Oggi “moralizzatore”, ieri vicino all’ex presidente della Banca Popolare di Milano, Massimo Ponzellini all’epoca nei guai fino al collo per la gestione dell’istituto di credito milanese nel mirino degli ispettori della Banca d’Italia che diedero l’avvio all’inchiesta giudiziaria che nel maggio scorso l’ha portato agli arresti. Questo il ritratto del ministro del Tesoro, Vittorio Grilli, che emerge dalle intercettazioni telefoniche pubblicate stamattina da Repubblica. Quando, cioè, erano trascorse soltanto poche ore dal lancio dell’Ansa di una sua lettera al direttore generale del Tesoro, Vincenzo La Via e al Ragioniere Generale dello Stato, Mario Canzio, nella quale il ministro del Tesoro richiamava i due funzionari all’applicazione delle regole di vigilanza nei confronti dei manager delle società pubbliche coinvolti in vicende “penalmente rilevanti”.
Due facce, quelle di Grilli – il quale peraltro ha concorso alla nomina di buona parte degli amministratori delle aziende di Stato, visto che del Tesoro è stato direttore generale dal 2005 fino a novembre 2011, quando è entrato nel governo Monti – che però il quotidiano di Carlo De Benedetti ha scelto di non accostare: il moralizzatore è a pagina quattro in bella vista anticipato da un richiamo centrale in prima, mentre il direttore generale del Tesoro che pur di arrivare alla guida della Banca d’Italia dopo Mario Draghi si affida alle orecchie e alla lingua di quello che in caso di vittoria sarebbe diventato un suo potenziale vigilato, per di più nel pieno della tempesta della banca che stava guidando, è relegato a pagina 28.
Una situazione scivolosa di cui lo stesso Grilli era consapevole, secondo quanto emerge dal quadro sui retroscena della corsa alla successione di Draghi, nell’estate del 2011, tracciato da Repubblica che cita alcune telefonate tra Grilli e Ponzellini e tra Ponzellini e il suo braccio destro Antonio Cannalire (anch’esso ai domiciliari) intercettate dalla Procura di Milano nell’ambito dell’inchiesta sulla mala gestio della Bpm. La stessa banca che proprio in quelle settimane era sotto strettissima vigilanza da parte della Banca d’Italia che, tra le altre cose, vista la disastrata situazione finanziaria, le aveva imposto un aumento di capitale per un importo superiore al suo intero valore di mercato. Quattro mesi prima, infatti, gli ispettori di via Nazionale avevano formulato all’istituto 21 severi rilievi toccando punti dolenti anche sul bilancio, su perdite su crediti e accantonamenti, sull’esposizione sull’immobiliare (specialmente sulle proprietà dei Ligresti cui Ponzellini era legato attraverso la società di costruzioni Impregilo che presiedeva insieme a Bpm) e sulla liquidità, al punto da ricalcolarne il patrimonio di vigilanza e imporre appunto la maxi-ricapitalizzazione.
Nel dettaglio, nel corso delle conversazioni registrate dagli inquirenti, che non sono comunque rilevanti dal punto di vista pensale, l’allora direttore generale del Tesoro, che in comune col banchiere aveva anche il supporto di Giulio Tremonti e Umberto Bossi, chiedeva conto a Ponzellini delle riunioni governative in corso per la scelta del vertice di Via Nazionale e grazie alle aderenze politiche di quest’ultimo, seguiva passo passo l’evoluzione della sua candidatura, in seguito sfumata, nelle stanze romane. Del resto a portare ai domiciliari Ponzellini con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata all’appropriazione indebita e alla corruzione privata quando guidava l’istituto di credito milanese che sotto la sua gestione era arrivato sull’orlo del tracollo, sono stati proprio i finanziamenti concessi a politici e amici dei politici. Ma anche alla Atlantis B-Plus di Francesco Corallo.
E il trait d’union, stando alle telefonate, è Cannalire, anche lui come il banchiere interessato ad avere una persona amica alla guida della Banca Centrale che con le sue ispezioni quattro mesi prima aveva portato a galla la disperata situazione della banca milanese e molte delle operazioni effettuate in conflitto d’interesse, oltre ai finanziamenti sospetti. Aspetto della faccenda che sembra aver preoccupato particolarmente Grilli, che si sfoga apertamente con l’amico “Max” per il danno che gli stava procurando “questa cavolo di voce che se vado io, la Banca d’Italia si tranquillizza tutto con la Popolare di Milano”.
Ma il problema maggiore di Grilli era quello di rassicurare la sinistra sulla sua candidatura. “Chi può parlare con Bersani, io non so come far arrivare il messaggio a Bersani”, dice nel corso dell’ultima telefonata a Ponzellini che viene riportata. E l’altro è subito pronto a rassicurarlo: “Su Bersani, noi chiamiamo. In banca abbiamo tanti dei suoi”. Se anche andata a buon fine, tuttavia, l’ambasciata non è bastata, visto che poi la successione di Mario Draghi è andata a Ignazio Visco. Ma a Grilli, che tre settimane fa è finito sui giornali anche per le presunte false consulenze affidate da Finmeccanica alla sua ex-moglie, non è andata poi così male.