Ho avuto occasione recentemente di visitare la Striscia di Gaza, insieme agli altri membri del Bureau dell’Associazione internazionale dei giuristi democratici, su invito del Centro palestinese per i diritti umani, svolgendo numerosi incontri e interventi a seminari e conferenze. L’Associazione ha adottato una Dichiarazione relativa alla situazione della Striscia, che rimane estremamente critica a oltre sette anni dal ritiro israeliano. Tsahal, l’esercito di Israele, mantiene infatti il controllo delle frontiere e dello spazio aereo e marittimo, impedendo normali relazioni fra il territorio, il resto dello Stato palestinese (la Cisgiordania) e il resto del mondo.
Un milione e seicentomila persone vivono concentrate in quella che è stata definita la più grande prigione a cielo aperto del mondo. Un territorio esiguo, di 42 per 6-13 km, privo di possibilità di accesso all’esterno se non attraverso i filtri costituiti da Israele, e dall’Egitto per quanto riguarda il valico di Rafah. I divieti posti all’importazione di vari materiali impediscono anche la depurazione degli scarichi fognari, con effetti micidiali sulle acque del litorale, che si estendono a tutti gli Stati circostanti, compreso Israele.
I tassi di disoccupazione sono elevatissimi. I pescatori, circa 3.600, non possono allontanarsi dalla costa per una distanza superiore a tre miglia marine, altrimenti vengono mitragliati senza preavviso dalla marina da guerra israeliana. E anche entro tale distanza la loro esistenza non è facile. La mattina della mia partenza, venerdì scorso, un pescatore, che tentava di garantirsi la sopravvivenza attingendo alle davvero scarse risorse ittiche disponibili nell’esiguo margine consentito dalle autorità israeliane, è morto dopo essere stato ferito da una pallottola dum-dum (vietata dalle convenzioni internazionali) sparata dagli israeliani.
Si aggiungano i continui attacchi effettuati con i droni per eliminare presunti terroristi assieme a tutti coloro che abbiano la ventura di trovarsi nei paraggi. Ho visitato il luogo dove, dieci anni fa circa, era stata sganciata una bomba da una tonnellata indirizzata a un capo militare di Hamas, che ha fatto quattordici vittime, fra cui famiglie intere e nove bambini.
Più note le vicende dell’operazione “Piombo fuso” del dicembre-gennaio 2009, nel corso della quale oltre millecinquecento palestinesi, in gran parte civili, sono stati sterminati dal potente esercito israeliano nel più assoluto dispregio delle norme internazionali. Giustizia non è stata fatta. I numerosi (e costosissimi) ricorsi alle Corti israeliane presentati dal Centro palestinese per i diritti umani sono rimasti praticamente senza esito, mentre ipocritamente il procuratore della Corte penale internazionale, Moreno Ocampo, ha declinato l’invito ad occuparsene con la scusa che la Palestina non sarebbe uno Stato.
Chi si fa carico, allora, della protezione dei palestinesi? Non la comunità internazionale, dati i veti degli Stati Uniti al Consiglio di sicurezza e la pusillanimità degli Stati europei, che si guardano bene dall’applicare le proprie leggi sulla giurisdizione universale ed anzi in alcuni casi hanno preso spunto proprio dalle denunce relative a crimini israeliani per abrogarle, su esplicita pressione del governo di Tel-Aviv. Anche il rapporto presentato dall’esperto Goldstone e altri, che identificava chiaramente le responsabilità israeliane nell’operazione “Piombo fuso” è rimasto senza esito.
Fra gli incontri più interessanti, quello con un noto psichiatra palestinese, il dottor Eyad el-Sarraj, che, come Martin Luther King, ha un sogno, quello di uno Stato laico unitario in cui arabi ed ebrei, palestinesi ed israeliani possano convivere da eguali.
Viene da pensare che questa possa essere l’unica soluzione effettivamente praticabile, ma chissà quando. Nel frattempo, rabbia, umiliazione e frustrazione preparano la strada al prossimo conflitto. Anche su questo il dottor El-Sarraj ha dato un contributo importante, spiegando, dal suo punto di vista scientifico, come le successive generazioni di giovani palestinesi siano passate dai sassi della prima Intifada agli attacchi suicidi della seconda. Il futuro che si preannuncia non pare affatto positivo. E infatti alcune inchieste dimostrano la popolarità dei gruppi armati fra i giovani palestinesi, costretti a una vita che si fatica a definire tale.
Combattere il terrorismo, a cominciare da quello di Stato, costituisce un compito davvero fondamentale per realizzare la pace. Ma per questo occorre fare giustizia in modo imparziale su tutti i crimini e prosciugare il bacino di consenso degli estremisti con una politica di dialogo, convivenza e rispetto reciproco. Riconoscere lo Stato palestinese, entro i confini del 1967, come tappa verso uno Stato unitario, garantendone la sicurezza e sovranità. Nulla di più lontano, purtroppo, al momento, dalle prospettive della classe dirigente israeliana e internazionale.
Fabio Marcelli
Giurista internazionale
Mondo - 4 Ottobre 2012
Gaza: il blocco, i crimini e il sogno del dottor El-Sarraj
Ho avuto occasione recentemente di visitare la Striscia di Gaza, insieme agli altri membri del Bureau dell’Associazione internazionale dei giuristi democratici, su invito del Centro palestinese per i diritti umani, svolgendo numerosi incontri e interventi a seminari e conferenze. L’Associazione ha adottato una Dichiarazione relativa alla situazione della Striscia, che rimane estremamente critica a oltre sette anni dal ritiro israeliano. Tsahal, l’esercito di Israele, mantiene infatti il controllo delle frontiere e dello spazio aereo e marittimo, impedendo normali relazioni fra il territorio, il resto dello Stato palestinese (la Cisgiordania) e il resto del mondo.
Un milione e seicentomila persone vivono concentrate in quella che è stata definita la più grande prigione a cielo aperto del mondo. Un territorio esiguo, di 42 per 6-13 km, privo di possibilità di accesso all’esterno se non attraverso i filtri costituiti da Israele, e dall’Egitto per quanto riguarda il valico di Rafah. I divieti posti all’importazione di vari materiali impediscono anche la depurazione degli scarichi fognari, con effetti micidiali sulle acque del litorale, che si estendono a tutti gli Stati circostanti, compreso Israele.
I tassi di disoccupazione sono elevatissimi. I pescatori, circa 3.600, non possono allontanarsi dalla costa per una distanza superiore a tre miglia marine, altrimenti vengono mitragliati senza preavviso dalla marina da guerra israeliana. E anche entro tale distanza la loro esistenza non è facile. La mattina della mia partenza, venerdì scorso, un pescatore, che tentava di garantirsi la sopravvivenza attingendo alle davvero scarse risorse ittiche disponibili nell’esiguo margine consentito dalle autorità israeliane, è morto dopo essere stato ferito da una pallottola dum-dum (vietata dalle convenzioni internazionali) sparata dagli israeliani.
Si aggiungano i continui attacchi effettuati con i droni per eliminare presunti terroristi assieme a tutti coloro che abbiano la ventura di trovarsi nei paraggi. Ho visitato il luogo dove, dieci anni fa circa, era stata sganciata una bomba da una tonnellata indirizzata a un capo militare di Hamas, che ha fatto quattordici vittime, fra cui famiglie intere e nove bambini.
Più note le vicende dell’operazione “Piombo fuso” del dicembre-gennaio 2009, nel corso della quale oltre millecinquecento palestinesi, in gran parte civili, sono stati sterminati dal potente esercito israeliano nel più assoluto dispregio delle norme internazionali. Giustizia non è stata fatta. I numerosi (e costosissimi) ricorsi alle Corti israeliane presentati dal Centro palestinese per i diritti umani sono rimasti praticamente senza esito, mentre ipocritamente il procuratore della Corte penale internazionale, Moreno Ocampo, ha declinato l’invito ad occuparsene con la scusa che la Palestina non sarebbe uno Stato.
Chi si fa carico, allora, della protezione dei palestinesi? Non la comunità internazionale, dati i veti degli Stati Uniti al Consiglio di sicurezza e la pusillanimità degli Stati europei, che si guardano bene dall’applicare le proprie leggi sulla giurisdizione universale ed anzi in alcuni casi hanno preso spunto proprio dalle denunce relative a crimini israeliani per abrogarle, su esplicita pressione del governo di Tel-Aviv. Anche il rapporto presentato dall’esperto Goldstone e altri, che identificava chiaramente le responsabilità israeliane nell’operazione “Piombo fuso” è rimasto senza esito.
Fra gli incontri più interessanti, quello con un noto psichiatra palestinese, il dottor Eyad el-Sarraj, che, come Martin Luther King, ha un sogno, quello di uno Stato laico unitario in cui arabi ed ebrei, palestinesi ed israeliani possano convivere da eguali.
Viene da pensare che questa possa essere l’unica soluzione effettivamente praticabile, ma chissà quando. Nel frattempo, rabbia, umiliazione e frustrazione preparano la strada al prossimo conflitto. Anche su questo il dottor El-Sarraj ha dato un contributo importante, spiegando, dal suo punto di vista scientifico, come le successive generazioni di giovani palestinesi siano passate dai sassi della prima Intifada agli attacchi suicidi della seconda. Il futuro che si preannuncia non pare affatto positivo. E infatti alcune inchieste dimostrano la popolarità dei gruppi armati fra i giovani palestinesi, costretti a una vita che si fatica a definire tale.
Combattere il terrorismo, a cominciare da quello di Stato, costituisce un compito davvero fondamentale per realizzare la pace. Ma per questo occorre fare giustizia in modo imparziale su tutti i crimini e prosciugare il bacino di consenso degli estremisti con una politica di dialogo, convivenza e rispetto reciproco. Riconoscere lo Stato palestinese, entro i confini del 1967, come tappa verso uno Stato unitario, garantendone la sicurezza e sovranità. Nulla di più lontano, purtroppo, al momento, dalle prospettive della classe dirigente israeliana e internazionale.
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Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Il ministero della Salute libanese ha dichiarato che almeno sette persone sono state uccise e 52 ferite negli scontri scoppiati la scorsa notte al confine con la Siria. "Gli sviluppi degli ultimi due giorni al confine tra Libano e Siria hanno portato alla morte di sette cittadini e al ferimento di altri 52", ha affermato l'unità di emergenza del ministero della Salute.
Beirut, 17 mar. (Adnkronos/Afp) - Hamas si starebbe preparando per un nuovo raid, come quello del 7 ottobre 2023, penetrando ancora una volta in Israele. Lo sostiene l'israeliano Channel 12, in un rapporto senza fonti che sarebbe stato approvato per la pubblicazione dalla censura militare. Il rapporto afferma inoltre che Israele ha riscontrato un “forte aumento” negli sforzi di Hamas per portare a termine attacchi contro i kibbutz e le comunità al confine con Gaza e contro le truppe dell’Idf di stanza all’interno di Gaza.
Cita inoltre il ministro della Difesa Israel Katz, che ha detto di recente ai residenti delle comunità vicine a Gaza: "Hamas ha subito un duro colpo, ma non è stato sconfitto. Ci sono sforzi in corso per la sua ripresa. Hamas si sta costantemente preparando a effettuare un nuovo raid in Israele, simile al 7 ottobre". Il servizio televisivo arriva un giorno dopo che il parlamentare dell'opposizione Gadi Eisenkot, ex capo delle Idf, e altri legislatori dell'opposizione avevano lanciato l'allarme su una preoccupante recrudescenza dei gruppi terroristici di Gaza.
"Negli ultimi giorni, siamo stati informati che il potere militare di Hamas e della Jihad islamica palestinese è stato ripristinato, al punto che Hamas ha oltre 25.000 terroristi armati, mentre la Jihad ne ha oltre 5.000", hanno scritto i parlamentari, tutti membri del Comitato per gli affari esteri e la difesa.