Il piano era questo: via il Cavaliere impresentabile, dentro l’autorevole economista neoclassico (o liberista, per chi preferisce) che faccia una politica di destra e convinca i tedeschi che adesso si possono fidare e prestare la loro garanzia a copertura delle finanze europee. Solo che quel piano è fallito: dopo un paio di manovre, la riforma delle pensioni, quella del lavoro, la spending review e lo svuotamento e la messa in vendita delle municipalizzate che tanto danno fastidio alle multinazionali dei servizi, l’Italia si trova all’ingrosso nella palude in cui era a novembre.
Il Professore per primo, che sa benissimo che la situazione si risolve solo se Angela Merkel cambia atteggiamento (ma non può con le elezioni davanti), è scoraggiato e lo ha spiegato anche a Giorgio Napolitano, il regista del suo arrivo a Palazzo Chigi: “Il mio governo ha fatto tutto quello che poteva”, avrebbe detto il premier al capo dello Stato. Il risultato è che l’avventura dell’ex presidente della Bocconi alla guida dell’esecutivo volge al termine: riforma della legge elettorale e voto in autunno, nelle prime due settimane di novembre, sembra essere la decisione finale dei partiti. La prima conseguenza di questa scelta è già stata plasticamente definita negli incontri di ieri – separati – tra Monti e i segretari di Pd e Pdl, Pier Luigi Bersani e Angelino Alfano: i grandi provvedimenti del governo dei professori sono finiti, il ciclo di riforme si chiude con quei decreti che sono ancora in Parlamento (e sulla spending review, o meglio sui tagli a enti locali e sanità, bisognerà discutere parecchio).
L’Anci: “Allarme paghe” – Al massimo, ad agosto, ci sarà il tempo per tradurre in legge le proposte di Francesco Giavazzi sulla riduzione degli incentivi alle imprese o una (leggera) revisione delle agevolazioni e detrazioni fiscali. Il furore rigorista tedesco applicato da Monti all’Italia non ha sortito l’effetto politico sperato – ovvero l’ammorbidimento dei paesi nordici – ma quello tecnico prevedibile: recessione con tanto di notizie greche, tipo comuni come Lecce – avverte l’Anci – che ad agosto potrebbero non pagare gli stipendi. È così che è arrivato lo stop. D’altronde ieri il governo è sembrato davvero di aver scelto di mettere in folle: non pervenuto il comitato di guerra economico annunciato da la Repubblica, smentito il blocco delle tredicesime per statali e pensionati avanzato da Confcommercio (“alimentare l’allarmismo sociale rischia di causare danni”), maggioranza che si sfalda nelle due Camere lasciando riemergere l’asse PdL-Lega. L’unica zeppa che potrebbe fermare la pietra rotolante delle elezioni anticipate a questo punto è, paradossalmente, la troppa litigiosità dei partiti sulla nuova legge elettorale. Resta che la parabola del governo dei professori, benedetto ed omaggiato nei meglio consessi e circoli internazionali, è finita: prendendo a prestito da altre vicende, si potrebbe dire che ha esaurito la sua spinta propulsiva.
Delusione Passera – Anche l’asse un po’ malandato con Hollande e Rajoy per chiedere a Berlino l’attuazione dello scudo anti-spread non pare funzionare granché: è colpa di una maggioranza raffazzonata e troppo eterogenea, ragionano dalle parti del Pd e dell’Udc, che ha reso eterogeneo e raffazzonato anche il suo governo (ogni riferimento alla “delusione” Corrado Passera è voluto), serve un nuovo Parlamento. Bisogna vedere – a novembre o a marzo che sia, col Porcellum o col Provincellum – quale paese erediterà questa nuova maggioranza politica: l’Italia si presenta ad agosto (il mese delle imboscate finanziarie) con un governo che non ha più un suo compito chiaro davanti e una politica che pare non comprendere dimensioni e cause della resa dei conti cui l’eurozona si sta affacciando. Sarebbe un contrappasso notevole per la hubris pre-politica di chi guidò il “cambio di regime” nel novembre scorso se, dopo neanche un anno, ci ritrovassimo costretti ad accettare la carità pelosa del Fondo monetario che Berlusconi riuscì a rifiutare a Cannes poco prima di essere costretto alle dimissioni.