Dal oggi non ci saranno più scuse: gli organi sociali delle aziende quotate e pubbliche dovranno essere composti per almeno un quinto da donne. Qualche giorno prima di Ferragosto, in pieno clima vacanziero, diventa operativa a tutti gli effetti la legge “bipartisan” sulle quote rosa, promossa dalle deputate Lella Golfo (Pdl) e Alessia Mosca (Pd) e approvata in Parlamento un anno fa. La questione sulla presenza femminile ai vertici delle aziende è approdata alla Camera già all’inizio di questa legislatura – che ha preso il via a fine aprile del 2008 – quando sia Golfo sia Mosca hanno presentato due progetti di legge separati sul tema, che in un secondo momento sono stati accorpati.
La legge, come primo passo, stabilisce che il 20 per cento dei posti disponibili negli organi di amministrazione e controllo (tipicamente consigli di amministrazione e collegi sindacali) sia riservato al genere meno rappresentato, cioè sempre quello femminile. Le società dirette interessate non saranno chiamate ad allinearsi il 12 agosto stesso, ma in occasione del primo rinnovo degli organi, in genere di durata triennale. Dal 2015, invece, l’incidenza femminile dovrà salire a un terzo (anche in questo caso si concede tempo fino alla scadenza degli organi) mentre nel 2022 la legge Golfo-Mosca esaurirà la propria efficacia. L’auspicio delle due parlamentari promotrici – e non solo loro – è di riuscire a creare, nell’arco di un decennio, un contesto più favorevole all’ascesa delle donne ai vertici aziendali, così che poi, negli anni successivi, non si renda più necessario forzare la mano.
Ma vediamo con qualche esempio pratico come alcune società quotate in Borsa, con un po’ di anticipo sui tempi, si sono già allineate alla legge sulle quote rosa. Unicredit, la prima banca italiana, ad esempio, a maggio ha rinnovato il consiglio di amministrazione, l’organo che tipicamente delibera sulle decisioni più importanti delle società. Il consiglio risulta ora composto da 19 amministratori, quattro dei quali sono donne. Nel dettaglio, si tratta di Henryka Bochniarz, presidente della Confederazione polacca dei datori di lavoro privati Lewiatan (simile alla nostrana Confindustria), Helga Jung, candidata dal socio di Unicredit Allianz (colosso assicurativo tedesco), dove siede ai posti di vertice, Marianna Li Calzi, avvocato vicino agli azionisti della Fondazione Banco di Sicilia, e Lucrezia Reichlin, professore ordinario e direttore del dipartimento di economia alla London Business School, tra le università più prestigiose di Londra. Dal 2013, invece, ipotizzando che il numero di componenti dell’organo resti 19, nel consiglio della banca milanese dovrà esserci una presenza femminile di almeno sette consiglieri (dividendo 19 per tre si ottiene 6,33 e approssimando per eccesso si arriva a sette).
Anche Fiat si è portata avanti di qualche mese sulle quote rosa, nominando, a inizio aprile, un nuovo consiglio di amministrazione, composto da nove membri (ridotti rispetto al numero precedente), due dei quali donne. Si tratta di Patience Wheatcroft, giornalista e componente della Camera dei Lord inglese, candidata dall’azionista di maggioranza, ossia la cassaforte della famiglia Agnelli Exor, e Joyce Victoria Bigio, ex direttore finanziario di Sotheby’s Italia. Quest’ultima, nel 2010, è stata inserita dall’università Bocconi e dalla società di revisione e consulenza PriceWaterhouse nella classifica delle 300 italiane qualificate per fare il proprio ingresso nei cda della società con l’avvio delle quote rosa.
La legge non stabilisce né requisiti né incompatibilità particolari su chi deve occupare le poltrone femminili degli organi societari; in altri termini, le quote rosa possono essere rispettate anche ricorrendo a consiglieri legati agli azionisti di riferimento da rapporti di parentela o amicizia. Per spingere in direzione di una selezione basata sul merito, Pwa Milan, associazione di professioniste con base a Milano, ha lanciato il portale “Ready for board women”, ossia la prima lista in Italia di donne qualificate per incarichi nei cda a essere resa pubblica e navigabile sul web. La lista è continuamente aggiornata e al momento contiene 225 nomi individuati con la collaborazione della Sda Bocconi. Iniziativa simile anche per la Fondazione Bellisario, che ha raccolto i curriculum di 2.500 donne “capaci” e nella maggior parte dei casi laureate e con master.
A monitorare sul rispetto delle quote rosa da parte delle aziende quotate, sia private sia a prevalente controllo pubblico, è Consob, la Commissione di vigilanza sulla Borsa, che a febbraio ha emanato il regolamento attuativo e che, in caso di mancato adeguamento da parte delle società, è anche dotata di poteri sanzionatori. Se la composizione del cda non rispetta le quote rosa, Consob diffida la società interessata affinché si adegui alla legge entro quattro mesi. In caso di inottemperanza alla diffida, l’Autorità di controllo della Borsa fissa un nuovo termine ad adempiere di tre mesi, dopodiché i componenti eletti decadono dalla carica. Resta ferma la possibilità, da parte di Consob, di applicare apposite sanzioni amministrative pecuniarie, che possono variare da 100.000 euro a 1 milione.
Per le aziende a partecipazione pubblica non quotate in Borsa, come ad esempio la Rai, le Poste e le Ferrovie dello Stato, il discorso è ancora diverso, perché a vigilare sul rispetto delle quote è il ministero per le Pari opportunità in questo momento rappresentato dal ministro del Lavoro Elsa Fornero. In questo caso, ad approvare il regolamento attuativo è, invece, stato il Consiglio dei ministri, che si è mosso in questo senso soltanto il 3 agosto. Una mossa in extremis che ha fatto sì che qualcuno criticasse il governo Monti di scarsa attenzione alla legge sulle quote rosa. Anche se però va ricordato che in occasione del recente rinnovo dei vertici della Rai è stato proprio l’esecutivo in carica a spingere perché la presidenza fosse affidata ad Anna Maria Tarantola, già vice direttore generale della Banca d’Italia.