Ritratto di una famiglia “a disposizione” della ‘ndrangheta. Gente di Reggio Calabria. Professionisti di quella buona borghesia che sempre di più si presta a far da sponda agli uomini delle cosche. Per gestire affari e per tirare volate a politici amici.
La famiglia Giglio da Reggio Calabria interpreta alla perfezione il ruolo. Almeno seguendo il racconto del penito Roberto Moio. Il verbale del 9 novembre 2010 è messo agli atti dell’inchiesta Assenzio che solo pochi giorni fa ha sollevato il velo sull’ennesima connivenza tra colletti bianchi e ‘ndrangheta. Al centro c’è la bancarotta della Vally calabria srl, società che per anni è stata leader nel settore della grande distribuzione. Poi la bancarotta, quindi l’ingresso di nuovi soci che hanno agevolato l’infiltrazione e gli interessi della cosca De Stefano. Tra gli indagati per la (sola) bancarotta c’è anche l’avvocato Mario Giglio. Un cognome, il suo, noto alle cronache reggine, ma anche a quelle milanesi. Suo fratello Vincenzo, infatti, assieme al cugino è coinvolto nell’inchiesta coordinata dal procuratore Ilda Boccassini sugli interessi della cosca Valle-Lampada.
Professionisti si diceva. E infatti. Mario Giglio è avvocato. Suo fratello è medico-chirurgo. Mentre il cugino che si chiama sempre Vincenzo Giglio di mestiere, addirittura, fa il giudice e sarà per il suo ruolo che i magistrati lo accusano di aver favorito la ‘ndrangheta, traghettando verso gli uomini dei clan notizie riservate su indagini in corso.
A Milano il medico è accusato di concorso esterno, mentre il magistrato se la dovrà vedere con un’accusa di corruzione aggravata dal metodo mafioso.
La trama è complessa. Le parole di Roberto Moio, oggi pentito, ma un tempo uomo di fiducia di un padrino di rispetto come Giovanni Tegano, aiutano a districare la matassa, lasciando sul tavolo un dato incontrovertibile: oggi la ‘ndrangheta (a Reggio Calabria come a Milano) può contare su famiglie “a disposizione”. I Giglio dunque. “Una famiglia – dice Moio- che ha fatto politica”. Alt un attimo. Conferme? Molte a scorrere l’informativa dell’inchiesta Meta (anno 2010) sui rapporti tra mafia e politica. Si legge di come buona parte degli appalti pubblici del comune di Reggio “venivano affidati alla ditta Minghetti, poiché appoggiata, in ambito comunale, dai fratelli Giglio”.
Riprendiamo. Roberto Moio: “I Giglio? Sono professionisti (…) e parecchie volte si sono portati alle elezioni”. Spiegazione: “Loro hanno avuto sempre una parte politica e di grosse conoscenze, come nostro aiuto”. Il giudice dunque scioglie la sintassi e chiede. “E’ una famiglia quindi da tramite tra le famiglie De Stefano – Tegano e soggetti politici?”. Moio conferma e aggiunge di conoscerli beni e di aver ricevuto da loro richieste di voti “per loro e per altre persone”. In cambio i De Stefano-Tegano facevano affidamento sui loro favori.
Mafia, politica e sanità. Inutile girarci attorno. Il copione è questo. Mario Giglio, ad esempio, vanta, nel suo curriculum, un ruolo di capo-struttura nello staff del vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno. “Salvo passare – annotano i magistrati – subito dopo l’omicidio (di Fortugno il 16 ottobre 2005) a stringere accordi con l’acerrimo nemico elettorale di Fortugno, Domenico Crea, successivamente arrestato e poi condannato all’esito del primo grado di giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa”. Nome dell’inchiesta: Onorata sanità.
E di interessi sulla sanità, si alimenta l’inchiesta milanese a carico dei Lampada. Sì perché, sostengono i pm, il giudice Giglio per dare seguito alle richieste su informazioni riservate, chiede un ruolo importante per la moglie Alessandra Sarlo. La signora, infatti, sarà promossa alla direzione dell’Asl di Vibo Valentia. Uno spostamento finito sotto la lente dei magistrati di Catanzaro che hanno iscritto sul registro degli indagati (accusa di abuso d’ufficio) il governatore Giuseppe Scopelliti e un suo assessore
Nella famiglia Giglio, dunque, la politica è di casa. E così anche Vincenzo, il medico, oltre a intrattenere inquietanti rapporti con i servizi segreti, tenta la scalata elettorale e per farlo si appoggia a Giulio Giuseppe Lampada, mente finanziaria, sostengono i pm milanesi, della cosca Condello. Lampada sta a Milano e sotto la Madonnina Vincenzo Giglio ci viene spesso e volentieri. Obiettivo: consolidare i rapporti con i Lampada. Il motivo lo si scopre nel febbraio 2008 (a pochi mesi dalle elezioni politiche). Il medico Giglio, infatti, sogna una candidatura nel movimento politico (oggi sciolto) de La Rosa Bianca fondata da Bruno Tabacci e Mario Baccini, all’epoca fuoriusciti dall’Udc di Casini. Per questo lo stesso Lampada in quel periodo apparecchia incontri con politici di rilievo anche governativo. E se Giglio sogna, Lampada ci spera e al telefona confida: “Rifletti un attimo ma se per puro caso questi signori calcolano che devono prendere un quattro e questo terzo polo prende il dieci Enzo Giglio diventa deputato a Roma”. In cambio i due fratelli Giglio, nel giugno 2009, si daranno da fare per supportare la candidature a consigliere comunale nel comune di Cologno Monzese di Leonardo Valle.
Ma naturalmente l’appoggio politico ha un prezzo. Spiega Roberto Moio: “La famiglia Giglio è a disposizione dei Tegano De Stefano”. Ribadisce: “Con noi comunque sono state sempre delle persone a disposizione”. Insomma gente vicina alla ‘ndrangheta. “E del resto non l’hanno mai toccati a loro, bruciato macchine, messo bombe, mai!”. Perché i Giglio “erano gente sempre di un certo rispetto. E credo pure, anzi, ne sono convinto, c’era un’amicizia particolare pure con i De Stefano”.
Insomma, per la prima volta dalle carte giudiziarie emerge netto, chiaro e inquietante il ritratto (con ruoli, oneri e onori) di una famiglia della buona borghesia a disposizione di una delle più potenti cosche della ‘ndrangheta.