Non c’è niente di più inedito dell’edito, ironizzava negli anni ’50 un grande giornalista come Mario Missiroli. E’ una frase che, però, calza alla perfezione anche per fotografare quello che è accaduto ieri sera a Palazzo Chigi. Quando il governo ha varato il decreto sui tagli alla politica negli enti locali sollecitato dagli stessi governatori regionali e da molti sindaci. Il tutto – è noto – è nato dopo lo scandalo della Regione Lazio e sull’onda dell’emozione provocata dall’inizio di inchieste similari in Campania, Emilia Romagna e Piemonte e, soprattutto, spacciato come l’ennesima novità legislativa di stampo moralizzatore messa in campo da Mario Monti.
Non appena sono cominciate a circolare le copie del nuovo articolato, però, si è visto subito che il testo non si discostava di molto dal documento portato dai governatori al sottosegretario Antonio Catricalà la scorsa settimana. Ma soprattutto, era un testo che aveva similitudini davvero impressionanti con l’articolo 14 della manovra Tremonti dello scorso agosto (il decreto 138) che prevedeva la riduzione dei Consiglieri e dei loro stipendi. Una manovra che all’epoca aveva provocato l’immediata alzata di scudi dei governatori e che, invece, ieri è stato digerito come un bicchier d’acqua e, in alcuni casi, accompagnato da un sincero entusiasmo dei diretti interessati.
Insomma, Monti non si è inventato nulla di straordinario. Anzi, ha copiato di sana pianta Tremonti, solo che all’epoca il governo era ormai delegittimato nell’azione politica e di risanamento economico, mentre ora – inchieste a parte – si parla addirittura di un Monti bis dopo le elezioni di aprile: impossibile non adeguarsi al nuovo corso. E, soprattutto, a salutarlo con favore. Si ricorderà anche che la manovra tremontiana demandava alle Regioni il compito di attuarle entro sei mesi, cosa che naturalmente non è avvenuta. E i ricorsi sono servirti anche per rallentare l’applicazione delle norme secondo la scadenza prevista. Poi è esploso il Lazio gate e l’indignazione dell’opinione pubblica ha indotto consigli e giunte regionali a fare quello che non hanno fatto in questi 15 mesi.
Giusto per ricordarlo, la manovra Tremonti del 13 agosto 2011, messa a punto in un’estate in cui il governo si produsse, complessivamente, in cinque diverse versioni del provvedimento per cercare di arginare il volume dello spread in fiammata perenne e quotidiana, conteneva tagli agli enti locali e alle Regioni per 9 miliardi di euro nel biennio 2013-2014. Le riduzioni erano state suddivise in circa 3,5 miliardi di euro nel 2013 e 5,5 miliardi nel 2014. E prevedeva, sempre per Comuni, Regioni e Province, trasparenza nelle spese, tagli agli stipendi, riduzione del numero delle poltrone e anche significative sanzioni per chi non avesse attuato la stretta. Una manovra, dunque, molto stringente, dettata ovviamente dall’emergenza di quel momento che indignò tutti. A partire proprio dal “celeste” Formigoni che parlò, seccato, di “fine del federalismo fiscale”. Quindi fu presa la decisione di ricorrere alla Corte Costituzionale. Ieri Formigoni era sempre in prima fila, stavolta a decantare la bontà di un provvedimento con gli stessi contenuti della manovra 2011 – in qualche caso addirittura peggiori – sostenendo addirittura di essere stato tra quelli che hanno perentoriamente chiesto a Monti di intervenire: “Quei tagli – ecco la dichiarazione – sono le richieste presentate da noi (dai governatori all’esecutivo nazionale, ndr) e il decreto va in quella direzione”.
Un decreto che, lo ricordiamo, contiene tagli agli stipendi di consiglieri e assessori e anche ai gettoni di presenza nelle commissioni, sanzioni a carico degli amministratori locali, come i sindaci, che hanno contribuito con dolo o colpa grave al verificarsi del dissesto finanziario e l’incandidabilità per dieci anni. Quindi il dimezzamento delle agevolazioni in favore dei gruppi consiliari, dei partiti e dei movimenti politici e l’adeguamento al livello della Regione più virtuosa (identificata dalla Conferenza Stato-Regioni entro il 30 ottobre 2012), la tracciabilità delle spese dei gruppi consiliari, scure su auto blu e sponsor, e taglio dei vitalizi con passaggio al sistema contributivo per le pensioni.
Insomma, una tagliola tremenda. Ma già tremendamente vista. E, stavolta, anche accettata solo perché la propone Monti. Che a sua volta non si è inventato niente ed ha copiato Tremonti. Quando si dice che non c’è mai niente di più inedito (e apparentemente brillante) dell’edito…