Si chiama comunità, si legge holding e la sua denominazione legale è no profit: in realtà San Patrignano è soltanto l’ultima delle società della galassia Moratti vicina a sprofondare. Troppi i buchi in bilancio, troppi gli sperperi negli anni, tante fotografie sui giornali, assegni girati e poca sostanza. I soldi per pagare i dipendenti rischiano di finire, la dinastia dei Muccioli è finita alla porta, la comunità è divisa per fazioni. Ma soprattutto i soldi che Gianmarco Moratti ogni sei mesi versava sui conti della comunità terapeutica sono sempre meno, a fronte di una richiesta sempre più alta.
La gestione affidata ad Andrea Muccioli, durata vent’anni, è terminata nell’agosto dello scorso anno. Fu un colpo di spugna di Letizia. L’ex sindaco di Milano, fresca di sconfitta, dà una settimana di tempo al figlio di Vincenzo Muccioli per sloggiare. Si accorge di un dissesto economico che va ben oltre il lecito. “Appena esce da palazzo Marino”, dice oggi la moglie di Andrea, Cristina Fontemaggi, in un’intervista al settimanale Oggi, “non va più bene niente. Contestano tutto a mio marito, ricevute di ristoranti, viaggi, ma soprattutto la ristrutturazione della villa che abbiamo deciso insieme, noi e i Moratti. Casa di proprietà della comunità, ma nella quale dovevamo andare a vivere noi e dove era stato ricavato un appartamento per loro, Letizia e Gianmarco. Ma dopo sette anni di architetti mandati da Milano e di progetti, si accorgono che c’è una crisi economica e troppo sfarzo. Un pretesto per mettere alla porta mio marito”.
La storia della casa che fu di proprietà di Vincenzo Muccioli, più che sfarzo è spreco: tre piani, 900 metri quadri calpestabili e un valore che si aggira attorno ai 4 milioni di euro. Una spesa di mezzo milione di euro solo per le scale e 20 mila euro per un porta-telefono in legno di Norvegia. Piccolezze, forse, ma che avrebbero contribuito ad arricchire il buco nel bilancio, fino ad arrivare alla soglia dei 20 milioni. Una “casa di Batman” alla romagnola, ma che – sostiene la moglie di Muccioli – i Moratti hanno contribuito a costruire. Anzi, l’hanno fortemente voluta: “Noi siamo stati messi alla porta, siamo finiti in affitto e non ci hanno concesso nemmeno un aiuto”, spiega a chi la intervista. Perché nella logica delle comunità morattiana anche questo era lecito, l’istituzione di un parco auto a disposizione dei singoli, una sorta di scuderia per le auto blu.
In realtà – dicono fonti della comunità di Coriano, sulle colline di Rimini – questa è sempre stata la gestione, prima di Vincenzo, poi del figlio e adesso dei Moratti. Una gestione condivisa, perché le cose le decidevano insieme.
Così, mentre la signora Letizia si è proclamata ambasciatrice di San Patrignano, anche se formalmente la gestione è affidata a un comitato di garanti, le spese da un anno a questa parte le fanno i 1.320 ospiti della comunità più discussa di sempre, quella capace di passare dalle vicende giudiziarie più torbide e mai chiarite fino in fondo, alle inaugurazioni con lustrini e paillettes. Fino alle ville milionarie. “Non sappiamo quanto ancora i Moratti abbiano intenzione di investire nell’azienda Sanpa”, spiegano i senatori della comunità.
L’ultimo bilancio conosciuto, quello del 2010, la dice lunga: 36 milioni e 386 mila euro spesi, ricavi per 35 milioni e 624 euro. Un disavanzo già evidente, ma basta leggere con attenzione dove vengono prodotti i ricavi: 19 milioni e 400 mila euro provengono dalle donazioni. E le donazioni sono quasi esclusivamente l’assegno di Gianmarco Moratti. Con questo peso Sanpa sopravvive. E la comunità vuol dire 350 dipendenti. Una fabbrica. Una fabbrica che rischia la bancarotta.
Senza contare i veleni, che resistono e che oggi, dopo un anno di silenzio, la famiglia Muccioli spara contro i vecchi amici Moratti: “La gestiscono come cosa loro, in realtà tutto quello che a San Patrignano c’è, è stato costruito da mio suocero prima e mio marito poi. Lui ha rischiato la vita per come è stato trattato. Oggi non è più il momento di tacere. Parlo io. E dico che i Moratti hanno tradito ogni patto e oggi fanno da padroni”.
Padroni non si sa per quanto, visto i costi che sono costretti a sostenere. Dipendenti, ville, auto, uffici stampa, ristoranti di nuovissima apertura, negozi. La holding no profit del profondo rosso. In bilancio.