Pierfrancesco Guarguaglini, 75 anni di cui cinquanta nell’industria di Stato, poi un’uscita di scena tra i fischi. In questa calda estate da pensionato nella sua Castagneto Carducci, come si sente? “Come uno che è sempre stato onesto e qualche volta bischero”. Bischero come rafforzativo di onesto? “No, bischero come rafforzativo di bischero”.
Partiamo dalla fine. Lei viene messo alla porta il primo dicembre scorso dopo un anno e mezzo di bufera sulla Fin-meccanica. Perché non ha mollato prima?
Non avevo fatto niente.
La Finmeccanica stava tutti i giorni sui giornali, con sua moglie Marina Grossi, manager della controllata Selex Sistemi Integrati, indagata. L’azienda non ne soffriva?
L’azienda funzionava. Nel 2010 abbiamo preso ordini per 21 miliardi di euro.
Ma alla fine se n’è andato.
Mi hanno tolto la delega sulle strategie. Giuseppe Orsi, il mio successore alla presidenza, lavorava da mesi per questo obiettivo. Quando si è insediato il governo tecnico, sono andato a parlare con il sottosegretario Catricalà. Ho detto: “Mettetemi per iscritto che me ne devo andare e me ne vado”. Lui ha detto che sentiva il premier, poi mi richiama e mi dice: “Fai quello che vuoi”.
E lei ha trattato la buonuscita da 5 milioni di euro.
Erano 4 milioni, ma non ho trattato niente, quei soldi mi erano dovuti per contratto. Poi c’era un milione e mezzo per il patto di non concorrenza di un anno, e quelli eramegliosenonliprendevo,guadagnavo di più con le consulenze che ho dovuto rifiutare.
Ha ancora mercato?
Come ingegnere sono bravino.
Laureato a Pisa.
Al collegio Pacinotti, stava in piazza dei Cavalieri, di fronte alla Scuola Normale.
Piazza ben frequentata.
Mi ricordo Giuliano Amato, i fratelli Cassese, Tiziano Terzani, il matematico Giorgio Letta, padre di Enrico, Remo Bodei. Si studiava. Per vedere un po’ di ragazze andavamo a sorbirci le lezioni d’italiano di Luigi Russo. Dopo la laurea presi il Phd all’University of Pennsylvania. Poi sono andato alla Selenia.
Mai aziende private.
Ma ho sempre difeso la mia autonomia di pensiero continuando a studiare, a tenermi aggiornato. Quando alla Selenia è arrivato Michele Principe non ho accettato che si dicesse “quelli non si fanno lavorare perché sono comunisti”.
Lei è, o era, di sinistra?
No, ma ho fatto tutti gli scioperi dell’autunno caldo.
Perché lasciò la Selenia?
Le ho detto, non mi piacevano le interferenze politiche. Ricordo bene, 15 novembre 1983, mi dimisi da direttore generale. C’era Marisa Bellisario che doveva sbaraccare uno stabilimento Italtel dell’Aquila, e decisero con Gianni De Michelis di portare lì per compensazione una produzione di nostri missili Aspide. Era un’assurdità. Tutti gli altri dirigenti Selenia abbassavano la testa. Io no.
Disoccupato per tre mesi.
Poi direttore generale alla Galileo, mille persone contro 8 mila di Selenia.
All’Efim, carrozzone peggio dell’Iri. E non c’erano interferenze politiche?
Certo, ma si fermavano al capo, Sergio Ricci. Ci faceva da scudo. Anche quando ero alla Oto Melara, dentro Finmeccanica, il capo, Fabiano Fabiani, ci diceva “con i politici parlo io”. Ho sbagliato a non farlo finora, ma adesso lo ringrazio per avermi creduto nei momenti difficili.
Mentre Fabiani parlava con i politici lei parlava con Chicchi Pacini Battaglia.
Mi propose affari con il Kuwait. Ma per vendere armi in un Paese devi conoscerlo profondamente, non basta essere amico dell’ambasciatore.
Già, lei nel frattempo era diventato venditore di armi.
Difficile, con clienti che temono che a metà dell’opera scatti l’embargo. Durante la guerra del Golfo bloccammo una fornitura a Dubai, schierato contro Saddam, perché la legge italiana vieta di armare un Paese belligerante. Anche se è tuo alleato. A Dubai non ci credevano.
Per vendere armi si pagano tangenti?
Può accadere, come per qualsiasi prodotto. Io non l’ho mai fatto, mi piace essere corretto.
Un mondo di onesti?
No. Ci sono le mediazioni pagate in modo ufficiale: a volte i mediatori chiedono percentuali alte, non so poi che cosa ne facciano.
Ci sono anche i manager che chiedono indietro al mediatore, estero su estero, una parte della provvigione.
Hai voglia. La mia più grande preoccupazione è proprio che i mediatori offrano soldi indietro a chi glieli dà.
E con Pacini Battaglia che cosa avete combinato?
Nulla, né in Kuwait né altrove. In compenso finii per dieci giorni ai domiciliari per traffico d’armi. Nulla a che fare con tangenti o simile. Mi hanno intercettato che parlavo di “blindati per la Bosnia” e “navi irachene”. Gli ho spiegato che parlavo dei blindati per l’esercito italiano che operava in Bosnia, e delle famose navi vendute all’Iraq, ma già bloccate.
E Pacini Battaglia?
Mi chiamava per dirmi “si va dalla Susanna”, nel senso di Agnelli, che era ministro degli Esteri. Diceva di volermi mettere al posto di Fabiani alla Finmeccanica. Chiacchiere.
E com’è arrivato al vertice Finmeccanica?
Diversi anni dopo, mi telefonò il direttore generale del Tesoro, Domenico Siniscalco. Per essere chiaro, allora non conoscevo Gianni Letta, e neppure il livornese Altero Matteoli.
Ma lei era in quota socialista.
Battezzato socialista negli anni 80, perché ero uscito dalla Selenia, in mano ai democristiani.
In Finmeccanica c’è un gran casino o sono invenzioni dei giornali?
La verità è che la holding sta troppo in alto per vedere tutto. Con centinaia di società in giro per il mondo, per tenere tutto sotto controllo devi fidarti della squadra di manager.
E lei s’è fidato troppo?
Qualcuno mi ha detto, dopo, che si pente di non avermi raccontato certe cose. Ma con Cola sono stato bischero.
Lorenzo Cola, il faccendiere al centro delle inchieste.
Faceva il puro, mi metteva in guardia. Due volte è venuto ad accusare miei manager, con aria scandalizzata. Nulla di vero. Però lui passava per l’onestissimo. E io bischero a cascarci.
Marco Milanese, braccio destro di Tremonti, è accusato di essersi venduto le poltrone nei vostri consigli d’amministrazione.
Funzionava così: se, per esempio, i membri erano sette, quattro li nominavamo noi tra gli uomini Finmeccanica, ed esisteva un iter interno che garantiva la gestione secondo le linee concordate con la holding. Gli altri tre posti li decideva la politica.
Codice civile alla mano, dovevate nominarli tutti voi.
Ma la prassi era questa. La quota di minoranza dei consigli era lottizzata, e io nemmeno me ne occupavo, era il lavoro di Lorenzo Borgogni che si sobbarcava una laboriosa mediazione. Non c’era mica solo Milanese, c’era l’opposizione, i sindacati… Ma i manager chiave li ho sempre scelti io, senza interferenze.
E le sono rimasti grati?
Tutta la squadra aveva la maglietta “Guarguaglini”. Qualcuno ci ha messo sopra il nome del mio successore, ed è comprensibile. Qualcuno si è sfilato la mia maglietta, l’ha gettata a terra e l’ha calpestata. Debolezze.
Lei è indagato per utilizzo di false fatturazioni.
I magistrati non mi hanno mai chiamato, so solo il nome del reato. Nessuno mi ha mai contestato un fatto, non so di quali fatture si parli. Tutto quello che so l’ho letto sui giornali. Il mio avvocato ha chiesto l’archiviazione. Ho fiducia nella magistratura e aspetto.
da Il Fatto Quotidiano del 23 agosto 2012
Cronaca
Finmeccanica, l’ex numero uno: “Sindacati e partiti, tutti vogliono una poltrona in Cda”
Intervista all'ex presidente della compagnia Pierfrancesco Guarguaglini, indagato per false fatturazioni nell'inchiesta sugli appalti Enav, che svela: "Non c'era solo Milanese, la quota di minoranza del consiglio era lottizzata per prassi". Sulle tangenti: "A volte i mediatori chiedono percentuali alte, non so poi cosa ne facciano, ero preoccupato che i soldi non tornassero nelle tasche dei manager"
Pierfrancesco Guarguaglini, 75 anni di cui cinquanta nell’industria di Stato, poi un’uscita di scena tra i fischi. In questa calda estate da pensionato nella sua Castagneto Carducci, come si sente? “Come uno che è sempre stato onesto e qualche volta bischero”. Bischero come rafforzativo di onesto? “No, bischero come rafforzativo di bischero”.
Partiamo dalla fine. Lei viene messo alla porta il primo dicembre scorso dopo un anno e mezzo di bufera sulla Fin-meccanica. Perché non ha mollato prima?
Non avevo fatto niente.
La Finmeccanica stava tutti i giorni sui giornali, con sua moglie Marina Grossi, manager della controllata Selex Sistemi Integrati, indagata. L’azienda non ne soffriva?
L’azienda funzionava. Nel 2010 abbiamo preso ordini per 21 miliardi di euro.
Ma alla fine se n’è andato.
Mi hanno tolto la delega sulle strategie. Giuseppe Orsi, il mio successore alla presidenza, lavorava da mesi per questo obiettivo. Quando si è insediato il governo tecnico, sono andato a parlare con il sottosegretario Catricalà. Ho detto: “Mettetemi per iscritto che me ne devo andare e me ne vado”. Lui ha detto che sentiva il premier, poi mi richiama e mi dice: “Fai quello che vuoi”.
E lei ha trattato la buonuscita da 5 milioni di euro.
Erano 4 milioni, ma non ho trattato niente, quei soldi mi erano dovuti per contratto. Poi c’era un milione e mezzo per il patto di non concorrenza di un anno, e quelli eramegliosenonliprendevo,guadagnavo di più con le consulenze che ho dovuto rifiutare.
Ha ancora mercato?
Come ingegnere sono bravino.
Laureato a Pisa.
Al collegio Pacinotti, stava in piazza dei Cavalieri, di fronte alla Scuola Normale.
Piazza ben frequentata.
Mi ricordo Giuliano Amato, i fratelli Cassese, Tiziano Terzani, il matematico Giorgio Letta, padre di Enrico, Remo Bodei. Si studiava. Per vedere un po’ di ragazze andavamo a sorbirci le lezioni d’italiano di Luigi Russo. Dopo la laurea presi il Phd all’University of Pennsylvania. Poi sono andato alla Selenia.
Mai aziende private.
Ma ho sempre difeso la mia autonomia di pensiero continuando a studiare, a tenermi aggiornato. Quando alla Selenia è arrivato Michele Principe non ho accettato che si dicesse “quelli non si fanno lavorare perché sono comunisti”.
Lei è, o era, di sinistra?
No, ma ho fatto tutti gli scioperi dell’autunno caldo.
Perché lasciò la Selenia?
Le ho detto, non mi piacevano le interferenze politiche. Ricordo bene, 15 novembre 1983, mi dimisi da direttore generale. C’era Marisa Bellisario che doveva sbaraccare uno stabilimento Italtel dell’Aquila, e decisero con Gianni De Michelis di portare lì per compensazione una produzione di nostri missili Aspide. Era un’assurdità. Tutti gli altri dirigenti Selenia abbassavano la testa. Io no.
Disoccupato per tre mesi.
Poi direttore generale alla Galileo, mille persone contro 8 mila di Selenia.
All’Efim, carrozzone peggio dell’Iri. E non c’erano interferenze politiche?
Certo, ma si fermavano al capo, Sergio Ricci. Ci faceva da scudo. Anche quando ero alla Oto Melara, dentro Finmeccanica, il capo, Fabiano Fabiani, ci diceva “con i politici parlo io”. Ho sbagliato a non farlo finora, ma adesso lo ringrazio per avermi creduto nei momenti difficili.
Mentre Fabiani parlava con i politici lei parlava con Chicchi Pacini Battaglia.
Mi propose affari con il Kuwait. Ma per vendere armi in un Paese devi conoscerlo profondamente, non basta essere amico dell’ambasciatore.
Già, lei nel frattempo era diventato venditore di armi.
Difficile, con clienti che temono che a metà dell’opera scatti l’embargo. Durante la guerra del Golfo bloccammo una fornitura a Dubai, schierato contro Saddam, perché la legge italiana vieta di armare un Paese belligerante. Anche se è tuo alleato. A Dubai non ci credevano.
Per vendere armi si pagano tangenti?
Può accadere, come per qualsiasi prodotto. Io non l’ho mai fatto, mi piace essere corretto.
Un mondo di onesti?
No. Ci sono le mediazioni pagate in modo ufficiale: a volte i mediatori chiedono percentuali alte, non so poi che cosa ne facciano.
Ci sono anche i manager che chiedono indietro al mediatore, estero su estero, una parte della provvigione.
Hai voglia. La mia più grande preoccupazione è proprio che i mediatori offrano soldi indietro a chi glieli dà.
E con Pacini Battaglia che cosa avete combinato?
Nulla, né in Kuwait né altrove. In compenso finii per dieci giorni ai domiciliari per traffico d’armi. Nulla a che fare con tangenti o simile. Mi hanno intercettato che parlavo di “blindati per la Bosnia” e “navi irachene”. Gli ho spiegato che parlavo dei blindati per l’esercito italiano che operava in Bosnia, e delle famose navi vendute all’Iraq, ma già bloccate.
E Pacini Battaglia?
Mi chiamava per dirmi “si va dalla Susanna”, nel senso di Agnelli, che era ministro degli Esteri. Diceva di volermi mettere al posto di Fabiani alla Finmeccanica. Chiacchiere.
E com’è arrivato al vertice Finmeccanica?
Diversi anni dopo, mi telefonò il direttore generale del Tesoro, Domenico Siniscalco. Per essere chiaro, allora non conoscevo Gianni Letta, e neppure il livornese Altero Matteoli.
Ma lei era in quota socialista.
Battezzato socialista negli anni 80, perché ero uscito dalla Selenia, in mano ai democristiani.
In Finmeccanica c’è un gran casino o sono invenzioni dei giornali?
La verità è che la holding sta troppo in alto per vedere tutto. Con centinaia di società in giro per il mondo, per tenere tutto sotto controllo devi fidarti della squadra di manager.
E lei s’è fidato troppo?
Qualcuno mi ha detto, dopo, che si pente di non avermi raccontato certe cose. Ma con Cola sono stato bischero.
Lorenzo Cola, il faccendiere al centro delle inchieste.
Faceva il puro, mi metteva in guardia. Due volte è venuto ad accusare miei manager, con aria scandalizzata. Nulla di vero. Però lui passava per l’onestissimo. E io bischero a cascarci.
Marco Milanese, braccio destro di Tremonti, è accusato di essersi venduto le poltrone nei vostri consigli d’amministrazione.
Funzionava così: se, per esempio, i membri erano sette, quattro li nominavamo noi tra gli uomini Finmeccanica, ed esisteva un iter interno che garantiva la gestione secondo le linee concordate con la holding. Gli altri tre posti li decideva la politica.
Codice civile alla mano, dovevate nominarli tutti voi.
Ma la prassi era questa. La quota di minoranza dei consigli era lottizzata, e io nemmeno me ne occupavo, era il lavoro di Lorenzo Borgogni che si sobbarcava una laboriosa mediazione. Non c’era mica solo Milanese, c’era l’opposizione, i sindacati… Ma i manager chiave li ho sempre scelti io, senza interferenze.
E le sono rimasti grati?
Tutta la squadra aveva la maglietta “Guarguaglini”. Qualcuno ci ha messo sopra il nome del mio successore, ed è comprensibile. Qualcuno si è sfilato la mia maglietta, l’ha gettata a terra e l’ha calpestata. Debolezze.
Lei è indagato per utilizzo di false fatturazioni.
I magistrati non mi hanno mai chiamato, so solo il nome del reato. Nessuno mi ha mai contestato un fatto, non so di quali fatture si parli. Tutto quello che so l’ho letto sui giornali. Il mio avvocato ha chiesto l’archiviazione. Ho fiducia nella magistratura e aspetto.
da Il Fatto Quotidiano del 23 agosto 2012
MANI PULITE 25 ANNI DOPO
di Gianni Barbacetto ,Marco Travaglio ,Peter Gomez 12€ AcquistaArticolo Precedente
Roma, il Tevere è il fiume del business: per ogni concessione spuntano 15 locali
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Ilva, il procuratore: “Eliminare le emissioni inquinanti. O conseguenze ovvie”
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Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Il ministero della Salute libanese ha dichiarato che almeno sette persone sono state uccise e 52 ferite negli scontri scoppiati la scorsa notte al confine con la Siria. "Gli sviluppi degli ultimi due giorni al confine tra Libano e Siria hanno portato alla morte di sette cittadini e al ferimento di altri 52", ha affermato l'unità di emergenza del ministero della Salute.