E finalmente Silvio Berlusconi ha parlato. Di fronte a un microfono amico, quello di Milan Channel, però ha parlato. No, non della crisi economica (solo accenni) o della nuova legge elettorale, come ci saremmo aspettati, ma della campagna acquisti della squadra di famiglia, improntata allo smantellamento. A chiamarlo in causa nell’ultima settimana erano stati infatti un po’ tutti. I tifosi inviperiti dalle cessioni eccellenti e la stampa un tempo amica, che per giorni si è chiesta dove fosse il presidente e quale fosse la strategia industriale della società. Addirittura si sono chieste le dimissioni di B. Incredibile, per il presidente più vincente della storia del calcio.
Ma la cosa strana è un’altra. Per la prima volta nella sua storia recente il Milan è sembrato non saper gestire mediaticamente la situazione, sintomo che i tempi sono davvero cambiati. Ricapitoliamo i fatti. Qualche settimana fa la stampa c’informa di un lungo (e faraonico) corteggiamento del Paris Saint Germain (Psg) al forte difensore milanista Thiago Silva. Adriano Galliani vola a Parigi, ma invece di concludere torna con un niente di fatto e, figuriamoci, si rivende la notizia come un grande affare. Bisogna infatti ringraziare Silvio (e la figlia Barbara, che si sarebbe presentata al suo cospetto con un report), se nonostante la crisi non è stato venduto un giocatore importante, e senza cui il Milan sarebbe poco competitivo in Europa. Tutti a ringraziare Silvio, dunque (e Barbara, che ha studiato). Come se non bastasse, Thiago Silva viene riciclato da acquisto dell’anno, e gli si ritocca pure l’ingaggio. Questione di cuore, dicono. Ovviamente non tutto sembra chiaro. Soprattutto il perché una squadra che vuole corteggiare un giocatore non si presenti a Milano, ma aspetti che la squadra scornata vada a casa sua.
E difatti le cose non stanno così. La realtà è che il Milan vuole vendere i giocatori con l’ingaggio alto, nessuno escluso. Vuoi per la crisi, vuoi per le spese pazze, le ammende e i costi processuali di Silvio, che oltretutto ogni anno è costretto a ricapitalizzare la squadra con milioni di euro. E siccome Thiago Silva ha mercato, gli si aggiunge un altro carico da novanta: Zlatan Ibrahimovic. Due per uno o non se ne fa niente. Così passa una settimana e i due vengono venduti al Psg, ma ancora una volta la gestione mediatica dell’affare è disastrosa. Si punta sul fattore crisi: austerity, fair play finanziario, spending review, e tutto ciò che si può dire in inglese. Si fa notare il grande risparmio per la società (ancora una volta sparando cifre a caso: nel risparmio è compreso l’ingaggio di Thiago, il quale è stato furbescamente aumentato qualche giorno prima della cessione). Ma non basta. I tifosi, appena invitati a sottoscrivere l’abbonamento per sostenere il sacrificio “affettivo” della società, s’arrabbiano e fanno una class action. Rivogliono i soldi perché nella pubblicità del tesseramento si vedono in bella vista sia Thiago che Ibra. Una fregatura. Di conseguenza boicottano gli allenamenti, e bombardano Milan Channel di lamentele.
Del resto il Milan è sempre stata l’arma immaginifica più efficace del berlusconismo. Ma anche una cartina di tornasole per capire il paese che si voleva modellare. E’ nata con il Milan la propaganda fatta di immagini patinate e spot ossessivi. Per anni è stato il Milan a rappresentare la prova inconfutabile della presunta capacità imprenditoriale di Berlusconi. Sono stati gli acquisti onerosi a far vedere la forza dell’impero Mediaset. Sono state le non cessioni a mostrare il cuore del suo presidente (come con Kakà, la compravendita più elettorale della storia). Sono state le campagne stampa a ridosso delle elezioni a innalzare il Milan e le sue vittorie, oppure a non menzionarlo a seconda delle convenienze. E’ stato il Milan a portare B. al cospetto del papa. E a permettere quella mutazione dell’italiano che Fedele Confalonieri sintetizzava con: “Prima abbiamo fatto sportivi, poi spettatori, poi elettori”.
Tuttavia fare la propaganda in tempo di crisi non è facile. O comunque non è nelle corde di B. Infatti, se fino a un anno fa la crisi nemmeno c’era e i ristoranti erano pieni, ora “è arrivata una crisi senza eguali nella storia da cui il calcio non si può sottrarre”. Dunque il Milan cambierà strategia. Non più spese folli, ma il modello Barcellona che dà spazio ai giovani ed è tanto di moda. E se ci sono degli investitori esteri che si facciano avanti, sono i benvenuti. Come dire: siccome i soldi sono finiti e in politica fare il ricco non rende più, mettetevi il cuore in pace e accontentatevi dei giocatori che ci sono. Insomma, il “circenses” è finito, mentre per il “panem” vedremo dopo le prossime elezioni. Povero Berlusconi, verrebbe da dire.
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B. inaugura la spending review del Milan. Lontani i tempi del calcio a fini elettorali
Il presidente ha parlato dopo che nei giorni scorsi in molti ne hanno chiesto le dimissioni per le cessioni di Thiago Silva e Ibra. Il Cavaliere è passato dai "ristoranti sempre pieni" all'odierno "è una crisi senza eguali nella storia da cui il pallone non si può sottrarre"
E finalmente Silvio Berlusconi ha parlato. Di fronte a un microfono amico, quello di Milan Channel, però ha parlato. No, non della crisi economica (solo accenni) o della nuova legge elettorale, come ci saremmo aspettati, ma della campagna acquisti della squadra di famiglia, improntata allo smantellamento. A chiamarlo in causa nell’ultima settimana erano stati infatti un po’ tutti. I tifosi inviperiti dalle cessioni eccellenti e la stampa un tempo amica, che per giorni si è chiesta dove fosse il presidente e quale fosse la strategia industriale della società. Addirittura si sono chieste le dimissioni di B. Incredibile, per il presidente più vincente della storia del calcio.
Ma la cosa strana è un’altra. Per la prima volta nella sua storia recente il Milan è sembrato non saper gestire mediaticamente la situazione, sintomo che i tempi sono davvero cambiati. Ricapitoliamo i fatti. Qualche settimana fa la stampa c’informa di un lungo (e faraonico) corteggiamento del Paris Saint Germain (Psg) al forte difensore milanista Thiago Silva. Adriano Galliani vola a Parigi, ma invece di concludere torna con un niente di fatto e, figuriamoci, si rivende la notizia come un grande affare. Bisogna infatti ringraziare Silvio (e la figlia Barbara, che si sarebbe presentata al suo cospetto con un report), se nonostante la crisi non è stato venduto un giocatore importante, e senza cui il Milan sarebbe poco competitivo in Europa. Tutti a ringraziare Silvio, dunque (e Barbara, che ha studiato). Come se non bastasse, Thiago Silva viene riciclato da acquisto dell’anno, e gli si ritocca pure l’ingaggio. Questione di cuore, dicono. Ovviamente non tutto sembra chiaro. Soprattutto il perché una squadra che vuole corteggiare un giocatore non si presenti a Milano, ma aspetti che la squadra scornata vada a casa sua.
E difatti le cose non stanno così. La realtà è che il Milan vuole vendere i giocatori con l’ingaggio alto, nessuno escluso. Vuoi per la crisi, vuoi per le spese pazze, le ammende e i costi processuali di Silvio, che oltretutto ogni anno è costretto a ricapitalizzare la squadra con milioni di euro. E siccome Thiago Silva ha mercato, gli si aggiunge un altro carico da novanta: Zlatan Ibrahimovic. Due per uno o non se ne fa niente. Così passa una settimana e i due vengono venduti al Psg, ma ancora una volta la gestione mediatica dell’affare è disastrosa. Si punta sul fattore crisi: austerity, fair play finanziario, spending review, e tutto ciò che si può dire in inglese. Si fa notare il grande risparmio per la società (ancora una volta sparando cifre a caso: nel risparmio è compreso l’ingaggio di Thiago, il quale è stato furbescamente aumentato qualche giorno prima della cessione). Ma non basta. I tifosi, appena invitati a sottoscrivere l’abbonamento per sostenere il sacrificio “affettivo” della società, s’arrabbiano e fanno una class action. Rivogliono i soldi perché nella pubblicità del tesseramento si vedono in bella vista sia Thiago che Ibra. Una fregatura. Di conseguenza boicottano gli allenamenti, e bombardano Milan Channel di lamentele.
Del resto il Milan è sempre stata l’arma immaginifica più efficace del berlusconismo. Ma anche una cartina di tornasole per capire il paese che si voleva modellare. E’ nata con il Milan la propaganda fatta di immagini patinate e spot ossessivi. Per anni è stato il Milan a rappresentare la prova inconfutabile della presunta capacità imprenditoriale di Berlusconi. Sono stati gli acquisti onerosi a far vedere la forza dell’impero Mediaset. Sono state le non cessioni a mostrare il cuore del suo presidente (come con Kakà, la compravendita più elettorale della storia). Sono state le campagne stampa a ridosso delle elezioni a innalzare il Milan e le sue vittorie, oppure a non menzionarlo a seconda delle convenienze. E’ stato il Milan a portare B. al cospetto del papa. E a permettere quella mutazione dell’italiano che Fedele Confalonieri sintetizzava con: “Prima abbiamo fatto sportivi, poi spettatori, poi elettori”.
Tuttavia fare la propaganda in tempo di crisi non è facile. O comunque non è nelle corde di B. Infatti, se fino a un anno fa la crisi nemmeno c’era e i ristoranti erano pieni, ora “è arrivata una crisi senza eguali nella storia da cui il calcio non si può sottrarre”. Dunque il Milan cambierà strategia. Non più spese folli, ma il modello Barcellona che dà spazio ai giovani ed è tanto di moda. E se ci sono degli investitori esteri che si facciano avanti, sono i benvenuti. Come dire: siccome i soldi sono finiti e in politica fare il ricco non rende più, mettetevi il cuore in pace e accontentatevi dei giocatori che ci sono. Insomma, il “circenses” è finito, mentre per il “panem” vedremo dopo le prossime elezioni. Povero Berlusconi, verrebbe da dire.
B.COME BASTA!
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Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "L'Italia ha ribadito che continueremo a sostenere l'Ucraina anche nel documento approvato oggi alla Camera e ieri al Senato. E' un impegno che noi manteniamo, continueremo a fare la nostra parte. Noi non siamo mai stati in guerra con la Russia e non abbiamo mai autorizzato l'uso di nostre armi da parte degli ucraini in territorio russo". Lo ha detto Antonio Tajani a 5 Minuti su Raiuno.
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "Mi pare che la telefonata Trump-Putin sia un segnale positivo così come quella tra Trump e Zelensky. Noi abbiamo chiesto che l'Ucraina fosse coinvolta e questo è accaduto. Noi incoraggiamo tutte le iniziative che portano alla pace. Non è facile ma qualche speranza c'è". Lo ha detto il vicepremier Antonio Tajani a 5 Minuti su Raiuno.
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "Si tratta di garantire la sicurezza dell'intera Unione europea. C'è bisogno di rafforzare la sicurezza europea ma questo non significa essere guerrafondai. Per garantire la pace serve un equilibrio delle forze in campo per garantire la sicurezza dell'Europa e dell'Italia. Stiamo lavorando in questa direzione come un buon padre di famiglia che mette le finestre blindate perchè la sua famiglia sia al sicuro". Lo dice il vicepremier Antonio Tajani a 5 Minuti su Raiuno. "Bisogna avere il coraggio di andare avanti: l'Europa è l'unico modo per essere sicuri".
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "Meloni non ha attaccato Altiero Spinelli. Mi sembra una tempesta in un bicchier d'acqua. Spinelli è un personaggio illustre della storia europea, lo rispetto e la presidente Meloni non lo ha mai offeso". Lo dice il vicepremier Antonio Tajani a 5 Minuti su Raiuno.
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - Sarà una 'magia comunicativa' delle sue, come dicono in Transatlantico dalle parti della maggioranza, quella di Giorgia Meloni che con l'attacco oggi in aula al Manifesto di Ventotene ha sviato l'attenzione dalle tensioni del centrodestra. Ma lo stesso effetto, la premier lo ha provocato anche nel campo avversario: le opposizioni divise, che si sono presentate in aula con 6 risoluzioni diverse, sono tornate a parlare con una sola voce nella difesa del Manifesto antifascista di Ventotene, testo fondante dell'Unione europea, sul quale la presidente del Consiglio ha detto di non riconoscersi: "Quella non è la mia Europa".
Duro il commento di Elly Schlein: "Giorgia Meloni ha deciso in aula di nascondere le divisioni del suo governo oltraggiando la memoria europea. Noi non accettiamo tentativi di riscrivere la storia". Scrive Matteo Renzi sui social. "La Meloni non ama Ventotene perché la storia di Ventotene dice il contrario della storia di Giorgia Meloni. Le prossime elezioni saranno un referendum tra chi crede nelle idee di Ventotene e tra chi crede in Giorgia Meloni. Noi non abbiamo dubbi su da che parte stare".
L'effetto delle parole della premier si è visto anche nel voto delle risoluzioni. Dopo le divisioni nel Pd sul piano ReArm Eu, composte in una lunga mediazione, si temevano comunque 'scarti' rispetto alle indicazioni di voto. Non si sono verificati. "Tutto il gruppo ha votato compatto", si fa sapere. E i tabulati lo confermano. Unica eccezione Lorenzo Guerini, che oltre alla risoluzione del Pd, ha votato a favore anche a quelle di Azione e Più Europa, meno critiche rispetto al testo dem sul piano ReArm Eu.
Nel dettaglio, il Pd ha votato ovviamente la sua risoluzione, bocciato quella della maggioranza, dato voto favorevole al punto del testo Avs in cui si dice no all'espulsione dei palestinesi da Gaza e contro, invece, alla richiesta sempre di Alleanza Verdi e Sinistra di interrompere l'invio di forniture militari a Kiev. Su quest'ultimo punto ci sarebbe stata qualche non partecipazione al voto tra i dem. Insomma, un risultato 'ordinato' dopo giorni di tensione nel Pd.
Altro punto che è stato rimarcato da tutte le opposizioni è stata l'assenza in aula, al momento delle dichiarazioni di voto, della premier Meloni. Dopo l'attacco al Manifesto di Ventotene, in aula si è accesa la polemica. Tra gli interventi è già virale sui social quello appassionato del dem Federico Fornaro. "Non è accettabile fare la caricatura di quegli uomini, lei presidente Meloni siede in questo Parlamento anche grazie a loro, questo è un luogo sacro della democrazia e noi siamo qua grazie a quei visionari di Ventotene che erano confinati politici. Si inginocchi la presidente del Consiglio di fronte a questi uomini e queste donne, altro che dileggiarli", ha gridato commuovendosi in aula.
Dopo le tensioni, il timing dell'aula è slittato di diverse ore, quando ormai Meloni era già in partenza per il Consiglio europeo a Bruxelles. Di fronte alle proteste per l'assenza della presidente del Consiglio è intervenuto in aula il sottosegretario Alfredo Mantovano: "I governo ha massimo rispetto nei confronti del Parlamento, e in particolare la presidenza del consiglio e la presidente del consiglio, che però aveva presente il programma originario dell'Aula che avrebbe concluso i lavori nel primo pomeriggio e in questo momento è già in volo per Bruxelles".
Una precisazione che non ha convinto le opposizioni. "Giorgia Meloni -attacca Elly Schlein- è fuggita di nuovo, non la vedevamo dal dicembre scorso e le volte che si è palesata in aula si contano sulle dita di una mano. Si è chiusa per mesi nel silenzio imbarazzato di chi non sa cosa dire o non vuole dire cosa pensa". E poi Giuseppe Conte: "Avete cambiato idea su Ventotene, ma sfiorate l'irriconoscenza. Presidente Meloni adesso è volata a Bruxelles, non vedeva l'ora, eppure poteva rimanere". Quindi Angelo Bonelli: "Questo è il manifesto di Ventotene, glielo avrei regalato alla presidente ma lei fugge dal dibattito parlamentare, anche perché ha un problema con la Lega".
Al netto delle posizioni diverse all'interno del campo delle opposizioni, tutti i gruppi di minoranza evidenziano di contro quelle presenti nelle maggioranza. E stamattina il capogruppo leghista Riccardo Molinari ha servito un assist su questo parlando in tv. Lo rilancia Schlein: "La Lega ha sostanzialmente commissariato la presidente Meloni dicendo che non ha mandato per esprimersi al Consiglio Ue". La segretaria Pd insiste nelle divisioni della maggioranza: "Nella vostra risoluzione, per non dividervi in tre posizioni diverse, avete fato sparire la difesa comune e il piano di riamo di Ursula von der Leyen, l'avete scritta con l'inchiostro simpatico. Facile far sparire le proposte divisive, ci credo che siete compatti, non avete scritto nulla".
Rimarca Maria Elena Boschi: "La Lega ha linea chiara, e l'ha detto: lei non ha mandato per andare al Consiglio Ue". E poi Riccardo Magi: "Meloni è scaltra e furba. Vuole farci parlare delle sue oscene parole e della sua esegesi sbagliata e truffaldina del Manifesto di Ventotene per nascondere che non ha una linea di politica estera e non ha una maggioranza in politica estera. Non lo dico io ma lo ha detto il capogruppo della Lega, Molinari". Ed ancora Bonelli: Meloni "oggi ha fatto scientemente quest'operazione" su Ventotene "perché Molinari lo ha detto chiaramente che non ha il mandato per dire sì a Rearm Europe". Infine Matteo Richetti di Azione: "Mentre discutevamo è uscita una dichiarazione di Molinari in cui dice che Meloni non ha il mandato per trattare: con tanti saluti per la risoluzione di maggioranza...".
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "È grave che Rai News abbia censurato l’ultima parte del discorso della segretaria Schlein. Dallo sfiduciato Petrecca, un ultimo colpo di coda a sostegno della propaganda di governo, forse come ringraziamento per il passaggio di sede." Così i componenti democratici del gruppo PD in Commissione di vigilanza Rai, che hanno deciso di riportare integralmente la parte del discorso "censurato".
Eccola: “La Presidente Meloni non solo non ha il coraggio di difendere i valori su cui l’Unione s’è fondata dagli attacchi di Trump e di Musk, ma ha deciso qui di nascondere le divisioni del governo oltraggiando la memoria europea. Noi non accettiamo i vostri tentativi di riscrivere la storia. Lei in quest’aula ha oltraggiato la memoria del manifesto di Ventotene, riconosciuto da tutti come la base su cui si è fondata l’Unione europea, perché scritto da giovani mandati al confino dai fascisti che non risposero all’odio e alla privazione di libertà con altro odio, ma con una visione di Europa federale che superasse i nazionalismi che nel nostro continente hanno prodotto soltanto guerre, anche oggi. Non si permetta mai più di oltraggiare la memoria di Altiero Spinelli, Ursula Hirschmann, Ernesto e Ada Rossi, Eugenio Colorni, se siamo qui a discutere in un Parlamento democratico è grazie a persone come loro. Lei dice che quell’Europa non è la sua. E allora le chiedo se la sua Italia è quella della Costituzione perché sono gli stessi antifascisti che l’hanno scritta. E stiamo ancora aspettando che si dichiari antifascista pure lei”.
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - Via libera all'unanimità da parte dell'aula del Senato al progetto di legge sui viaggi nella memoria nei campi nazisti per le scuole. Approvato anche il ddl sui Nuovi giochi della Gioventù.