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Il debito pubblico delle grandi opere

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Negli ultimi anni, un’incidenza determinante sull’aumento dei debiti pubblici hanno avuto i costi delle grandi opere pubbliche, deliberate con sempre maggiore frequenza dalle amministrazioni statali centrali e periferiche non per rispondere a reali necessità, ma con la motivazione esplicita di rilanciare l’economia e creare occupazione. Le grandi opere hanno quasi sempre un impatto ambientale devastante e possono essere realizzate soltanto da grandi aziende che così suggellano la loro alleanza strategica col potere politico che le delibera.

Un’alleanza che accomuna tutte le varianti della destra e della sinistra e ha attenuato fino a renderle irrilevanti le loro differenze culturali e di prospettiva politica. Una sorta di ossessione maniacale infarcisce di progetti faraonici, cervellotici e inutili i programmi elettorali di tutti i partiti a ogni livello istituzionale. Più sono grandi, più investimenti richiedono, maggiore è il contributo che si ritiene possano dare alla crescita economica, più alte sono le cifre che possono transitare illegalmente tra i vincitori degli appalti e i committenti.

Una indecenza che si ripete ogni volta in occasione di olimpiadi estive e invernali, campionati di calcio, di nuoto, di tennis, esposizioni universali, centenari, giubilei, conferenze internazionali. Le grandi opere che si realizzano in queste occasioni hanno costi altissimi, vengono usate per poche settimane per poi rimanere abbandonate al degrado e all’incuria, non ripagano nemmeno in minima parte le loro spese, riempiono le amministrazioni pubbliche di debiti per più generazioni, le obbligano a contrarre altri debiti per pagare gli interessi sui debiti contratti, le costringono a fare cassa cedendo la gestione dei servizi pubblici ad aziende multinazionali.

Il debito pubblico della Grecia, su cui si è scatenata la speculazione finanziaria, ha cominciato a impennarsi in conseguenza delle spese effettuate per le Olimpiadi di Atene del 2004. Se Torino è la città più indebitata d’Italia, lo deve alle spese in deficit sostenute per le Olimpiadi invernali del 2006. Per riuscire a ridurre, o quanto meno a non accrescere il debito pubblico, aumentando al contempo l’occupazione, bisogna potenziare le attività produttive nei settori in cui i costi di investimento si ammortizzano con i risparmi sui costi di gestione che consentono di ottenere.

Anziché nella costruzione di grandi opere occorre investire nella ristrutturazione energetica degli edifici esistenti, nella riduzione delle perdite nelle reti idriche e nel recupero delle acque piovane, nella manutenzione degli edifici pubblici, nel ripristino della bellezza dei paesaggi deturpati negli scorsi decenni da un’edilizia volgare e invadente, nel potenziamento dei trasporti pubblici locali, nella rinaturalizzazione dei quartieri urbani dove insistono edifici industriali o palazzi abbandonati (come si sta facendo a Detroit), nello sviluppo delle fonti rinnovabili in piccoli impianti per autoconsumo, nel recupero e riciclaggio dei materiali contenuti negli oggetti dismessi, nell’agricoltura tradizionale di prossimità, nel commercio locale, nell’accorciamento delle filiere tra i produttori e gli acquirenti.

Oltre a creare più occupazione delle grandi opere, queste attività hanno un’utilità intrinseca e ripagano i costi d’investimento con la riduzione degli sprechi e dei consumi di materie prime, per cui non fanno crescere i debiti pubblici, non richiedono tecnologie potenti ma evolute e il recupero di tecniche artigianali tradizionali, non possono essere svolte da aziende multinazionali che operano sui mercati mondiali, ma solo da piccole e medie imprese, artigiani specializzati e studi tecnici radicati sul territorio, in grado di penetrare in tutte le pieghe del sistema, di conoscere tutte le realtà, anche di dimensioni limitate, che necessitano di interventi di ristrutturazione e di realizzarli con costi di investimento e tempi di rientro ridotti, finanziabili da istituti di credito locali.

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