E’ passato poco tempo da quell’ “ammartaggio” mozzafiato, che il rover Curiosity ha subito iniziato a catturare e a inviare sulla Terra immagini spettacolari del Pianeta Rosso. La missione Mars Science Laboratory è per ora un completo successo. Il robot dell’agenzia spaziale americana ha infatti superato a pieni voti i 7 lunghi minuti della fase finale di atterraggio in cui non c’è stato controllo da Terra, ma solo il lavoro di programmazione del rover. In quelli che sembravano sette interminabili minuti Curiosity è passato da una velocità di 20.000 chilometri all’ora ai 3,6 del momento in cui ha toccato il suolo di Marte, verso le 7.30 ora italiana di ieri.
Curiosity non è l’ennesimo robot mandato su Marte, ma è un gigante di 900 chili, costruito con sei ruote e in grado di avanzare di 200 metri al giorno, di giorno e di notte, e di scansionare tutto ciò che gli sta attorno, analizzando sul posto i campioni del suolo per poi inviare i risultati sulla Terra. In pratica, Curiosity non ha nulla a che vedere con i suoi illustri predecessori, Spirit e Opportunity. Il rover atterrato ieri su Marte è infatti un vero e proprio laboratorio scientifico semovente che se ne andrà in giro, per almeno due anni, intorno al cratere Gale. Si tratta di una zona dell’emisfero Sud di Marte del diametro 154 chilometri che si pensa sia rimasto immerso in acqua liquida per molto tempo. Inoltre, il cratere dovrebbe ospitare grandi quantità di argilla che, fra i minerali, è quella più adatta a conservare eventuali tracce della vita microbica. Per questo Curiosity si aggirerà proprio nei pressi di quel cratere con l’obiettivo di scoprire se un tempo Marte fosse compatibile con qualche forma di vita. O, ancora meglio, se lo è anche adesso. Gli scienziati della Nasa ci tengono però a sottolineare che il robot non è stato progettato per la caccia ai marziani – qualora ci fossero – ma solo per capire se la loro presenza, nel passato o nel presente, è possibile.
Per il team dell’agenzia spaziale americana, quindi, sarà come leggere le pagine di un libro sulla storia geologica di Marte, per capire se e quando il pianeta possa aver ospitato condizioni favorevoli alla vita. “Se sui pianeti più vicini al nostro c’è o c’è stata la vita, Marte è sicuramente il candidato migliore”, conferma l’astronoma Margherita Hack. “Certo, lassù le condizioni sono estreme aggiunge – ma oggi sappiamo che ci sono forme di vita sulla Terra che riescono a sopravvivere in luoghi molto ostili”.
Le attese per questa missione sono altissime, anche e soprattutto in vista del 2018, anno in cui debutterà ExoMars, programma europeo di esplorazione marziana nel quale l’Italia ha un ruolo di primo piano. Sarà questa missione ad aprire la vera e propria caccia ai marziani. Tuttavia, l’esito del lavoro di Curiosity sarà fondamentale anche per il programma europeo. Perché lo scopo della missione della Nasa non è solo di studiare il Pianeta Rosso. “Curiosity sarà anche un importante banco di prova di alcune tecnologie che potranno essere utilizzate in futuro”, spiega Enrico Flamini, coordinatore scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). “Il rover della Nasa potrà insegnarci molte cose e contribuirà a progettare e programmare le prossime missioni sul Pianeta Rosso”, aggiunge. Ma come? “Aver provato di riuscire a far atterrare in punti precisi un rover – ha detto Flamini – significa avere l’opportunità di far lavorare insieme due o più robot. E in futuro anche robot e astronauti”.
C’è inoltre un pezzetto d’Italia in Curiosity. “Si tratta di un chip – dice Flamini – che contiene l’autoritratto di Leonardo Da Vinci e il Codice del Volo, il quaderno, risalente al 1505, su cui il maestro toscano ha disegnato e descritto il volo degli uccelli e quello della sua Macchina Volante. Gli scritti di Leonardo ci ricordano che lo sforzo di allargare i nostri orizzonti attraverso la tecnologia e la creatività sono una caratteristica distintiva della storia dell’uomo”. Inoltre, l’Asi ha definito un accordo con la Nasa affinché alcuni tecnici italiani siano presenti al Jet Propulsion Laboratory (JPL), il centro di gestione della missione, dove lavoreranno a stretto contatto con gli specialisti americani per imparare a governare un robot marziano. “In questo modo vogliamo prepararci al nostro prossimo sbarco su Marte”, conclude Flamini.
di Valentina Arcovio