Bertolt Brecht scrisse una poesia che si intitolava “La scritta invincibile”. Raccontava di un soldato socialista della Guerra mondiale, rinchiuso in un carcere italiano, che con un lapis copiativo aveva scritto sul muro della cella: “Viva Lenin”. Per quanto i secondini facessero, ripassando le lettere con la calce o raschiandole con un coltello, o imbiancando il muro, la scritta riappariva sempre: “Invincibile”, appunto. Anche oggi c’è una scritta a suo modo invincibile. Non esalta Lenin, non è vergata in lapis copiativo, non ha la forza evocativa di quella di Brecht, ma resiste. È la scritta “ministro del Turismo”, in lega di metallo scintillante d’oro e alta alcune decine di centimetri, che per qualche tempo abbellì (si fa per dire) la facciata del palazzo di via della Ferratella in Laterano, sede del Dipartimento del Turismo. Badate bene: Dipartimento e non ministero, perché il ministero del Turismo per legge non esiste, cancellato 19 anni fa da un referendum, e quindi non c’è neanche un ministro. Michela Vittoria Brambilla, signora dotata di un ego assai robusto, incaricata di seguire gli affari turistici nel passato governo di Silvio Berlusconi, referendum o no si sentiva però ministro a tutto tondo e per far valere il titolo che si sentiva addosso, ingaggiò una sua personale battaglia.

Tanto brigò che il suo sghiribizzo fu accolto in una specie di decreto ad personam, l’ennesimo di un governo specializzato in materia. Ottenuta la nomina, la signora pretese pure senza badare a spese che la sua sudata impresa fosse celebrata non con una semplice targa ottonata da appendere nell’atrio, ma con una costosa e vistosa scritta luccicante, “ministro del Turismo”, una specie di insegna da esporre proprio sotto le finestre del suo ufficio, cosicché non solo automobilisti e passanti, ma lei stessa potesse ogni tanto rimirarla soddisfatta. Per mesi quelle lettere dorate si videro benissimo dalla strada sottostante e nessuno osò rimuoverle finché il governo fu in piedi. Quando nel novembre di un anno fa Berlusconi cadde e la Brambilla si avviò con la velocità della luce verso l’oblio, sembrò logico che le cose tornassero in ordine e quella pretenziosa insegna, figlia del capriccetto di una ex potente, fosse smontata e infilata in qualche sottoscala.

E invece no: come il “Viva Lenin” di Brecht, la scritta brambillesca rifiorisce. Forse credendo di far bene, forse per semplice piaggeria, al Dipartimento del Turismo ci fu tra i dirigenti chi ebbe la stuzzicante idea di riciclare le lettere dorate: perché non utilizzarle per una composizione artistica? Se ne potrebbe fare una scultura, suggerì qualche entusiasta, un’opera che abbellirebbe gli uffici. Nello stesso periodo all’Ente del turismo (Enit) il direttore Paolo Rubini, sopravvissuto all’uscita di scena della sua amica Brambilla, per promuovere l’Italia nel mondo aveva avuto un’altra strepitosa pensata invitando artisti indiani, cinesi, brasiliani, russi, coreani, a esibirsi in dipinti e sculture che raffigurassero l’Italia così come la pensavano.

Prendendo i classici due piccioni con una fava, la scritta della Brambilla – pensarono – avrebbe dovuto essere esposta nelle sale e nei corridoi di via della Ferratella assieme a queste opere. Fu indetta regolare gara, importo 100 mila euro circa, 70 mila per le opere straniere più ammennicoli vari, 30 mila per la scritta brambillesca all’uopo ricomposta. La gara fu vinta da una ditta romana dei Parioli con un’ardita composizione raffigurante un albero stilizzato, un “albero della conoscenza” niente meno, con il logo Ue (Unione europea) a mo’ di terreno, la I di Italia come fusto e le lettere dorate “ministro del Turismo” rami e foglie. Ora, però, in un soprassalto di resipiscenza, al Dipartimento del Turismo ritengono che 30mila euro non saranno la fine del mondo, ma non è un buon motivo per spenderli in quel modo. Oltretutto per la scultura ministeriale e le altre opere non c’è proprio più posto. Già piccolo prima, a forza di tagli il Dipartimento turistico è stato ridotto a poco più che un avamposto, i dirigenti portati da 12 a 5, i piani per gli uffici da 6 a 2. La ditta romana che ha lavorato, però, vuol essere pagata e siccome l’“albero della conoscenza” è pure ingombrante, vorrebbe sapere dove piazzarlo. Volete scommettere che la brambillesca scritta invincibile rispunterà ancora?

da Il Fatto Quotidiano del 13 settembre 2012

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