Quattordici bracciali al modico prezzo di 81 milioni di euro. Un regalo da sceicco? Oppure è Silvio Berlusconi che torna alla carica con le Olgettine? No, nessuna serata elegante in vista. Il conto l’ha saldato il Ministero degli Interni. Denaro pubblico, una montagna di soldi sprecati per finanziare un progetto fallimentare.
Un’ideona, almeno in teoria. Che c’è di meglio dei braccialetti elettronici per sorvegliare i detenuti ai domiciliari? Lo fanno anche in America. Già, solo che da noi, in Italia, si sono persi per strada più di 80 milioni di euro. Risultato: il nulla, o quasi. Perché l’ideona del governo è rimasta sulla carta. I bracciali entrati davvero in funzione sono solo 14 nell’arco di 10 anni, dal 2001 al 2011. In media fanno 5,7 milioni a pezzo, una spesa da gioielleria di gran lusso.
Questo fiume di denaro è finito in gran parte nelle casse del gruppo Telecom Italia, che sin da 2001 ha fornito i dispositivi elettronici di controllo “nei confronti di persone sottoposte alle misure cautelari e detentive per l’intero territorio nazionale”, secondo quanto recita la convenzione ad hoc stipulata tra il ministero degli Interni e il più grande gruppo di telecomunicazioni nazionale.
A TIRARE le somme di questa incredibile vicenda è stata la Corte dei conti che al termine di un’indagine chiusa pochi giorni fa, il 14 settembre, ha definito “antieconomica e inefficace” la gestione dell’affare braccialetti. Un affare solo per Telecom, a quanto pare. Tutto comincia nel 2001, quando viene siglata una prima convenzione definita sperimentale e limitata a sole cinque province: Milano, Torino, Roma, Napoli e Catania. Nel 2003 il servizio viene esteso a tutto il territorio nazionale: Telecom si impegna a fornire e gestire 400 dispositivi elettronici di controllo, come li definisce la Corte dei conti. Insomma, i braccialetti. Il costo del sistema ha superato i dieci milioni annui, segnalano i giudici contabili. E cioè 81 milioni di euro spalmati su otto anni complessivi, tra il 2003 e il 2011. Peccato che dei 400 braccialetti che dovevano entrare in funzione se ne sono visti soltanto 14. “Una spesa elevatissima”, commenta la Corte dei conti in vena di eufemismi.
L’anno scorso il contratto con Telecom arriva a scadenza. E il governo che fa? Tira le somme e decide di chiudere una volta per tutte un esperimento quantomeno fallimentare, oltre che molto oneroso per la casse dello Stato. Macché. Il nuovo ministro degli Interni Annamaria Cancellieri, appena entrata in carica, si affretta a rinnovare la convenzione con Telecom. Un contratto di sette anni, questa volta, dal 2012 al 2018.
SU QUESTA decisione, presa dal cosiddetto governo dei tecnici, il giudizio della Corte dei conti è inequivocabile. Vale la pena riportarlo per intero. “Il rinnovo della Convenzione con la Telecom, per una durata settennale, dal 2012 fino al 2018, ha reiterato perciò una spesa, relativamente ai braccialetti elettronici, antieconomica ed inefficace, che avrebbe dovuto essere almeno oggetto, prima della nuova stipula, di un approfondito esame, anche da parte del ministero della Giustizia, Dicastero più in grado di altri di valutare l’interesse operativo dei Magistrati, per appurare la praticabilità di un mancato rinnovo”. Questa la posizione dei giudici contabili messa nero su bianco nella loro relazione datata 13 settembre. Di più. Secondo la Corte, il rinnovo della convenzione, avvenuto a prezzi e prestazioni “non identici” e perciò qualificata “inesattamente come una “proroga” , avrebbe “dovuto, o potuto, essere oggetto di riflessione e/o di trattative, se non di comparazione con altre possibili offerte”.
In poche parole, il contratto non andava rinnovato tale e quale con lo stesso fornitore. Serviva una gara per mettere in condizione il ministero di scegliere l’offerta migliore, anche in termini di costi. Non per niente, nel giugno scorso, su ricorso del concorrente Fastweb, il Tar del Lazio ha disposto con una sentenza che la nuova convenzione dovrà essere oggetto di una gara. Sia il ministero dell’Interno sia Telecom Italia hanno fatto ricorso contro la decisione del tribunale amministrativo. Sulla questione è chiamato a pronunciarsi il Consiglio di Stato. L’udienza è fissata per il 14 dicembre. Niente paura, però, il Tar ha dichiarato inefficace la convenzione non immediatamente, ma dalla fine del 2013. Un altro anno di ordinario spreco. E che sarà mai?
da Il Fatto Quotidiano del 3 ottobre 2012