Per molti anni è stato il “cattivo” della Diaz, il poliziotto che al processo di primo grado, nel 2008, prese la pena più alta: 4 anni per falso, calunnia, lesioni gravi. Nel frattempo ha rimediato anche una condanna pare aver spruzzato spray al peperoncino in faccia a un avvocato, durante le manifestazioni del G8 di Genova. Oggi Vincenzo Canterini, all’epoca del G8 comandante del Reparto mobile di Roma, si vede ricalcolare la pena al ribasso dalla Corte di Cassazione: tre anni e tre mesi, perché il reato di lesioni gravi è prescritto.
Una condanna più lieve rispetto agli alti dirigenti di pubblica sicurezza condannati con sentenza definitiva dalla V sezione penale il 5 luglio 2012: il capo della Direzione centrale anticrimine Franco Gratteri e il dirigente dell’Aisi Giovanni Luperi sono stati condannati a 4 anni per falso aggravato, il capo dello Sco Gilberto Caldarozzi a 3 anni, per lo stesso reato. Tutti immediatamente rimossi dal ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri data l’interdizione dei pubblici uffici prevista dalla sentenza, mentre Canterini era già in pensione.
Per il capo dei “celerini” romani, nei quali era inquadrato il VII nucleo sperimentale protagonista della sanguinosa irruzione conclusa con 60 feriti tra i 93 arrestati, la Corte ha corretto un errore contenuto nella sentenza del 5 luglio: poiché per il reato di lesioni personali gravi “la pena è stata dai giudici territoriali determinata in continuazione con il più grave reato di falso aggravato, in mesi 21 di reclusione – scrivono i giudici – tale aumento deve essere eliminato dalla pena complessiva di anni cinque di reclusione inflitti al Canterini, residuando così a suo carico la pena di anni tre e mesi tre di reclusione”. La condanna è coperta da indulto, come per tutti i 25 poliziotti colpiti dalla sentenza definitiva.
Il ricalcolo diventa anche una sorta di nemesi. Durante il processo Diaz celebrato a Genova è emersa una frattura tra le difese degli alti dirigenti della polizia investigativa e i “celerini” seduti sullo stesso banco degli imputati. Con la tendenza, da parte dei primi, di addossare tutte le colpe sui secondi. Immagini e le testimonianze, però, hanno dimostrato che ad abbandonarsi a pestaggi indiscriminati non furono sono gli uomini del VII Nucleo, ma anche personale che non faceva parte dei reparti antisommossa, cioè uomini di Squadre mobili, Sco, Digos…
Opposta anche la strategia processuale: Canterini ha reso la sua deposizione davanti ai giudici genovesi, e così il suo vice Michelangelo Fournier, comandante del VII, al quale si deve fra l’altro l’ammissione sulla “macelleria messicana” in cui la scuola Diaz si trasformò per una manciata di minuti la notte del 21 luglio 2011. Gratteri, Luperi, Caldarozzi e molti altri colleghi hanno scelto invece di avvalersi della facoltà di non rispondere.
Infine resta agli atti (dell’inchiesta, ma non del processo) la testimonianza del prefetto Arnaldo La Barbera, spedito a Genova direttamente dal capo della polizia Gianni De Gennaro proprio il 21 luglio. La Barbera era davanti alla Diaz al momento dell’irruzione, ma morì nel 2002, prima dei rinvii a giudizio. Ai pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini, La Barbera raccontò di aver colto l’eccessivo nervosismo della truppa davanti al cancello della scuola, dopo due giorni di violenti scontri di piazza (“Ognuno conosce i suoi animali”, sintetizzò il burbero poliziotto, del quale si conoscerà molti anni dopo il ruolo di agente del Sisde). Ma, sempre nella versione di La Barbera, a voler procedere a tutti i costi con l’irruzione fu proprio Canterini. Che al processo e sui giornali, però, smentì in toto il prefetto.