La terza Olimpiade ospitata a Londra, dopo le edizioni del 1908 e del 1948, sarà ricordata come l’edizione più costosa della storia dei Giochi. Perché, visto il clamoroso fallimento in termini economici cui stanno andando incontro il governo britannico e l’assemblea di Londra, difficilmente per una prossima Olimpiade saranno spesi così tanti soldi. A fronte di un prospetto di spesa di 2,4 miliardi, quantificato dal precedente governo laburista quando il 6 luglio 2005 a Singapore il Cio decise di assegnare i Giochi alla capitale britannica, la cifra negli anni è cresciuta dieci volte tanto, arrivando a una spesa totale di soldi pubblici di 24 miliardi di sterline.

Le stime governative si assestano ancor oggi a 9,3 miliardi di sterline, l’ultima previsione dei laburisti nel 2007. L’annunciò l’ex ministro per le Olimpiadi laburista Tessa Jowell – per inciso, anche ex moglie dell’avvocato Mills – quando ammise che il governo avrebbe dovuto attingere dai fondi della National Lottery per trovare nuove risorse. Da allora anche il nuovo ministro conservatore per lo sport Hugh Robertson, ha mantenuto la cifra. Ma così non è. Ai 9,3 miliardi dichiarati dal governo, bisogna aggiungere almeno altri 2,5 miliardi di spese olimpiche non contabilizzate: costi operativi e sperse legali, aiuti alle amministrazioni locali per il viaggio della fiaccola olimpica, aumento dei fondi destinati alla squadra britannica e all’antidoping, acquisto di terreni per la costruzione dei siti olimpici (oltre 750 milioni) e spese per il loro mantenimento e riconversione. Più varie ed eventuali. E si arriva a sfiorare i 12 miliardi.

Ma la cifra è destinata a raddoppiare, secondo un calcolo all-inclusive effettuato pochi mesi fa dall’emittente britannica Sky News, che comprende anche le ‘spese olimpiche’ all’interno dei vari pacchetti su sicurezza e trasporti. Oltre ai mancati ‘tagli’, che hanno colpito sanità, istruzione, lavoro e pensioni ma hanno evitato qualsiasi cosa avesse il logo olimpico. Secondo l’emittente britannica, ai 12 miliardi vanno quindi aggiunti: 1,1 miliardi per l’antiterrorismo – come da decreto ministeriale “destinati alle Olimpiadi 2012”, 4,4 miliardi di extra per i servizi di sicurezza e d’intelligence e 6,5 miliardi per i trasporti. Per giungere quindi alla cifra di 24 miliardi di spesa pubblica (10 volte tanto le stime iniziali del 2005) così suddivisa: 63% dal Governo, 13% dall’assemblea di Londra e dai consigli di zona, 23% dai fondi della lotteria nazionale.

Ancora l’altro giorno il primo ministro conservatore Cameron ha annunciato trionfante che nei prossimi quattro anni l’economia britannica grazie all’eredità olimpica beneficerà di 13 miliardi di sterline: 1 dalla vendita di prodotti made in Britain, 6 in investimenti stranieri, 2 dall’aumento del turismo, 4 da opportunità varie. Per quella che è chiaramente più una speranza che un calcolo concreto di costi e opportunità. Anche perché i fatti gli stanno dando torto. Il lobbying politico-economico si è rivelato un boomerang, con i potenziali investitori che l’hanno accusato di “fare televendite”. Il turismo invece che crescere è crollato: sono desolatamente vuoti alberghi, negozi, musei, teatri e ristoranti. E dopo le paranoie sulla sicurezza e sul possibile caos della mobilità cittadina, Londra si è trasformata in una città fantasma.

L’economia della capitale britannica è fondata sul terziario e sui servizi. E il flop olimpico del turismo con i suoi danni collaterali – spiegano gli analisti – rischia di far continuare la recessione che ha colpito il paese nei due primi quadrimestri dell’anno (la peggiore degli ultimi cinquant’anni) piuttosto che offrire una via d’uscita. Diversi studi mostrano come da Barcellona 1992 a Pechino 2008 le Olimpiadi sono sempre state presentate come un toccasana per l’economia nazionale, salvo poi rivelarsi un pessimo affare: profitti privati (sponsor e speculazioni edilizie) e drammatiche perdite per le casse dello stato. Ma forse a qualche politico va bene così. Quando nel 2005 l’allora premier Blair apparecchiò la tavola olimpica (costo stimato 2,4 miliardi, poi salito a 9,3), la presentò come “un’opportunità unica per l’economia britannica”. Oggi è arrivato il conto di 24 miliardi, e i commensali continuano a ridere. Lo pagheranno i cittadini.

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