Molta noia. Nessun momento che rimarrà davvero nella memoria. Mitt Romney che non riesce a trasformarsi in un candidato “caldo”, comunicativo, ma che comunque appare più aggressivo rispetto a tanti altri eventi della campagna. E infine Barack Obama, ancora una volta spento, poco incisivo (gli era già successo alla Convention di Charlotte), come se la passione e l’entusiasmo del 2008 si fossero esauriti e ora rimanesse un presidente stanco e con poca fiducia nel futuro. Finisce così il primo dibattito televisivo tra i candidati democratico e repubblicano alla Casa Bianca. Moderato dal giornalista di Pbs Jim Lehrer davanti alla folla di invitati e studenti della University of Denver, il confronto è stato anzitutto segnato da un’offensiva particolarmente distruttiva di Romney contro i quattro anni di Barack Obama.
“I prezzi della benzina sono raddoppiati sotto l’attuale presidente – ha detto Romney -. I costi per la sanità sono cresciuti di 2500 dollari a famiglia. I redditi della classe media sono stritolati. Guardiamo agli ultimi quattro anni. Ci sono 23 milioni di persone che non hanno un lavoro o che hanno rinunciato a cercarlo. La crescita economica quest’anno è più lenta dell’anno scorso, e l’anno scorso più lenta di quello precedente”. Obama è parso giocare sulla difensiva. Si è dovuto spesso giustificare per la mancata ripresa e ha scaricato ancora una volta sul suo predecessore George W. Bush la vera responsabilità della crisi. “Quando sono entrato alla Casa Bianca – ha detto – c’era un deficit di un trilione di dollari a darmi il benvenuto. E sappiamo da dove veniva. C’erano due guerre che sono state pagate con la carta di credito. E due tagli alle tasse che non sono stati pagati. E un bel po’ di programmi anche quelli non pagati”. Obama ha cercato di reagire accusando Romney di voler tornare alle stesse fallimentari politiche del passato: “Il suo approccio – ha detto, riferendosi allo sfidante repubblicano – è lo stesso del 2001 e del 2003, che ha prodotto la più lenta crescita di posti di lavoro in 50 anni, che ha trasformato il surplus in deficit e che è culminato nella peggiore crisi finanziaria dai tempi della Grande Depressione”.
Nell’appello finale Obama ha comunque dovuto riconoscere che le cose non sono andate come avrebbe voluto. “Quattro anni fa dissi che non sono un uomo perfetto e che non sarei stato un presidente perfetto. E’ una promessa su cui il governatore Romney si trova probabilmente d’accordo”. Per 90 minuti i candidati si sono scontrati praticamente su tutto – sanità, tasse, lavoro, deficit, educazione – in un clima di fair play freddo e scostante. E’ d’altra parte noto che Obama e Romney non si stimano e non hanno nel passato mai lavorato insieme. Una situazione molto diversa da quella del 2008, quando la rivalità tra Obama e McCain si mantenne sempre a un livello di civiltà e reciproco rispetto. Obama riconosceva il servizio reso dal suo avversario durante la guerra in Vietnam; McCain evitò spiacevoli attacchi personali, rifiutando di usare la carta razziale e razzista dei rapporti tra Obama e il reverendo Jeremiah Wright. Quello che ha comunque sorpreso ieri sera è stata l’assenza totale di quegli aspetti ferocemente polemici che la campagna democratica ha sinora usato contro Mitt Romney. Obama non ha mai accennato a Bain Capital, alla question del 47% di americani che a Romney “non interessano”, ai continui rifiuti da parte del candidato repubblicano di rendere pubblica la sua dichiarazione delle tasse, ai balletti di Romney su aborto, controllo delle armi, sanità. In una sola occasione Obama è parso alludere al carattere e ai tanti dettagli poco chiari del suo rivale. Quando ha spiegato che “il governatore Romney dice di voler cancellare la mia riforma di Wall Street, ma non dice come. Dice che vuole cancellare la mia riforma sanitaria, ma non dice come. Sta forse tenendo i suoi piani segreti perché sono troppo buoni?”.
In un dibattito dedicato interamente all’economia come quello di ieri sera (praticamente inesistenti la crisi siriana, la Libia e gli atri temi di politica estera), il ruolo del leone l’hanno fatto tasse e sanità. Romney ha accusato Obama di voler alzare le imposte. “Un errore – ha spiegato – perché quando l’economia cresce così lentamente, quando si è in recessione, non si dovrebbero alzare le tasse di nessuno”. Obama ha risposto (ed è forse stato il momento per lui più brillante) spiegando che il piano di 5mila miliardi di tagli proposto dal suo rivale porterebbe proprio a un aumento delle tasse. “La cancellazione di sprechi e deduzioni non sarà sufficiente a ridurre il deficit – ha detto – e quindi si dovrà sottoporre la classe media a nuove imposizioni o tagliare programmi sociali vitali”. Di fronte a Romney, che ha più volte assicurato di non pensare a tagli per 5000 miliardi di dollari, Obama ha concluso: “La magnitudo dei tagli di cui lei parla, governatore, risulterebbe in nuove, terribili difficoltà per la classe media”. Stesso copione anche sulla riforma sanitaria, con Romney che promette di cancellare l’Obamacare il primo giorno della sua presidenza. “Aumenta i costi della sanità e non fa assumere nuovi lavoratori – ha spiegato – Stabilisce che un consiglio non eletto prenda le decisioni sulla salute dei pazienti e taglia più di 700 miliardi di dollari di Medicare per pagare la riforma”. Accuse alle quali Obama ha risposto ricordando i benefici che la sua riforma sta già dando ad “anziani, giovani, famiglie”, i maggiori controlli oggi esistenti su assicurazioni sanitarie e compagnie farmaceutiche, i rischi insiti nel piano repubblicano di trasformare il Medicare in un piano di voucher. In definitiva è stato un dibattito in cui Romney ha rilanciato la sua immagine di businessman capace di creare lavoro e ricchezza – “lavoro, lavoro, lavoro, è quello che voglio dare agli americani”, ha urlato più volte -, attenuando gli effetti di troppe gaffe ed errori degli ultimi tempi. Obama è invece parso in difficoltà, troppo difensivo, poco capace di articolare una visione per il futuro. Il 16 ottobre si replica, con il secondo dibattito. Se Obama vuole mettere al sicuro un altro mandato, deve probabilmente recuperare un po’ della speranza e della voglia di cambiamento di quattro anni fa.