qualche anno fa praticamente assente dal panorama del ciclismo internazionale, adesso il Regno Unito (grazie ad una serie di investimenti e allenamenti all’avanguardia) vanta uno dei movimenti più forti al mondo. Dei cinque convocati olimpici ben quattro sono andati a segno in terra francese; e Cavendish, straripante in volata, con la vittoria di oggi a Parigi si candida come favorito numero uno anche per la medaglia d’oro di Londra 2012.
Ma soprattutto è stato il Tour del caso Wiggins–Froome. In realtà, nessuno alla vigilia si sarebbe mai aspettato che il ragazzo originario di Nairobi avrebbe potuto fare una corsa di vertice dalla prima all’ultima tappa. Probabilmente neanche lui. Altrimenti forse non avrebbe accettato il ruolo di gregario dichiarato che lo ha costretto molte volte a far buon viso a cattiva sorte. Sul primo arrivo in salita a La Planche des Belles Filles l’exploit di Froome è stato straordinario: dopo aver tirato per chilometri, è riuscito anche a trovare la forza per sprintare e vincere la volata. Classico compromesso per cui il lavoro del gregario viene premiato con la vittoria di tappa, si pensava. E invece no: con il passare dei giorni è diventata percezione comune che Froome, almeno in salita, fosse nettamente più forte del suo capitano. E il ragazzo ha cominciato a scalpitare: qualche intervista sibillina, gesti di velata insofferenza in corsa, persino delle accelerazioni dimostrative. Ma il team ha evitato che la rivalità degenerasse in lotta fratricida: a La Toussuire l’ammiraglia ha stoppato immediatamente lo scatto di Froome; a Peyragudes è stato Wiggins in persona a richiamarlo all’ordine, letteralmente gridandogli dietro.
Peccato. Senza tutti questi ordini di scuderia avremmo assistito ad un gran duello. Wiggins avrebbe potuto vincere comunque perché imprendibile a crono e solido in salita. Alla fine ha vinto soprattutto perché così doveva essere. Mentre a Froome non resta che rimpiangere il contratto firmato con Sky: milionario certo, ma senza gloria.
Dietro i due britannici si è piazzato il nostro Vincenzo Nibali. E l’Italia non può che salutare con grande soddisfazione questo risultato. Era dai tempi del Basso pre-squalifica che non avevamo un corridore in grado di competere ai massimi livelli: a sette anni di distanza dall’ultima volta, l’Italia torna sul podio del Tour de France. Piuttosto dispiace salutare anche quest’edizione (come già quella dell’anno scorso) senza neppure una vittoria tricolore. Ma va bene comunque: splendido in particolare a Bagnères-de-Luchon, lo ‘Squalo di Messina‘ è stato davvero l’unico ad impensierire quelli del Team Sky, e si è imposto come uno dei protagonisti indiscussi di questo Tour. Consoliamoci con i suoi scatti, dunque. E con una certezza: la maglia gialla potrebbe presto tornare in Italia.
A patto però che l’organizzazione riveda qualcosa e torni a proporre percorsi più impegnativi e interessanti. Per l’edizione del Centenario già si parla di un percorso di forte carica simbolica, che preveda tutte le più grandi vette del Tour de France, dall’Alpe d’Huez al Tourmalet, dal Galibier al Mont Ventoux. Wiggins dovrà allenarsi duro quest’inverno: l’anno prossimo sarà tutta un’altra storia. Si spera.