Non è semplice tenere fermo il bersaglio, e per l’appunto, ieri sera su La7, il programma di Enrico Mentana s’intitolava “Bersaglio Mobile”. Al centro c’è Giorgio Napolitano, la richiesta del Quirinale di sollevare davanti alla Consulta il conflitto d’attribuzione contro la Procura di Palermo perché conserva le telefonate (intercettazioni indirette) del Capo dello Stato con l’ex presidente del Senato, Nicola Mancino, coinvolto nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia che conducono i magistrati siciliani.

Quello è il centro, poi s’arriva ovunque. Mentana evidenzia il punto finale di un confronto accesso tra giornalisti e giornalisti, politici e politici, osservatori e commentatori: “Le due anime della sinistra, prima sulle stesse posizioni, adesso litigano. E qualcuno eccepisce sulla collocazione degli avversari”, dice citando Ezio Mauro (Repubblica) che colloca Il Fatto a destra.

MENTANA divide la trasmissione in quattro angoli: Marco Travaglio e Antonio Di Pietro da una parte; Giuliano Ferrara ed Emanuele Macaluso (per la sua cinquantennale sintonia con Napolitano) dall’altra. Da Reggio Emilia, c’è Francesco Boccia (Pd) che s’infila nel duello Bersani-Grillo: “È un milionario in pantofole, il comico genovese”.

Per tornare ai toni che ci si aspetta, basta ascoltare Ferrara: “La rissa lascia il tempo che trova. È tutto banale. In estate fa caldo, i magistrati vogliono fare carriera in politica, vogliono fondare i partiti e siamo sottomessi a questa canicola. Questa inchiesta di Palermo non sta in piedi. Non c’è stata una trattativa. In tribunale è finito Mario Mori, un generale dei carabinieri che ha arrestato Totò Riina. A Palermo dicono tante minchiate. Questa è una puttanata inverosimile. Ingroia – spiega il direttore del Foglio – ha insistito per portare avanti questo suo teorema, perché adesso vuole andare in Guatemala? Lui non vuole la verità, pensa a farsi notare sui media. I magistrati sono fottutissimi carrieristi”. A queste parole, Di Pietro minaccia di abbandonare la trasmissione: “Questa è diffamazione, io non partecipo”.

Per non abbassare il livello dello scontro, Mentana dà la linea a Torino, a Travaglio: “Non si fronteggiano garantismo e giustizialismo, in questa vicenda sono in palio le verità sugli anni delle stragi, sulla morte di Borsellino e l’Agenda rossa, un documento importantissimo. In questa vicenda è in gioco il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, un argomento che stava a cuore al centrosinistra quando al potere c’era Berlusconi. È in gioco la convinzione della classe dirigente di avere sempre l’impunità e, infine, è in gioco il bavaglio per impedire di fare le intercettazioni e permettere ai magistrati di indagare.

LA TRATTATIVA c’è stata – aggiunge il vicedirettore del Fatto – perché lo dicono delle sentenze definitive e ci sono dei documenti che lo dimostrano. Ingroia non ha mai detto di voler il segreto di Stato, voleva sapere se la Trattativa è stata fatta per una ragione di Stato, ma va detto chi e come e perché l’ha fatto”. Non aveva ancora parlato, allora chiede di intervenire Macaluso: “Ingroia sul Corriere dice: ‘Non strumentalizzate gli attacchi a Napolitano’. Lui dice che il presidente della Repubblica è stato il perno fondamentale per la garanzie democratiche di questo Paese. Chi è che strumentalizza Napolitano? Ecco, Travaglio. Il presidente non ha fatto nulla di male, si è rivolto alla Consulta per un vuoto costituzionale. Aspettiamo la decisione (Ma Travaglio gli ricorda che il Quirinale aveva accusato la Procura di aver violato l’articolo 90 della Costituzione, ndr). Questa di dire che – aggiunge lo storico esponente del Pci – ci sia qualcuno che ostacola la verità è una campagna di stampa. Tanti giuristi dicono che sia giusto che la Corte debba fare questo. E questi giuristi sul Fatto vengono definiti di corte. Chi non la pensa come Travaglio e il Fatto è di corte. La questione è che bisogna rispettare lo Stato di diritto e le sue regole: i conflitti di attribuzione li risolve la Corte costituzionale. Il problema è politico: nel centrosinistra c’è il conflitto senza strumentalizzare la Procura. Tutto è accaduto con la nascita del governo Monti: ha iniziato proprio Di Pietro! E ancora Grillo, che dà dell’assassino”. Finisce Macaluso, continua Boccia. Insieme, a difendere Napolitano.

da Il Fatto Quotidiano del 28 agosto 2012

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