L’Ilva non può produrre, sarebbe una chiara reiterazione del reato che aggraverebbe la disastrosa situazione ambientale e sanitaria di Taranto. È, in estrema sintesi, il contenuto del decreto che il giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco ha notificato ieri ai vertici dell’Ilva. Poche pagine per fare chiarezza dopo la decisione del Riesame che ha confermato il sequestro senza facoltà d’uso degli impianti. Il giudice ha ribadito il concetto che gli impianti potranno essere utilizzati solo ed esclusivamente per le operazioni relative alla loro messa in sicurezza, non alla produzione.

Nel documento il gip scrive infatti che il «Riesame ha confermato il sequestro preventivo delle aree e degli impianti indicati nel decreto emesso il 25.07.2012 da questo gip, misura che – va ribadito – è, e non può che essere, funzionale alla tutela delle esigenze preventivo-cautelari indicate dalla legge». In sostanza, secondo il gip, il riesame ha riconosciuto la «sussistenza dei presupposti legittimanti il sequestro preventivo» e quindi la «grave ed attualissima situazione di emergenza ambientale e sanitaria in cui versa il territorio di Taranto, imputabile alle emissioni inquinanti (convogliate, diffuse e fuggitive) dello stabilimento Ilva spa e, segnatamente, di quegli impianti ed aree del siderurgico sottoposti a vincolo cautelare». Stop quindi ai lavori nell’area dei Parchi Minerali, Cokerie, Agglomerato, Altiforni, Acciaierie e Gestione materiali ferrosi per evitare un peggioramento della già allarmante situazione ionica che ha portato all’apertura del fascicolo per disastro ambientale.

Sulla nomina dei quattro amministratori il gip Todisco ha spiegato i ruoli e le competenze di ciascuno: all’ingegner Barbara Valenzano, coadiuvata da Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento – nominati direttamente dallo stesso gip – è attribuita la figura del gestore, del responsabile «dell’attuazione delle prescrizioni e procedure impiantistiche che si renderanno necessarie in attuazione del provvedimento di sequestro preventivo degli impianti “a caldo” e degli impianti tecnicamente connessi agli stessi», del responsabile «delle misure tecniche necessarie per eliminare situazioni di pericolo e della attuazione dei monitoraggi, con potere di spesa (previa approvazione dell’autorità giudiziaria) relativamente alle aree sottoposte a sequestro, nonché a quelle tecnicamente connesse».

Ai tre amministratori del gip insomma il compito di porre in essere tutte le prescrizioni per ambientalizzare lo stabilimento, come disposto dalla magistratura, mentre al presidente del cda Ilva, Bruno Ferrante, nominato custode e amministratore dal tribunale del riesame, il gip attribuisce la figura del datore di lavoro, «quale soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell ’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell ’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa». A Ferrante inoltre il compito di attuare le «prescrizioni e procedure impiantistiche che si renderanno necessarie in attuazione del provvedimento di AIA per gli impianti non interessati in alcun modo dal provvedimento di sequestro preventivo». Insomma una separazione dei poteri fra amministratori che impedirà all’azienda di partecipare attivamente alla realizzazione di quel documento che stabilirà gli interventi per la messa a norma e sancirà il futuro dell’Ilva. Operazioni che dovranno essere spiegate settimanalmente allo stesso giudice che ha richiesto ai tecnici un continuo aggiornamento sullo stato dell’arte.

Precisazioni che non sono piaciute al gruppo Riva che ha convocato un urgente Consiglio d’amministrazione e attraverso una nota a firma di Ferrante ha fatto sapere di aver già «dato mandato ai propri legali di impugnare immediatamente il provvedimento del giudice delle indagini preliminari di Taranto».

Un nuovo focolaio quindi sembra già pronto a svilupparsi nell’estate tarantina, già abbastanza torrida.

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