Il rapporto tra Zoe Romano e la moda, dal 2005 al 2009, assomigliava a quello tra una donna e un uomo che le piace, ma con il quale sta per poterlo cambiare. Come in tutte le relazioni, arriva un momento in cui ci si arrende e si va alla ricerca di qualcosa di nuovo. Un altro uomo. O, nel caso di Zoe Romano, un altro sistema per fare moda.
Il suo si chiama Openwear.org. È un marchio, un sito internet e una community di designer e piccoli produttori europei. Ha già una collezione all’attivo ed è un progetto ambizioso, perché, spiega la sua ideatrice, “in una decina di anni vorrebbe rappresentare per la moda ciò che i software opensource ora rappresentano nei confronti dei grandi dell’informatica”. Il concetto base è lo stesso: la condivisione dei saperi e la possibilità, da parte di chiunque ne sia interessato, di contribuire all’evoluzione e al miglioramento dell’idea iniziale. Ognuno può registrarsi sul sito e mettere a disposizione le proprie idee o prendere spunto da quelle degli altri. Questo è il metodo di lavoro. Dall’altra parte c’è l’etica. Openwear rifiuta il fast-fashion, ossia le tendenze e le collezioni che muoiono in pochi mesi, e lo spreco che ne deriva. Promuove il modello della filiera corta e dà spazio alle proposte dei free-lance e dei piccoli produttori che fanno moda nello studio di casa propria.
In questa avventura, Romano, copywriter e mente, tra le altre, del collettivo di precari della moda e della comunicazione Serpica Naro, non è sola. Cinque partner europei la affiancano nello sviluppo di Openwear. Sono: Poper, uno studio di comunicazione sociale di Lubiana; Ethical Economy, un’azienda londinese che fornisce strumenti per sviluppare relazioni etiche online; l’Università Statale di Milano; la facoltà di Fashion e Textile design di Lubiana e la Copenhagen Business School. Insieme formano EDUfashion, una piattaforma online nata nel 2009 e finanziata dal programma Life Long Learning dell’Unione Europea che detiene la paternità di tutte le iniziative di Openwear.
C’è molta Europa in questo progetto. Ma anche molto Serpica Naro. Perché, spiega Zoe Romano, i principi che ispirarono il finto marchio con cui, a febbraio 2005, un gruppo di lavoratori di San Precario partecipò alle sfilate milanesi, “sono anche alla base di Openwear”. Serpica si occupava – e si occupa tuttora, con corsi ed eventi – di precarietà nell’economia immateriale, ponendo l’attenzione sulle persone che fanno consulenza, sui free-lance, su coloro che contribuiscono a creare un’etichetta che poi verrà venduta nei negozi. La provocazione di Serpica sarebbe potuta evolvere in una rivendicazione di diritti e compensi più adatti al lavoro svolto. Eppure, osserva Romano, “una battaglia rivendicativa assorbe energie, ma non cambia il sistema della moda. La sua finalità ultima resterà sempre quella di portare avanti dei modelli di vita con cui non andiamo più d’accordo”. Così nasce Openwear. “L’idea era riuscire a creare una moda economica, che fosse bella, sostenibile, che non sfruttasse i lavoratori, che avesse una dimensione più umana. Ci sono un sacco di persone a cui piace produrre vestiti. Piccole autoproduzioni che, però, al confronto con le griffe e le grandi aziende muoiono”.
La visibilità offerta dal sito internet è un aiuto per superare le barriere all’entrata del mercato, ma non basta a creare delle aziende economicamente sostenibili. C’è bisogno del co-working, vale a dire la condivisione dei macchinari, delle tecniche più innovative, delle infrastrutture. Il processo è ancora in corso, ma dallo spazio virtuale del sito internet presto si passerà allo spazio fisico dove più produttori possono lavorare insieme. In questi luoghi, aggiunge Romano, “verranno allestiti degli stand dove i clienti possono fare le proprie richieste direttamente a chi produce. È un po’ come la filiera corta dell’agricoltura”.
Con la moda tradizionale, Openwear ha in comune solo l’oggetto della produzione: i vestiti e gli accessori. Per il resto, i designer non presentano collezioni, ma solo cataloghi di cartamodelli, e non sono interessati alle sfilate. Per Openwear non esistono le stagioni e niente passa mai di moda. Se un vestito si rompe, non si butta, si aggiusta. I prezzi saranno “simili a quelli di Zara”, ma variabili a seconda del modello, della stoffa usata e del tempo di lavoro impiegato. “Il network è in costruzione. Noi è da tre anni che ci muoviamo – conclude Zoe Romano – i software opensource ci hanno messo più di un decennio per diventare competitivi con Windows”. Ma alla fine ce l’hanno fatta.
Avere o essere
Zoe, la stilista che vuole un’altra moda. “Come? Basta un’idea da ciascuno”
Openwear.org è un marchio, un sito internet e una community designer e piccoli produttori. Alla base del progetto la condivisione di saperi e possibilità di contribuire all'evoluzione dell'idea iniziale: basta registrarsi. E poi: no al fast-fashion e sì alla filiera corta
Il rapporto tra Zoe Romano e la moda, dal 2005 al 2009, assomigliava a quello tra una donna e un uomo che le piace, ma con il quale sta per poterlo cambiare. Come in tutte le relazioni, arriva un momento in cui ci si arrende e si va alla ricerca di qualcosa di nuovo. Un altro uomo. O, nel caso di Zoe Romano, un altro sistema per fare moda.
Il suo si chiama Openwear.org. È un marchio, un sito internet e una community di designer e piccoli produttori europei. Ha già una collezione all’attivo ed è un progetto ambizioso, perché, spiega la sua ideatrice, “in una decina di anni vorrebbe rappresentare per la moda ciò che i software opensource ora rappresentano nei confronti dei grandi dell’informatica”. Il concetto base è lo stesso: la condivisione dei saperi e la possibilità, da parte di chiunque ne sia interessato, di contribuire all’evoluzione e al miglioramento dell’idea iniziale. Ognuno può registrarsi sul sito e mettere a disposizione le proprie idee o prendere spunto da quelle degli altri. Questo è il metodo di lavoro. Dall’altra parte c’è l’etica. Openwear rifiuta il fast-fashion, ossia le tendenze e le collezioni che muoiono in pochi mesi, e lo spreco che ne deriva. Promuove il modello della filiera corta e dà spazio alle proposte dei free-lance e dei piccoli produttori che fanno moda nello studio di casa propria.
In questa avventura, Romano, copywriter e mente, tra le altre, del collettivo di precari della moda e della comunicazione Serpica Naro, non è sola. Cinque partner europei la affiancano nello sviluppo di Openwear. Sono: Poper, uno studio di comunicazione sociale di Lubiana; Ethical Economy, un’azienda londinese che fornisce strumenti per sviluppare relazioni etiche online; l’Università Statale di Milano; la facoltà di Fashion e Textile design di Lubiana e la Copenhagen Business School. Insieme formano EDUfashion, una piattaforma online nata nel 2009 e finanziata dal programma Life Long Learning dell’Unione Europea che detiene la paternità di tutte le iniziative di Openwear.
C’è molta Europa in questo progetto. Ma anche molto Serpica Naro. Perché, spiega Zoe Romano, i principi che ispirarono il finto marchio con cui, a febbraio 2005, un gruppo di lavoratori di San Precario partecipò alle sfilate milanesi, “sono anche alla base di Openwear”. Serpica si occupava – e si occupa tuttora, con corsi ed eventi – di precarietà nell’economia immateriale, ponendo l’attenzione sulle persone che fanno consulenza, sui free-lance, su coloro che contribuiscono a creare un’etichetta che poi verrà venduta nei negozi. La provocazione di Serpica sarebbe potuta evolvere in una rivendicazione di diritti e compensi più adatti al lavoro svolto. Eppure, osserva Romano, “una battaglia rivendicativa assorbe energie, ma non cambia il sistema della moda. La sua finalità ultima resterà sempre quella di portare avanti dei modelli di vita con cui non andiamo più d’accordo”. Così nasce Openwear. “L’idea era riuscire a creare una moda economica, che fosse bella, sostenibile, che non sfruttasse i lavoratori, che avesse una dimensione più umana. Ci sono un sacco di persone a cui piace produrre vestiti. Piccole autoproduzioni che, però, al confronto con le griffe e le grandi aziende muoiono”.
La visibilità offerta dal sito internet è un aiuto per superare le barriere all’entrata del mercato, ma non basta a creare delle aziende economicamente sostenibili. C’è bisogno del co-working, vale a dire la condivisione dei macchinari, delle tecniche più innovative, delle infrastrutture. Il processo è ancora in corso, ma dallo spazio virtuale del sito internet presto si passerà allo spazio fisico dove più produttori possono lavorare insieme. In questi luoghi, aggiunge Romano, “verranno allestiti degli stand dove i clienti possono fare le proprie richieste direttamente a chi produce. È un po’ come la filiera corta dell’agricoltura”.
Con la moda tradizionale, Openwear ha in comune solo l’oggetto della produzione: i vestiti e gli accessori. Per il resto, i designer non presentano collezioni, ma solo cataloghi di cartamodelli, e non sono interessati alle sfilate. Per Openwear non esistono le stagioni e niente passa mai di moda. Se un vestito si rompe, non si butta, si aggiusta. I prezzi saranno “simili a quelli di Zara”, ma variabili a seconda del modello, della stoffa usata e del tempo di lavoro impiegato. “Il network è in costruzione. Noi è da tre anni che ci muoviamo – conclude Zoe Romano – i software opensource ci hanno messo più di un decennio per diventare competitivi con Windows”. Ma alla fine ce l’hanno fatta.
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Giustizia & Impunità
Pioltello, una sola condanna per il disastro ferroviario. 8 assoluzioni, anche l’ex ad di Rfi: “Non sapevano del giunto ammalorato”
Politica
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Milano, 25 feb. (Adnkronos) - La sentenza di condanna a cinque anni e tre mesi per Marco Albanesi, nella sua qualità di capo Unità manutentiva di Rfi, per disastro ferroviario, omicidio colposo e lesioni colpose, è sancita dalla "colposa sottovalutazione del rischio, a lui noto, di rottura del giunto isolante incollato ammalorato, all'altezza del Km 13+400", nel comune di Pioltello, che causò il deragliamento di un treno regionale che il 25 gennaio 2018 uscì dai binari causando la morte di tre passeggeri e di un centinaio di feriti.
Nella nota del presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia - la risoluzione del Csm consente di spiegare le sentenze più complesse in attesa delle motivazioni - si evidenzia come il collegio presieduto dalla giudice Elisabetta Canevini ha assolto gli ex dirigenti - l'ex ad Maurizio Gentile e gli ex manager Umberto Lebruto, Vincenzo Macello e Andrea Guerini - "tutti per non aver commesso il fatto", data "l'assenza di prova in ordine alla realizzazione di condotte commissive od omissive ad essi rimproverabili, considerazione dei rispettivi ruoli ricoperti all'interno dell'assetto organizzativo di Rete ferroviaria italiana, nonché degli effettivi flussi informativi circa l'ammaloramento del giunto e l'inadeguatezza della manutenzione che ne ha determinato la rottura la mattina del 25 gennaio 2018, cagionando così il tragico disastro".
Il Tribunale - in coerenza con l'indirizzo interpretativo già accolto dalla Suprema Corte di Cassazione nella vicenda relativa al disastro ferroviario di Viareggio - "ha escluso che le norme cautelari astrattamente violate, il cui rispetto avrebbe evitato il verificarsi del disastro, avessero ad oggetto specifiche cautele antinfortunistiche, ritenendo che in realtà esse attenessero alla gestione di un rischio ontologicamente diverso, relativo alla sicurezza della circolazione ferroviaria e alla tutela della pubblica incolumità: e sulla base di questo inquadramento giuridico della vicenda ha vagliato la sussistenza, e l'osservanza in concreto delle posizioni di garanzia riferibili ai singoli". Le motivazioni del processo di primo grado saranno rese note tra 90 giorni.
(Adnkronos) - Quello spezzone che manca, circa 23 centimetri, sbalzato a "diversi metri di distanza" è per la procura la causa del deragliamento e grazie a una telecamera che punta sul tratto ferroviario emerge che "I problemi che stava dando quel giunto duravano da qualche giorno". Al passaggio del treno su quel tratto si generano scintille, le prime scintille già a partire dal 17 gennaio, proseguono e aumentano intensità e frequenza" con l'incremento dell'erosione.
Il giorno del deragliamento "le scintille sono contenute al passaggio delle prime carrozze, poi c'è quasi una fiammata" mentre il convoglio viaggia a "140 chilometri l'ora", infine "basta scintille" perché "il giunto è saltato" e le ultime carrozze non viaggiano più sui binari. "Possiamo dire con certezza che è la rottura del giunto che ha determinato lo svio del treno" è la sintesi dei pm Leonardo Lesti e Maura Ripamonti durante la requisitoria. "E' evidente che questa rottura determina l'evento e la morte di tre persone e il ferimento di circa 200" di cui deve rispondere "chi non ha provveduto alla corretta manutenzione del giunto" che si trovava "in condizioni di forte degrado" è la tesi della procura.
Su quella linea in cui passano circa 100 treni al giorno il malfunzionamento viene rilevato - secondo la tesi della procura fin dal febbraio 2017 o addirittura anche prima - ma la sostituzione dei giunto non arriva mai, la strategia di Rfi, per la pubblica accusa, sembra essere "il giunto si cambia se è rotto, se non è rotto si tira avanti". L’incidente mortale di Pioltello "non è un fatto occasionale, ma riconducibile alla colpa che arriva fino all'amministratore delegato Gentile". Il non aver riparato il giunto lungo i binari "è una sorta di scorrettezza nei confronti dello Stato" ma "anche una forma di slealtà" nei confronti di chi viaggiava: "c'erano 250 passeggeri, gente che andava a lavorare e si fidava del treno". Una tesi accusatoria che non ha convinto il tribunale.
(Adnkronos) - Lebruto e Macello, presenti in aula, si sono lasciati andare a qualche lacrima di commozione dopo l'assoluzione, mentre alcuni dei passeggeri che viaggiavano sul treno deragliato hanno lasciato l'aula in silenzio e con tutt'altro stato d'animo. Di fatto il tribunale ha condannato solo l'allora capo dell'Unità manutentiva di Rfi Marco Albanesi (la procura aveva chiesto 6 anni e 10 mesi) per disastro ferroviario colposo, omicidio e lesioni colpose, ritenendolo responsabile sul territorio del mancato controllo o meglio come "colposa sottovalutazione del rischio" come spiega lo stesso Tribunale. Lui, in solido con il responsabile civile Rfi, dovrà risarcire le parti civili (una cinquantina) con una provvisionale di 25mila per ciascuno dei passeggeri che si sono costituiti nel processo e di 50mila al sindacato Filt - Cgil Lombardia.
Gli ex manager per cui la procura aveva chiesto la condanna sono invece stati assolti dall'accusa di disastro ferroviario colposo e omicidio e lesioni colpose "per non aver commesso il fatto" e "perché il fatto non sussiste" rispetto all'accusa di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. I giudici hanno anche assolto - come chiesto dalla stessa procura - Moreno Bucciantini, allora capo reparto Programmazione e controllo dell’Unità territoriale linee Sud di Rfi, Ivo Rebai, ai tempi responsabile della Struttura operativa Ingegneria della Dtp e Marco Gallini, allora dirigente della Struttura organizzativa di Rfi.
Sono le 7.01 del 25 gennaio 2018 quando il treno 10452 esce dai binari e tre delle sei carrozze, dopo il deragliamento, si ribaltano. Tra le lamiere della carrozza numero 3 muoiono Pierangela Tadini, 51 anni, Giuseppina Pirri, 39 anni, e Ida Maddalena Milanesi, 61, dottoressa dell'ospedale neurologico Carlo Besta di Milano. Dall'ispezione della sede ferroviaria "viene accertato sul binario una rottura della superficie della rotaia" che diventerà il 'punto zero' per l'inchiesta.
(segue)
Roma, 25 feb. (Adnkronos) - Luca Attanasio, "convinto che la sua missione istituzionale non potesse prescindere dall'impegno sociale, è sempre rimasto a fianco degli ultimi, esprimendo l'ideale del diplomatico dal volto umano, nella certezza che nessuno, in qualsiasi parte del mondo, dovesse essere lasciato indietro". Lo ha affermato il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ricordando in Aula l'ambasciatore Attanasio, ucciso insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo in un agguato nella Repubblica democratica del Congo il 22 febbraio di quattro anni fa.
"Oggi rendiamo omaggio alla memoria di un uomo -ha aggiunto il presidente della Camera- che ha dedicato la propria esistenza al servizio del Paese e a sostegno della cooperazione internazionale. Ma non possiamo non ricordare il coraggio e l’alto senso del dovere dimostrati dal carabiniere scelto Iacovacci che, nel tentativo di proteggere l’ambasciatore, non ha esitato a fargli da scudo con il proprio corpo. Un gesto nobile e generoso che gli è valso il conferimento alla memoria della Medaglia d’oro al valor militare e che riflette i valori più autentici che contraddistinguono le donne e gli uomini dell’Arma".
"Un ringraziamento va anche a tutto il personale civile e militare che, spesso esponendosi a pericoli estremi, svolge un ruolo cruciale nella promozione della pace e dell’assistenza alle popolazioni più vulnerabili in zone di crisi e contesti ad alto rischio. A loro esprimo la mia profonda gratitudine e riconoscenza. Ai familiari dell’ambasciatore Luca Attanasio e di Vittorio Iacovacci, oggi qui presenti, desidero rinnovare la vicinanza mia personale e della Camera dei deputati. Il loro -ha concluso Fontana- è il dolore dell’Italia intera, che non può e non deve dimenticare il sacrificio di chi l’ha servita con onore e disciplina". L'Aula ha quindi osservato un minuto di silenzio.
Kinshasa, 25 feb. (Adnkronos/Afp) - Il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), Karim Khan, è arrivato nella Repubblica Democratica del Congo. Lo ha comunicato il suo ufficio, mentre è in atto una recrudescenza dei combattimenti nella parte orientale del Paese. Nelle ultime settimane, l'M23, sostenuto dal Ruanda, ha conquistato due importanti città nella Repubblica Democratica del Congo orientale, rafforzando così il suo potere nella regione da quando ha ripreso le armi alla fine del 2021.
"Siamo estremamente preoccupati per i recenti sviluppi in Congo, sappiamo che la situazione è grave, soprattutto nella parte orientale", ha detto Khan ai giornalisti al suo arrivo nella capitale Kinshasa. "Il messaggio deve essere trasmesso in modo molto chiaro: nessun gruppo armato, nessuna forza armata, nessun alleato di gruppi armati o forze armate ha un assegno in bianco. Devono rispettare il diritto umanitario internazionale".
Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, l'M23 è supportato da circa 4.000 soldati ruandesi. Sin dalla sua rinascita, gli scontri tra il gruppo e le forze armate congolesi hanno provocato una crisi umanitaria in una regione flagellata da tre decenni di guerre. "Questo è il momento in cui vedremo se il diritto penale internazionale può soddisfare le richieste avanzate dal popolo della Repubblica Democratica del Congo, ovvero l'applicazione equa della legge", ha affermato Khan. "Il popolo della Rdc è prezioso quanto il popolo dell'Ucraina, il popolo di Israele o della Palestina, le ragazze o le donne dell'Afghanistan", ha aggiunto.
Khan incontrerà il presidente Felix Tshisekedi, alcuni ministri, il rappresentante nazionale del Segretario generale delle Nazioni Unite Bintou Keita, nonché le vittime del conflitto e membri della società civile. La prima indagine avviata dalla Cpi nella Repubblica Democratica del Congo risale al 2002. Da allora, il tribunale ha condannato tre persone per crimini commessi nel Paese. Nel 2023, la procura della Cpi ha inoltre avviato un'indagine sulle accuse di crimini commessi a partire da gennaio 2022 nella provincia del Nord Kivu, nella parte orientale della nazione. L'ufficio di Khan, che ha visitato il Paese nel maggio 2023, ha dichiarato all'inizio di questo mese che l'attuale situazione nella Rdc orientale "fa oggetto di un'indagine che è in corso".
Roma, 25 feb. (Adnkronos Salute) - "L'impegno di Danone per far conoscere alle persone l'importanza di un microbiota in salute nasce 35 anni fa, quando lanciammo Activia, un prodotto che ha la vocazione di migliorare il benessere intestinale di tutti gli italiani. Oggi diamo un'accelerazione a questo impegno grazie alla nuova campagna con la quale lanciamo un nuovo strumento: un questionario online molto semplice, creato su basi scientifiche e in grado di dare un risultato, una specie di assessment, sullo stato di salute del microbiota intestinale dei rispondenti". Così Yoann Steri, digital & data director di Danone Italia, in occasione dell'evento 'Innovazione e benessere: il microbiota al centro', organizzato dall'azienda, illustra l'iniziativa del questionario online validato scientificamente da Giovanni Barbara, tra i massimi esperti di microbiota, che analizza lo stato del microbiota intestinale e consente, in modo semplice, di indicare come le abitudini alimentari e, in generale, lo stile di vita influenzano lo stato del microbiota.
"Attraverso il questionario, il rispondente può avere indicazioni e risultati che gli permettono di migliorare il suo stato di salute attraverso l'analisi di diversi fattori, come lo stress, l'attività fisica, la qualità del sonno e la nutrizione, in cui Activia ha un ruolo molto importante", conclude.
Roma, 25 feb (Adnkronos) - "A due anni dalla tragedia di Cutro, parteciperò questa notte alla veglia sulla spiaggia di Steccato di Cutro e alle varie iniziative promosse dalle associazioni della società civile che ringrazio per l’impegno quotidiano". Lo dice il deputato Paolo Ciani, segretario di Democrazia solidale e vicecapogruppo del Pd-Idp, sull’anniversario della tragedia di Cutro.
"Ricordare le oltre cento persone che andavano protette e invece sono morte sulle nostre coste è un dovere, anche perché ancora devono avere giustizia; così come è un dovere denunciare le politiche sulle migrazioni messe in campo da questo governo, che osteggiano il soccorso in mare e di fatto considerano la vita dei migranti, vite di scarto", prosegue Ciani.
"Gli inutili e costosi centri in Albania sono il monumento eretto con le tasse degli italiani per mostrare questa logica. Noi vogliamo contrastare in ogni ambito la “cultura dello scarto” e non ci rassegniamo alla logica e alla narrazione del “migrante invasore”. Proponiamo l’implementazione di ingressi legali, accoglienza diffusa, investimenti sull’integrazione, corridoi umanitari per situazioni di vulnerabilità, tutela dei diritti umani. Le persone migranti non sono nemici; il dieci per cento della nostra popolazione non ha cittadinanza italiana: basta dipingerli come “il nemico'", conclude.