Passano i giorni, ma il candidato repubblicano alla vicepresidenza non appare. Mitt Romney assicura di considerare per il posto “un vasto numero di gente molto qualificata”. Beth Myers, a capo del gruppo incaricato di selezionare i candidati, segue ormai come un’ombra Romney – era con lui qualche giorno fa in Colorado, poi in Virginia – segno che la scelta dovrebbe essere vicina. Eppure la designazione ufficiale non arriva, la stampa moltiplica le congetture e il rischio è, come spiegano diversi funzionari e militanti repubblicani, che la campagna di Romney si perda tra mille voci e non riesca a focalizzare un messaggio.
Il fatto è che la scelta del candidato vicepresidente ha quest’anno un valore diverso rispetto al passato. A detta di molti tra gli stessi repubblicani, Romney è un candidato non particolarmente incisivo, capace di articolare i temi dell’economia ma in difficoltà quando si tratta di trasmettere entusiasmo, fiducia e un’idea di futuro. Oltre a essere particolarmente carente in molte tra le aree di naturale competenza di un presidente degli Stati Uniti, come dimostra il suo recente, e disastroso, viaggio in Israele. Ecco quindi che la scelta del running mate, dell’uomo che dovrà accompagnarlo nell’avventura elettorale, diventa particolarmente importante. Romney non ha bisogno di un Dan Quayle, imbarazzante vicepresidente di Bush padre (a sua volta pallido vice di Ronald Reagan). Romney ha bisogno di un compagno che indichi la strada scelta dalla campagna repubblicana e identifichi alcune idee forti; un compagno, o una compagna, come ha spiegato il deputato repubblicano dell’Oklahoma Tom Cole, “che non si limiti a raccogliere il voto degli americani scontenti della presidenza Obama, ma che sollevi entusiasmo per la campagna Romney”.
PAUL RYAN – Un candidato perfetto per il ruolo di “motore di entusiasmo” della base repubblicana potrebbe essere Paul Ryan, deputato del Wisconsin e chairman del Committee on the Budget della Camera. A 42 anni, Ryan è il leader della frangia più radicale dei liberisti Usa. Adorato dagli editorialisti del Wall Street Journal e del Weekly Standard, politico con una forte allure intellettuale, Ryan è autore del budget elaborato dai repubblicani in risposta a quello di Obama del 2010, e che prevede tagli massicci alle tasse per i più ricchi, congelamento della spesa pubblica per i prossimi cinque anni e cancellazione del ‘Medicare’, la sanità pubblica per gli ultrasessantacinquenni, sostituita da voucher statali da spendere con le assicurazioni private. La scelta di Ryan, sponsorizzata dai repubblicani della Camera e da guru conservatori come William Kristol e Stephen Hayes, darebbe alla campagna di Romney quella scossa a lungo cercata e metterebbe l’economia al centro del dibattito (“Se il budget di Ryan sarà al centro del dibattito per i prossimi tre mesi, chi meglio di Ryan saprà difenderlo?”, ha scritto Kristol). A favore del giovane deputato ci sono poi due altri elementi. Viene dal Wisconsin, uno Stato conquistato da Barack Obama nel 2008 ma che la sua candidatura a vicepresidente potrebbe rimettere in gioco. L’avvenenza fisica di Ryan, e la sua retorica particolarmente brillante, potrebbero infine rivelarsi una carta vincente in tempi di dibattiti elettorali televisivi.
A sconsigliare la scelta di Ryan sono però i settori più pragmatici del partito, preoccupati che la scure liberista invocata dal deputato del Wisconsin possa spaventare gli indipendenti e allontanare il voto dei più anziani, un blocco elettorale tradizionalmente vicino ai repubblicani. Facile infatti immaginare che con Ryan candidato vicepresidente i democratici comincerebbero ad agitare lo spettro della sua proposta sul Medicare (David Axelrod, stratega di Obama, ha offerto un’anticipazione di questa strategia scrivendo in una mail che Romney e Ryan significano “maggiori tagli alle tasse per i più ricchi, drammatica sottrazione di fondi per il Medicare e fine dell’impegno federale per educazione, ricerca e sviluppo”). Contro Ryan giocano anche altri due fattori. Il deputato del Wisconsin è, appunto, un deputato, un membro del Congresso, e potrebbe non risultare gradito a quella fetta di elettorato stanco di Washington e mosso da pulsioni anti-establishment. Di più. La stella di Ryan, particolarmente brillante, potrebbe oscurare Romney (un candidato che addirittura evita di rispondere a domande non preparate dei giornalisti, nel timore di fare gaffe). “Romney cerca un mini-me, non una co-star”, come ha spiegato Mike Murphy, stratega elettorale repubblicano.
La strategia del “mini-me”, meno affascinante ma sicuramente più prudente, potrebbe allora far cadere la scelta di Romney su uno dei seguenti nomi: Rob Portman, Tim Pawlenty e Bobby Jindal.
ROB PORTMAN – Portman, autodefinitosi “il più conservatore senatore dell’Ohio dai tempi di Robert Taft”, è cresciuto alla scuola politica di Bush padre ed è stato direttore dell’Office of Management and Budget di Bush figlio. Nonostante l’etichetta di guerriero conservatore che si è imposta, è un moderato nella tradizione della vecchia élite repubblicana, espressione dello stesso establishment Ivy League dei Bush (ha studiato a Dartmouth), capace, nella sua carriera politica, di realizzare intese bipartisan con i democratici. Contro di lui vengono citati due fattori. Non piace ai conservatori, che non gli perdonano il balzo della spesa pubblica ai tempi di George W. Bush. E, proprio in quanto ex-collaboratore di Bush figlio, potrebbe riportare alla memoria degli elettori uno dei periodi meno felici della storia americana.
TIM PAWLENTY – L’altro nome “tranquillo” nella rosa dei candidati è quello di Tim Pawlenty, ex-governatore del Minnesota ed ex-candidato alla nomination repubblicana. Nelle ultime settimane è stato proprio Pawlenty il politico più vicino a Romney, arrivando in alcune occasioni a sostituirlo nelle occasioni pubbliche (da qui, per lui, il soprannome di “surrogato” che gli ha dato la stampa americana). La candidatura ha alcuni punti di forza non indifferenti. Pawlenty viene da una famiglia operaia, è stato governatore di uno Stato del Midwest ed è un cristiano evangelico; tutti elementi che dovrebbero attutire l’immagine da aristocratico della East Coast di Romney. Contro Pawlenty c’è però una sorta di peccato originale, almeno per le truppe dei conservatori Usa: da governatore del Minnesota, cercò di imporre una “tassa della salute” da 75 centesimi su ogni pacchetto di sigaretta venduto.
BOBBY JINDAL – L’attuale governatore della Louisiana potrebbe avere dalla sua l’origine etnica – i genitori vengono dal Punjab – capace di portare al ticket repubblicano una sfumatura di diversità che per ora manca, oltre a doti di amministratore riconosciute dagli stessi democratici e dimostrate nel 2008, ai tempi dell’uragano Gustav, quando in Lousiana il governatore Jindal presiedette all’evacuazione di due milioni di persone, una delle più vaste della storia americana. A sconsigliare la scelta di Jindal c’è un dato personale. Non è infatti dotato di particolari doti comunicative, e nei discorsi pubblici appare piuttosto anonimo.
L’incapacità di trasmettere entusiasmo e interesse potrebbe essere del resto l’handicap di tutti e tre i candidati di cui più si parla – Portman, Pawlenty, Jindal. “Romney ha bisogno di fare una scelta sicura, senza però risultare noioso”, spiega ancora lo stratega repubblicano Mike Murphy.
ALTRI CANDIDATI – Ecco perché in queste ore, che dovrebbero essere quelle finali e decisive, si affastellano altri nomi di possibili running mates di Romney: altrettanto sicuri, ma un po’ più eccitanti. C’è chi parla di Condoleeza Rice (che ha però un handicap: è pro-aborto). Chi fa i nomi di Michael Bloomberg, il sindaco di New York, di Meg Whitman, la Ceo di Hewlett-Packard, dell’esplosivo pastore battista Mike Huckabee, del governatore del New Jersey Chris Christie e persino degli ex-nemici Newt Gingrich e Rick Santorum. In cima alla lista dei sogni repubblicani resta però lui, David Petraeus, il generale delle guerre in Iraq e Afghanistan e l’attuale direttore della Cia. Petraeus porterebbe alla campagna competenze militari e di politica estera che sembrano mancare a Romney, oltre che un capitale di rispetto e ammirazione pressoché illimitato: Petraeus, definito da Obama “uno dei più grandi strateghi militari della storia”, è stato confermato direttore della Cia dall’unanimità dei senatori Usa. Secondo voci non confermate, Romney avrebbe incontrato Petraeus nei giorni scorsi in New Hampshire, offrendogli la vice-presidenza. Secondo le stesse fonti, Petraeus avrebbe risposto di no. Il generale a quattro stelle starebbe infatti pensando a una candidatura alla presidenza, nel 2016, e non avrebbe nessuna intenzione di diventare il “mini-me” di Mitt Romney.