Quando si ha a che fare con le televisioni e il loro mercato, tutto in Italia si complica. E si sporca. Perché l’anomalia Berlusconi e il suo perenne conflitto d’interessi continuano ad avvelenare i pozzi della politica e della comunicazione. Di conseguenza, ogni notizia che riguardi gli assetti televisivi e della comunicazione tv del Paese diventa immediatamente carta politica. In questo caso, da giocare al tavolo delle prossime elezioni.

E il nuovo caso c’è già. La 7, emittente in vendita di Telecom Media Group, rete sotto il cui ombrello di diffusione nazionale hanno trovato rifugio, negli ultimi due anni, tutti i volti allontanati dell’ex Rai di Lorenza Lei e di Mauro Masi, da Michele Santoro a Serena Dandini, a Corrado Formigli passando anche per Enrico Mentana (che è stato, invece cacciato da Mediaset), è da ieri ufficialmente nel mirino anche di Mediaset e del fondo di private Equity Clessidra, gestito da un ex manager Mediaset e amministratore delegato Fininvest, Claudio Sposito. Una notizia pesante. La cui cronaca, in verità, è abbastanza spoglia, ma ci sono dettagli che vogliono dire tanto. Mediaset presenterà, il prossimo 24 settembre, giorno della chiusura dei termini stabilita dal venditore Telecom e dagli advisor, Mediobanca e Citigroup, una proposta di acquisto non vincolante per l’acquisizione della rete. Mediaset avrebbe un doppio livello d’interesse sul fronte La 7; la prima riguarderebbe l’emittente in sé e per sé, la seconda l’infrastruttura e le frequenze.

OBIETTIVO: AZZERARE LA RETE – Già. Perché non sta scritto da nessuna parte che una volta acquistata una rete televisiva nazionale poi il nuovo proprietario debba continuare a gestirla come è stato fatto fino a questo momento. Può anche decidere di smembrarla, farla a pezzi. Casomai, come ventilato negli uffici dell’ex Biscione di Cologno Monzese, di “chiudere” la tv generalista per non incorrere negli strali Antitrust, ma poi utilizzare a favore di una Mediaset in gravi ambasce economiche ed editoriali, gli asset infrastrutturali e le frequenze. A quanto si sostiene sempre a Cologno Monzese, infatti, nessuno vuole “diventare il nuovo proprietario de La 7”, anche perché questo farebbe incappare immediatamente nei vincoli antitrust. Il disegno strategico è diverso. Mediaset, attraverso i suoi “cavalli di Troia”, parteciperà all’asta per ottenere da Telecom la possibilità di “guardare dentro” il gruppo Telecom Italia Group. Una volta acquisite le informazioni sull’indebitamento, sulle infrastrutture, sui costi del personale e sul resto, a Mediaset valuteranno la possibilità di un’acquisizione. Ma con un fine; smantellare totalmente La 7 come emittente nazionale, acquisire le sue frequenze e utilizzare alcuni asset strategici per il potenziamento delle reti Mediaset. In questo modo, tra l’altro, Mediaset otterrebbe le frequenze Telecom a costi minori – secondo i calcoli di Cologno Monzese – di quelli che potrebbero essere sostenuti comprando le stesse frequenze dal mercato nazionale, nella famosa “asta” di Corrado Passera, di cui si attendono ancora le determinazioni finali. Un modo “tecnico” per aggirare un ostacolo e ottenere un potenziamento della capacità di diffusione del segnale senza incappare, per altro, negli strali dell’Antitrust. Se Mediaset, infatti, acquisisse La 7 e la mantenesse “in vita”, incapperebbe immediatamente nella scure dell’Autorità della Concorrenza e del Mercato. Se, invece, l’acquistasse per “rottamarla”, allora l’Antitrust avrebbe più problemi a censurarne l’operato: la legge Gasparri dice chiaramente che ciascun attore in campo delle telecomunicazioni non può detenere più di cinque multiplex, che è un tetto altissimo, che Mediaset non raggiungerebbe neppure con l’acquisizione delle frequenze de La 7. Certo, i risvolti legali sono tutti da studiare, ma il tentativo verrà fatto senz’altro.

IL RUOLO DELLA POLITICA – Comunque, al di là delle strategie economiche e strutturali sul tappeto, la mossa dell’impero televisivo del Cavaliere contro La 7 ha anche valenze strategiche politiche molto importanti. Con la proposta di acquisto non vincolante che verrà presentata il 24 (ieri Mediaset ha preferito non commentare l’indiscrezione veicolata a tarda sera da Radiocor, l’agenzia di stampa di Confindustria) Mediaset farà anche un’operazione di disturbo nei confronti di soggetti che, almeno sulla carta, potrebbero “interferire” con l’attuale – granitico e immobile – panorama televisivo nazionale, diventando nuovi proprietari di un’emittente che, se lasciata sviluppare così com’è adesso, potrebbe trasformarsi in un potenziale avversario, anche sulla breve distanza, non tanto sul fronte della programmazione, quanto su quello dell’acquisizione di fette sostanziose di “torta pubblicitaria” nazionale. E si sa, ci sono solo due cose che interessano al Cavaliere: la pubblicità e mettere il bavaglio a chi può politicamente danneggiarlo attraverso trasmissioni scomode. In questo caso, i due fronti combaciano perfettamente. Soprattutto alla luce del fatto che a La 7 sta per accendere nuovamente le luci sul programma “Servizio Pubblico” di Michele Santoro.

IL CASO SANTORO – Qualunque operatore televisivo “sano”, infatti, considera Santoro una “macchina per fare soldi”, sul fronte dell’audience e della pubblicità. Va ricordato che nell’ultima stagione Rai di Annozero, Santoro totalizzava il 20% di share, come se ogni giovedì – tanto per fare un esempio – su Raidue la tv pubblica avesse deciso di trasmettere il festival di Sanremo. Il ritorno di Santoro su La 7, dunque, è senza dubbio considerato motivo di interesse sul fronte del mercato televisivo, un “evento” capace di sparigliare anche gli attuali equilibri pubblicitari. La Rai, com’è tristemente noto e per volere del precedente consiglio di amministrazione gestito da Lorenza Lei, ha di fatto chiuso la finestra informativa del giovedì sera mettendo al posto di Santoro un programmino di intrattenimento molto soft condotto da Sua Altezza Reale Filiberto di Savoia. La tv pubblica, insomma, ha lasciato il campo della concorrenza (anche pubblicitaria) del giovedì, serata in cui dovrebbe debuttare proprio Santoro su La 7, raccogliendo il testimone da Corrado Formigli. E proprio a ridosso del momento più caldo della campagna elettorale.

Insomma, par di capire che l’asta su La 7 abbia messo appetito ai sodali del Cavaliere su più fronti. Anche quello di mettere Santoro nelle condizioni di non nuocere. Non c’è anche dubbio sul fatto che gli altri possibili acquirenti considerino Santoro un elemento di interesse, anche economico, per far crescere l’emittente. Del resto, i soggetti che hanno manifestato interesse per la La 7 sono oltre dieci (il gruppo Cairo, Discovery Channel, solo per dirne due) mentre sui multiplex sono in corsa Ei Towers (la società controllata da Mediaset che gestisce i ripetitori del Biscione) e gli spagnoli di Abertis. Tra questi è presente anche un investitore asiatico. Per tutta Telecom Italia Media, infine, tra gli altri figura anche il fondo di private equity Clessidra, gestito da un ex manager e amministratore delegato Fininvest, Claudio Sposito.

I “PALETTI” DELLA GASPARRI – Si apre, dunque, una partita complessa e tutta da giocare, sia sul fronte politico che su quello economico e di sistema delle telecomunicazioni. Con la grande incognita dell’Antitrust che si staglia all’orizzonte. E’ bene ricordare, comunque, che sulla carta i gruppi televisivi non possono controllare più di cinque multiplex a testa e la raccolta pubblicitaria allargata conteggiata dal cosiddetto Sic (sistema integrato delle telecomunicazioni) della legge Gasparri pone un tetto al 20%. Sono osservazioni che l’ad di Telecom Italia Franco Bernabè avrebbe fatto presente ai dirigenti di Mediaset quando nelle settimane scorse hanno manifestato l’idea di partecipare alla gara. Ma l’idea del Biscione, come abbiamo raccontato, pare aver già valutato e superato anche questo problema.

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