“Quando Chiara saliva sul pulmino, per prima cosa mi sedevo dieci minuti. Avevo bisogno di riposarmi. Poi tornavo a casa e mi dedicavo agli altri figli, oppure ai miei genitori di 80 anni. O qualche volta mi concedevo persino il lusso di una vetrina. Ora non so più dove sbattere la testa”. La signora Ivana Russo è un fiume in piena. Cinquantenne, moglie di un macchinista in pensione e madre di tre figli. Abitano in un piccolo centro della provincia di Frosinone, Pontecorvo, a due passi da Cassino. Chiara è la primogenita: “Ha avuto problemi durante il parto, 30 anni fa”. Chiara ha una grave disabilità: “È aggressiva, ha bisogno di continua assistenza, a casa spacca tutto. Io l’ho presa come una missione, mi aiuta tanto la fede. Ma sono stanca, e soprattutto ora che il centro ha chiuso non so più come fare. E io sono fortunata: ci sono mamme che hanno tentato il suicidio”.
Sabato scorso il Consorzio dei Comuni del Cassinate per la programmazione e la gestione dei servizi sociali si è visto costretto a chiudere il Centro diurno di Pontecorvo. Trenta ragazzi con disabilità grave, trenta famiglie alle spalle. Mentre i consiglieri Pdl del Lazio organizzavano festini e degustavano ostriche, la spesa corrente per il sociale veniva tagliata di 150 milioni di euro in un anno. “Si è passati dai 387 del 2011 ai 230 del 2012”, calcola Giulia Rodano dell’Idv. Di questi, 50 sono quelli che non arriveranno mai ai Comuni. E tanto meno ai Consorzi. “Lo stanziamento era già stato decurtato di 400mila euro all’inizio del 2012 – spiega al Fatto Emilio Tartaglia, direttore del Consorzio – ma i quattro milioni stanziati dall’assessorato alle Politiche sociali, con tanto di mandato al Consiglio regionale, non sono mai stati erogati”. E adesso, con le dimissioni della Polverini, chissà cosa accadrà. “C’è il rischio che taglino ulteriormente – prosegue Tartaglia – attraverso la ‘Lettera A’ della Legge regionale 38/96: fondi che la Regione dà ai Comuni. Potrebbero arrivare altri 200 mila euro in meno”.
Da luglio il Consorzio non paga gli stipendi ai 350 operatori, ma soprattutto non paga Inps e Inail: “Il nostro fabbisogno è di 250/300 mila euro al mese (meno di quanto ha speso in un anno il Pdl per la stampa dei manifesti, ndr), tutto va in stipendi, i politici membri del Consorzio non prendono nulla”. E così la riapertura del Centro, prevista per l’11 settembre, è slittata a chissà quando. I trenta ragazzi, che erano stati addirittura in soggiorno estivo a Terracina, per un “percorso di autonomia”, adesso sono costretti a restare a casa. Ieri alcuni genitori hanno “occupato” simbolicamente il Centro. “Io non ci sono potuta andare – spiega la signora Ivana – proprio perché avevo Chiara a casa. Altrimenti avrei dovuto pagare una ragazza, specializzata s’intende, per guardarmela”. La beffa, oltre il danno. “Ma sono disposta a incatenarmi sotto la Regione Lazio. Chiara piange, perché vede gli altri ragazzi andare ‘a scuola’ e lei non ci può andare. Lì facevano una sacco di attività, psicomotricità, persino le recite. Ora a casa diventa aggressiva e spacca tutto”.
Tragica ironia della sorte: nei giorni precedenti al suo ricovero al Sant’Andrea, l’ormai ex governatrice Polverini aveva ricevuto una lettera proprio dalla signora Ivana. “Ho parlato con la sua segreteria, mi hanno fatto mandare un fax, poi ho richiamato e mi hanno assicurato che la presidente l’aveva letta”. Risposte? Zero. Neanche un bigliettino d’auguri. Alla Regione Lazio evidentemente non c’era tempo per la salute degli altri. “Cosa ho pensato quando ho letto le notizie di questi giorni? – continua la mamma di Chiara – Che mi vergogno di essere italiana. Mi sembra di elemosinare qualcosa che invece è un mio diritto. Mi sento come quelle persone che chiedono la carità davanti alla chiesa. È un miracolo che la Polverini si sia dimessa. Anzi, credo che sia troppo facile dimettersi dopo che per anni ha affiancato personaggi come quelli”.
Quello di Pontecorvo non è un caso isolato. I tagli e la mancata erogazione dei fondi regionali stanno mettendo in ginocchio un intero sistema di assistenza alla disabilità e al disagio psichico. “Quando andavamo a bussare alle porte degli assessori o dei consiglieri, la risposta era sempre la stessa: non c’è un euro – racconta Anna Maria De Angelis, presidente dell’Associazione regionale per la salute mentale –. Percepivamo il fetore di sprechi e spudoratezze, ma non immaginavamo che esistesse un tale buco nero. Una piccola parte dei soldi caduta a pioggia tra i partiti della Regione Lazio sarebbe stata più che sufficiente per assicurare i sussidi, le attività di risocializzazione, i soldi ai centri diurni, la continuità terapeutica per non dire dell’aumento di organico nei servizi, i Centri di Salute Mentale, i piani di zona”. “Cosa chiederei alla Polverini o ai consiglieri della Regione? – conclude Ivana Russo – Guardate negli occhi i nostri figli, guardateli dritti negli occhi”. Senza maschere da maiali, stavolta.
da Il Fatto Quotidiano di mercoledì 26 settembre 2012