Mentre Antonio Di Pietro depositava la richiesta di un referendum per abolire la diaria parlamentare, con codazzo di giornalisti e gran battage mediatico, ha chiuso senza troppa pubblicità quello lanciato da un piccolo partito (Up, Unione popolare) proprio per cancellare l’onorevole privilegio. Un’operazione partita in sordina ad aprile e diventata improvvisamente un caso rovente in rete, tra accuse di censura alla stampa da parte dei promotori, dubbi sulla validità mossi da una frangia di firmatari ravveduti e dai grillini, polemiche sui pochi moduli a disposizione dei comuni e gran minestrone di pareri (e contropareri) di costituzionalisti sul destino delle firme raccolte.
A migliaia, pare, a detta di chi le ha ricevute dagli 8mila comuni in via Aurelia 145, sede di Unione Popolare. Tante che sono state necessarie tre stanze per accatastarle tutte, tante che perfino le suore di clausura di Bergamo hanno firmato, tante che daun gruppo di 20 volontari fa i turni per aprire la montagna di buste. La loro sarà una corsa contro il tempo perché l’8 agosto il segretario politico di Up Maria Di Prato intende presentare i risultati direttamente a Montecitorio (ore 10.30). E forse sarà anche l’occasione per chiarire le intenzioni del comitato che aveva annunciato di voler proseguire nella raccolta firme da ottobre a dicembre. Un supplemento dovuto ai fortissimi dubbi sulla validità di quelle raccolte tra maggio e luglio che potrebbero essere destinate al cassonetto bianco della carta accanto alla Cassazione. La legge che disciplina la materia referendaria (art. 31 della L. 352 del 1970) con gli articoli 28 e 31 vieta espressamente il deposito delle firme nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e impone che quelle raccolte siano non più vecchie di 90 giorni dalla data di vidimazione dei fogli.
Calendario alla mano, l’ortodossia costituzionale rende carta straccia le firme e apre semmai una finestra temporale – stavolta legittima – in autunno, da ottobre a dicembre, con eventuale deposito a gennaio e svolgimento nel 2014. Un particolare emerso solo in corso d’opera che ha gettato il sospetto su tutta l’operazione con accuse di dilettantismo, populismo, malafede da parte di alcuni firmatari prima e del movimento di Grillo poi. La strana guerra tra movimenti anti-casta si è intensificata settimana scorsa e ha comunque acceso i riflettori sul referendum di Up. “Fino a venti giorni fa nessuno ci dava attenzione – raccontano i promotori – Dovevamo pregare i giornali perché segnalassero che si poteva firmare nei comuni. Alla fine dobbiamo anche ringraziare chi ci ha attaccati perché da lì in poi il gruppo Up di Facebook è passato da 3mila iscritti a 25mila”. Qualcuno però nel frattempo se n’è anche andato. O meglio è stato bannato. Dal gruppo è stato cancellato chi sollevava dubbi e perplessità chiedendo con insistenza chiarimenti. Ma la censura in rete non paga mai e alla fine i “bannati di Up” hanno già trovato ospitalità nel gruppo “I giovani che non si arrendono”. Stanno anche pensando di aprire un sito di controinformazione per raccontare la loro sul referendum anticasta e le reali mire di chi lo ha organizzato. I promotori spiegano: “Era diventato impossibile dare informazioni agli iscritti perché lo spazio era inondato di polemiche e accuse e in ogni caso sono stati tutti avvertiti dall’amministratore che non sarebbero più stati tollerati fuori programma a scopo puramente polemico e disfattista”. Punto. La discussione si continua anche nelle più alte sfere del costituzionalismo italiano.
Quando è venuto fuori il sospetto di illegittimità delle firme i promotori hanno cercato tra i professionisti del referendum un sostegno, una speranza. Che si è tradotta pochi giorni fa, quasi a ridosso della chiusura della campagna, in un parere sottoscritto da ben 10 tra professori e costituzionalisti italiani. La loro tesi è che le firme raccolte possano essere di fatto “congelate” nell’anno che precede il voto per poi essere depositate in quello successivo. Quindi quelle raccolte nel frattempo non sarebbero nulle anche se più vecchie di 90 giorni. Sulla base di questo parere potrebbe aprirsi quindi un contenzioso in Corte Costituzionale in caso le firme venissero annullate in Cassazione. Questa tesi, sposata anche da un padre putativo di tante iniziative referendarie come il professor Andrea Morrone, si scontra con pareri opposti di altrettanto stimati colleghi. Il presidente dell’Associazione dei costituzionalisti Valerio Onida ad esempio non ha dubbi: le firme raccolte sono totalmente inutili. “Il motivo è che questo parere fa riferimento a un periodo di sospensione del termine ma la legge non indica affatto una sospensione, dinca i periodi consentiti e non consentiti. Poi c’è la regola generale che impone di presentare le richieste entro tre mesi dalla vidimazione dei fogli con le firme”. Quindi niente da fare, la pezza non regge. In ogni caso i promotori per ora hanno di che sorridere. Dalla loro hanno l’innegabile risultato di aver indotto migliaia di cittadini ad andare in comune e a pretendere di firmare, di aver mobilitato molti più cittadini contro la casta, dando un segnale che va dritto a Roma. Se poi si sia trattato di un’operazione strumentale a fini politici (Up si presenterà alle elezioni, lo ha annunciato al Fatto il segretario Di Prato) e se lo sforzo sarà stato vano si vedrà. Intanto l’Idv ha presentato anche il suo referendum anticasta che comprende un quesito per l’abrogazione della diaria sulla falsa riga di quello che si è chiuso oggi. Insomma, Di Pietro e Di Prato che seminano nel campo dell’antipolitica. Uniti dalla speranza di raccogliere i frutti a primavera direttamente nell’urna.
Politica
Unione popolare, referendum anticasta. Onida: “Firme raccolte sono inutili”
Si è chiusa la raccolta delle adesioni per il quesito che intende cancellare la diaria parlamentare. L’ortodossia costituzionale le rende carta straccia, come sostiene anche il presidente dell’Associazione dei costituzionalisti, e apre semmai una finestra temporale in autunno, da ottobre a dicembre, con eventuale deposito a gennaio e svolgimento nel 2014
Mentre Antonio Di Pietro depositava la richiesta di un referendum per abolire la diaria parlamentare, con codazzo di giornalisti e gran battage mediatico, ha chiuso senza troppa pubblicità quello lanciato da un piccolo partito (Up, Unione popolare) proprio per cancellare l’onorevole privilegio. Un’operazione partita in sordina ad aprile e diventata improvvisamente un caso rovente in rete, tra accuse di censura alla stampa da parte dei promotori, dubbi sulla validità mossi da una frangia di firmatari ravveduti e dai grillini, polemiche sui pochi moduli a disposizione dei comuni e gran minestrone di pareri (e contropareri) di costituzionalisti sul destino delle firme raccolte.
A migliaia, pare, a detta di chi le ha ricevute dagli 8mila comuni in via Aurelia 145, sede di Unione Popolare. Tante che sono state necessarie tre stanze per accatastarle tutte, tante che perfino le suore di clausura di Bergamo hanno firmato, tante che daun gruppo di 20 volontari fa i turni per aprire la montagna di buste. La loro sarà una corsa contro il tempo perché l’8 agosto il segretario politico di Up Maria Di Prato intende presentare i risultati direttamente a Montecitorio (ore 10.30). E forse sarà anche l’occasione per chiarire le intenzioni del comitato che aveva annunciato di voler proseguire nella raccolta firme da ottobre a dicembre. Un supplemento dovuto ai fortissimi dubbi sulla validità di quelle raccolte tra maggio e luglio che potrebbero essere destinate al cassonetto bianco della carta accanto alla Cassazione. La legge che disciplina la materia referendaria (art. 31 della L. 352 del 1970) con gli articoli 28 e 31 vieta espressamente il deposito delle firme nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e impone che quelle raccolte siano non più vecchie di 90 giorni dalla data di vidimazione dei fogli.
Calendario alla mano, l’ortodossia costituzionale rende carta straccia le firme e apre semmai una finestra temporale – stavolta legittima – in autunno, da ottobre a dicembre, con eventuale deposito a gennaio e svolgimento nel 2014. Un particolare emerso solo in corso d’opera che ha gettato il sospetto su tutta l’operazione con accuse di dilettantismo, populismo, malafede da parte di alcuni firmatari prima e del movimento di Grillo poi. La strana guerra tra movimenti anti-casta si è intensificata settimana scorsa e ha comunque acceso i riflettori sul referendum di Up. “Fino a venti giorni fa nessuno ci dava attenzione – raccontano i promotori – Dovevamo pregare i giornali perché segnalassero che si poteva firmare nei comuni. Alla fine dobbiamo anche ringraziare chi ci ha attaccati perché da lì in poi il gruppo Up di Facebook è passato da 3mila iscritti a 25mila”. Qualcuno però nel frattempo se n’è anche andato. O meglio è stato bannato. Dal gruppo è stato cancellato chi sollevava dubbi e perplessità chiedendo con insistenza chiarimenti. Ma la censura in rete non paga mai e alla fine i “bannati di Up” hanno già trovato ospitalità nel gruppo “I giovani che non si arrendono”. Stanno anche pensando di aprire un sito di controinformazione per raccontare la loro sul referendum anticasta e le reali mire di chi lo ha organizzato. I promotori spiegano: “Era diventato impossibile dare informazioni agli iscritti perché lo spazio era inondato di polemiche e accuse e in ogni caso sono stati tutti avvertiti dall’amministratore che non sarebbero più stati tollerati fuori programma a scopo puramente polemico e disfattista”. Punto. La discussione si continua anche nelle più alte sfere del costituzionalismo italiano.
Quando è venuto fuori il sospetto di illegittimità delle firme i promotori hanno cercato tra i professionisti del referendum un sostegno, una speranza. Che si è tradotta pochi giorni fa, quasi a ridosso della chiusura della campagna, in un parere sottoscritto da ben 10 tra professori e costituzionalisti italiani. La loro tesi è che le firme raccolte possano essere di fatto “congelate” nell’anno che precede il voto per poi essere depositate in quello successivo. Quindi quelle raccolte nel frattempo non sarebbero nulle anche se più vecchie di 90 giorni. Sulla base di questo parere potrebbe aprirsi quindi un contenzioso in Corte Costituzionale in caso le firme venissero annullate in Cassazione. Questa tesi, sposata anche da un padre putativo di tante iniziative referendarie come il professor Andrea Morrone, si scontra con pareri opposti di altrettanto stimati colleghi. Il presidente dell’Associazione dei costituzionalisti Valerio Onida ad esempio non ha dubbi: le firme raccolte sono totalmente inutili. “Il motivo è che questo parere fa riferimento a un periodo di sospensione del termine ma la legge non indica affatto una sospensione, dinca i periodi consentiti e non consentiti. Poi c’è la regola generale che impone di presentare le richieste entro tre mesi dalla vidimazione dei fogli con le firme”. Quindi niente da fare, la pezza non regge. In ogni caso i promotori per ora hanno di che sorridere. Dalla loro hanno l’innegabile risultato di aver indotto migliaia di cittadini ad andare in comune e a pretendere di firmare, di aver mobilitato molti più cittadini contro la casta, dando un segnale che va dritto a Roma. Se poi si sia trattato di un’operazione strumentale a fini politici (Up si presenterà alle elezioni, lo ha annunciato al Fatto il segretario Di Prato) e se lo sforzo sarà stato vano si vedrà. Intanto l’Idv ha presentato anche il suo referendum anticasta che comprende un quesito per l’abrogazione della diaria sulla falsa riga di quello che si è chiuso oggi. Insomma, Di Pietro e Di Prato che seminano nel campo dell’antipolitica. Uniti dalla speranza di raccogliere i frutti a primavera direttamente nell’urna.
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Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Gli attacchi aerei non scoraggeranno i ribelli yemeniti, i quali risponderanno agli Stati Uniti. Lo ha scritto sui social Nasruddin Amer, vice capo dell'ufficio stampa degli Houthi, aggiungendo che "Sana'a rimarrà lo scudo e il sostegno di Gaza e non la abbandonerà, indipendentemente dalle sfide".
"Questa aggressione non passerà senza una risposta e le nostre forze armate yemenite sono pienamente pronte ad affrontare l'escalation con l'escalation", ha affermato l'ufficio politico dei ribelli in una dichiarazione alla televisione Al-Masirah.
In un'altra dichiarazione citata da Ynet, un funzionario Houthi si è rivolto direttamente a Trump e a Netanyahu, che "stanno scavando tombe per i sionisti. Iniziate a preoccuparvi per le vostre teste".
Damasco, 15 mar. (Adnkronos) - L'esplosione avvenuta nella città costiera siriana di Latakia ha ucciso almeno otto persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale Sana, secondo cui, tra le vittime della detonazione di un ordigno inesploso, avvenuta in un negozio all'interno di un edificio di quattro piani, ci sono tre bambini e una donna. "Quattordici civili sono rimasti feriti, tra cui quattro bambini", ha aggiunto l'agenzia.
Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Almeno nove civili sono stati uccisi e nove feriti negli attacchi statunitensi su Sanaa, nello Yemen. Lo ha dichiarato un portavoce del ministero della Salute guidato dagli Houthi su X.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Sono lieto di informarvi che il generale Keith Kellogg è stato nominato inviato speciale in Ucraina. Il generale Kellogg, un esperto militare molto stimato, tratterà direttamente con il presidente Zelensky e la leadership ucraina. Li conosce bene e hanno un ottimo rapporto di lavoro. Congratulazioni al generale Kellogg!". Lo ha annunciato su Truth il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Oggi ho ordinato all'esercito degli Stati Uniti di lanciare un'azione militare decisa e potente contro i terroristi Houthi nello Yemen. Hanno condotto una campagna implacabile di pirateria, violenza e terrorismo contro navi, aerei e droni americani e di altri paesi". Lo ha annunciato il presidente americano Donald Trump su Truth. Senza risparmiare una stoccata all'ex inquilino della Casa Bianca, il tycoon aggiunge nel suo post che "la risposta di Joe Biden è stata pateticamente debole, quindi gli Houthi sfrenati hanno continuato ad andare avanti".
"È passato più di un anno - prosegue Trump - da quando una nave commerciale battente bandiera statunitense ha navigato in sicurezza attraverso il Canale di Suez, il Mar Rosso o il Golfo di Aden. L'ultima nave da guerra americana ad attraversare il Mar Rosso, quattro mesi fa, è stata attaccata dagli Houthi più di una decina di volte. Finanziati dall'Iran, i criminali Houthi hanno lanciato missili contro gli aerei statunitensi e hanno preso di mira le nostre truppe e i nostri alleati. Questi assalti implacabili sono costati agli Stati Uniti e all'economia mondiale molti miliardi di dollari, mettendo allo stesso tempo a rischio vite innocenti".
"L'attacco degli Houthi alle navi americane non sarà tollerato - conclude Trump - Utilizzeremo una forza letale schiacciante finché non avremo raggiunto il nostro obiettivo. Gli Houthi hanno soffocato le spedizioni in una delle più importanti vie marittime del mondo, bloccando vaste fasce del commercio globale e attaccando il principio fondamentale della libertà di navigazione da cui dipendono il commercio e gli scambi internazionali. I nostri coraggiosi Warfighters stanno in questo momento portando avanti attacchi aerei contro le basi, i leader e le difese missilistiche dei terroristi per proteggere le risorse navali, aeree e di spedizione americane e per ripristinare la libertà di navigazione. Nessuna forza terroristica impedirà alle navi commerciali e navali americane di navigare liberamente sulle vie d'acqua del mondo".
Whasington, 15 mar. (Adnkronos) - Funzionari statunitensi hanno affermato che gli attacchi aerei contro l'arsenale degli Houthi, gran parte del quale è sepolto in profondità nel sottosuolo, potrebbero durare diversi giorni, intensificandosi in portata e scala a seconda della reazione dei militanti. Lo scrive il New York Times. Le agenzie di intelligence statunitensi hanno lottato in passato per identificare e localizzare i sistemi d'arma degli Houthi, che i ribelli producono in fabbriche sotterranee e contrabbandano dall'Iran.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - Funzionari statunitensi hanno detto al New York Times che il bombardamento su larga scala contro decine di obiettivi nello Yemen controllato dagli Houthi - l'azione militare più significativa del secondo mandato di Donald Trump - ha anche lo scopo di inviare un segnale di avvertimento all'Iran. Il presidente americano - scrive il quotidiano Usa- vuole mediare un accordo con Teheran per impedirgli di acquisire un'arma nucleare, ma ha lasciato aperta la possibilità di un'azione militare se gli iraniani respingono i negoziati.