E’ morto per infarto il consigliere giuridico del presidente della Repubblica Loris D’Ambrosio. Il magistrato, al centro delle polemiche per le telefonate di Nicola Mancino che si lamentava dell’indagine della Procura di Palermo sulla trattativa Stato-mafia, soffriva da tempo di problemi cardiaci. Napolitano però punta il dito contro quanti hanno sollevato in queste settimane dubbi sul ruolo di D’Ambrosio in questa vicenda, a partire dai pm. Ma non solo. Critiche al consigliere sono arrivate in queste settimane da alcuni politici e dai media, con inchieste come quelle condotte anche dal Fatto Quotidiano. Ecco le parole del Capo dello Stato, che annuncia “con animo sconvolto e con profondo dolore la repentina scomparsa del dott. Loris D’Ambrosio, prezioso collaboratore mio come già del mio predecessore e infaticabile e lealissimo servitore dello Stato”. Poi l’affondo con l’espressione di “rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose”.
D’Ambrosio, 65 anni, “ha per lunghi anni – continua Napolitano – prestato alla Presidenza della Repubblica l’apporto impareggiabile della sua alta cultura giuridica, delle sue molteplici esperienze e competenze di magistrato giunto ai livelli più alti della carriera. Egli è stato infaticabile e lealissimo servitore dello Stato democratico, impegnato in prima linea anche al fianco di Giovanni Falcone nel costruire più solide basi di dottrina e normative per la lotta contro la mafia, così come è stato coraggioso combattente della causa della legalità repubblicana contro il terrorismo. In tutte le collaborazioni che da magistrato ha esplicato al servizio delle istituzioni di governo e infine presso la più alta magistratura dello Stato, ha guadagnato generali riconoscimenti e attestati di stima non solo professionale ma innanzitutto morale”.
Il comunicato del presidente della Repubblica alterna il ricordo del percorso professionale e umano di D’Ambrosio agli attacchi rivolti a chi ha recentemente gettato ombre: “Atroce è il rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose cui era stato di recente pubblicamente esposto senza alcun rispetto per la sua storia e la sua sensibilità di magistrato intemerato, che ha fatto onore all’amministrazione della giustizia del nostro Paese. Mi stringo con infinita pena e grandissimo affetto – conclude Napolitano – alla consorte, ai figli, a tutti i famigliari e al mondo della magistratura e del diritto”. D’Ambrosio, secondo alcuni parlamentari, soffriva da tempo di problemi cardiaci. E le reazioni politiche non si sono fatte attendere, da Antonio Di Pietro che esprime cordoglio ma chiede di evitare strumentalizzazioni, a Maurizio Gasparri che parla di “una scomparsa condizionata da eventi recenti”, fino a Fabrizio Cicchitto che usa le stesse parole del Capo dello Stato facendo riferimento a “un’indegna campagna”.
LE TELEFONATE SULL’INCHIESTA DI PALERMO – D’Ambrosio, magistrato e consigliere giuridico del presidente, era stato più volte contattato dall’ex presidente del Senato Nicola Mancino che si lamentava del trattamento ricevuto da parte della Procura di Palermo. In un colloquio con il Fatto il magistrato aveva spiegato di aver ricevuto molte telefonate e lettere da Mancino e di averlo ascoltato perché l’ex ministro dell’Interno era stato tra l’altro presidente del Senato. In quelle conversazioni Mancino si definiva “un uomo solo” Il presidente della Repubblica ha poi sollevato un conflitto di attribuzione con la Corte Costituzionale per la presenza negli atti dell’inchiesta di intercettazioni che lo riguardano. Prive di interesse e di rilevanza penale per la Procura di Palermo che ha più volte spiegato che il capo dello Stato è stato intercettato indirettamente perché al telefono conversava con un indagato ovvero Mancino. Il 22 giugno scorso il Fatto aveva pubblicato l’intercettazione tra D’Ambrosio e Mancino, in cui l’ex ministro dell’Interno fa un riferimento al capo dello Stato parlando di Claudio Martelli che ai magistrati di Palermo ha dato una versione diversa di alcuni eventi rispetto alle stragi del ’92-’93 e le loro conseguenze, rivolgendo otto domande a Napolitano.
Per cercare di mettere in collegamento le ricostruzioni dei vari esponenti politici dell’epoca, gli inquirenti palermitani avevano chiesto nei mesi scorsi un confronto tra l’ex ministro della Giustizia Martelli e lo stesso Mancino. Colloquio che l’ex vicepresidente del Csm ha cercato in tutti i modi di evitare appellandosi segretamente ad un intervento diretto del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Alla fine però il confronto si è fatto ed è emersa un’insanabile discrepanza tra i racconti di Martelli e quelli di Mancino. Il nodo è rappresentato da un incontro tra i due ministri (Mancino era responsabile del ministero dell’Interno, ndr) ai primi di luglio del 1992. L’ex numero due di Bettino Craxi ha raccontato che in quell’incontro si sarebbe lamentato per le attività non autorizzate del Ros. Secondo la procura palermitana, proprio in quei giorni il generale Mario Mori e il suo braccio destro Giuseppe De Donno incontravano in segreto don Vito Ciancimino. Mancino però ha negato che quei colloqui tra il Ros e Ciancimino siano stati oggetti di discussione con Martelli o almeno di non ricordarsi: “Abbiamo parlato di altro e in particolare dell’opportunità di lavorare in sintonia”. I magistrati però non gli hanno creduto iscrivendolo nel registro degli indagati per falsa testimonianza. E non hanno creduto neanche al suo collega Giovanni Conso, iscritto nei giorni scorsi nel registro degli indagati per false informazioni al pm, lo stesso reato contestato ad altri elementi di spicco delle istituzioni. Mancino ha anche affermato di non ricordarsi anche del contenuto delle conversazioni al telefono con il capo dello Stato.