E’ il grande progetto del ministro Passera. Creare una super azienda che gestisca acqua, gas, elettricità e rifiuti, e che nasca dalla fusione delle multiutility del nord. Un’azienda capace di resistere alla concorrenza europea e di espandersi all’estero. Insomma un nuovo colosso che in Italia potrebbe essere secondo solo a Enel. Si doveva partire con l’unione di A2a e Iren. E cioè Milano da una parte, e dall’altra Torino, Genova, Piacenza, Parma e Reggio. Un’operazione sfumata, almeno per il momento. E così si è passati al piano B: Hera che si unisce ad Acegas-Aps. Bologna con Padova e Trieste dunque. Un’operazione andata in porto grazie all’impegno del Partito Democratico, che non ha avuto remore nello scontrarsi con i suoi alleati: Sinistra Ecologia e Libertà e Italia dei Valori.

E’ successo un po’ in tutta l’Emilia Romagna. Anche a Bologna, dove dopo una interminabile maratona notturna la delibera di fusione è passata con i voti del Pd, appoggiati per l’occasione da Stefano Aldrovandi, ex amministratore delegato di Hera ai tempi del sindaco di centrodestra Giorgio Guazzaloca e ora in consiglio comunale con una propria lista centrista. Scene simili si sono viste a Modena, dove il Pd ha votato solo contro tutti, perdendo addirittura per strada 4 consiglieri. E a Ferrara, dove il voto ha spaccato la maggioranza di centrosinistra. Anche qui i democratici hanno scelto di andare avanti ad soli. A Ravenna l’assessore al bilancio di Sel si è rifiutato di presentare la delibera, e così il Pd ha dovuto fare da solo. A Forlì invece, caso unico, il sindaco Roberto Balzani ha prima denunciato le pressioni fatte da funzionari, manager e politici per votare a favore della fusione, poi ha dichiarato che i piccoli comuni non contano nulla nella gestione aziendale, e infine ha annunciato il proprio no all’operazione.

L’idea di un’espansione di Hera era da tempo nell’aria, anche prima dell’estate. Nata ufficialmente nel consiglio di amministrazione dell’azienda, si è trasformata in un accordo quadro con Acegas-Aps lo scorso luglio. Sempre a luglio una riunione dei sindaci del Patto di sindacato che controlla Hera ha dato parere positivo su un accordo rimasto a lungo misterioso “per non falsare il mercato azionario”. In questi giorni – e quello di Bologna è solo il caso più importante visto che la città controlla il 19% delle azioni Hera – stanno arrivando le ratifiche dei vari consigli comunali. Lunedì 15 ottobre arriverà invece l’epilogo, con l’assemblea dei soci e il via libera alla fusione tra le due multiutility. Fusione che sarà operativa dal 2013, e che vedrà Hera assumere il controllo di Acegas-Aps detenendone una quota pari al 62,69% del capitale.

Un’operazione che ha spaccato tutto il centrosinistra, e non solo il mondo dei partiti. Anche la Cgil, che aveva appoggiato con convinzione il referendum sull’acqua pubblica, si è divisa in due. La sinistra del sindacato sta ad esempio supportando i comitati “Acqua bene comune”, che in questi giorni stanno manifestando in tutti i consigli comunali dove si vota la fusione. La segretaria regionale della Cgil Emilia Romagna ha invece siglato un documento congiunto con Cisl e Uil valutando positivamente l’operazione in quanto “importante progetto industriale capace di contrastare la crisi economica”.

Il nodo è ovviamente quello del referendum, che ha visto 27 milioni di italiani votare per l’acqua pubblica e che secondo i comitati Acqua bene comune è stato tradito dalla fusione, “che porterà ad una privatizzazione nei fatti, per quanto formalmente la gestione resterà in mano alle istituzioni. Ma i Comuni non conteranno più niente, e così i cittadini che non potranno più dire la loro”. Di questo avviso anche Sel, Idv, Movimento 5 Stelle e Lega Nord. Di diverso parere invece il Partito Democratico, che rivendica un comportamento comunque coerente. “Hera e Acegas resteranno pubbliche, non c’è nessun cedimento al mercato o privatizzazione. Questo è quello che ci hanno chiesto i cittadini”, ha spiegato il capogruppo del Pd bolognese Sergio Lo Giudice. “È vero che la partecipazione pubblica nella nuova Hera andrà a crescere, ma contemporaneamente andrà anche a parcellizzarsi perché aumenteranno i comuni coinvolti. E questa cosa può essere molto critica se con la Hera, a Bologna, continua a relazionarsi un comune che di fatto è messo in soggezione”. Parole del democratico Benedetto Zacchiroli. Zacchiroli, uno dei malpancisti del Pd e fino alla fine incerto nel voto, alla fine ha votato sì. “Perché sarebbe irresponsabile votare altrimenti dopo le scelte che sono state fatte, e questo Comune ha scelto anni fa di collocare Hera sul mercato”. “Rafforzerà la società e la renderà più grande e competitiva senza per questo lasciarla in mani private”, ha spiegato la vicesindaco di Bologna, Silvia Giannini, rassicurando tutti nel suo parti

Cosa potrebbe succedere dopo la fusione lo hanno spiegato bene i grillini. “La fusione Hera S.p.A. con Acegas sembra proprio un trucco col quale ignorare e raggirare l’esito dei referendum sull’acqua, consentendo l’ingresso in massa dei privati nella super-multiutility. Il grimaldello sono un paio di modifiche agli articoli 7 e 26 dello Statuto”, ha scritto Giovanni Favia, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle emiliano romagnolo. Con la fusione la nuova società si aprirà ad una partecipazione del Fondo strategico italiano (Fsi), controllato dalla Cassa depositi e prestiti, a sua volta in mano per il 70% al Ministero del tesoro, e per il restante 30 alle Fondazioni bancarie. Come opera Fsi è spiegato nel sito dello stesso fondo strategico. “Fsi opera acquisendo quote, generalmente di minoranza, di imprese di rilevante interesse nazionale che siano in equilibrio economico-finanziario e abbiano adeguate prospettive di redditività e significative prospettive di sviluppo”. Primo obiettivo di Fsi: aumentare competitività,dimensioni e presenza internazionale delle aziende partecipate. Proprio l’opposto di quello che vogliono i comitati referendari, che da sempre chiedono di trasformare il ciclo idrico in un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, da affidarsi a società di diritto pubblico finanziate anche attraverso la fiscalità generale.

“Il big player all’interno di Hera – continua il grillino Giovanni Favia – diventerà il Fondo strategico italiano, a tutti gli effetti uno dei membri del Patto di Sindacato. Essendo membro, potrà acquistare (e i piccoli Comuni affamati di liquidità potranno vendergli) quote, con il capitale che certo non manca. Per cui si apre un nuovo scenario: cioè che la maggioranza di Hera venga acquistata da una società a maggioranza pubblica, ma con una importante componente privata al suo interno. E se superasse il 51% e cambiasse il Patto di Sindacato? Sono interrogativi che ci fanno dire, ancora una volta, un secco no alla fusione Hera-Acegas”.

Non sono scenari campati in aria. Il ministro Passera non ha mai fatto mistero di considerare con favore un’uscita morbida dei Comuni dalla nuova grande multiutility in via di creazione. Lo scorso maggio l’agenzia specializzata Radiocor ha dato la notizia dell’esistenza di un piano per la creazione di una “Grande Utility Italiana”. Un piano elaborato da McKinsey, società di consulenza che ha visto tra le proprie fila molti personaggi di spicco, da Francesco Profumo a Paolo Scaroni passando per lo stesso Passera. L’ultima fase del piano che McKinsey ha consegnato al ministro, spiega Radiocor, consiste nell’uscita dei comuni azionisti dalla nuova società, anche se “ad essa affiderebbero comunque la gestione delle reti in modo da garantirsi, attraverso l’affitto, un flusso di cassa annuo costante equiparabile ai dividendi, sempre più risicati, incassati dalle ex municipalizzate”.

Uno scenario che i comitati referendari vedono come catastrofico. “Se il Ministero del tesoro arriverà a controllare a maggioranza la nuova società la gestione resterà formalmente pubblica, ma a tutti gli effetti i servizi vitali per i cittadini, dall’acqua alla fornitura di energia e gas, usciranno dal controllo democratico – spiega il bolognese Alessandro Bernardi – Quale sarà il Comune così forte da poter chiedere qualcosa a un colosso nazionale?”

Una paura in un certo senso confermata anche da chi crede nell’operazione. “Il Comune di Bologna non è stato capace in questi di anni di imporre a Hera le proprie scelte – ha spiegato Stefano Aldrovandi, ex amministratore delegato di Hera – a tutti gli effetti i manager hanno già in mano la società quando invece dovrebbero essere al servizio degli azionisti pubblici”. Altra voce quella di Emanuele Burgin, assessore all’ambiente delle Provincia di Bologna e da sempre avversario dei referendari. “A decidere in Hera sono i manager che ai soci danno quel che i soci chiedono: un’azienda solida e dividendi cash”. Ancora: “Il pubblico non ha evidentemente le capacità tecnica di controllare quello che fanno. Gli uffici comunali di acqua e rusco sono stati trasferiti in società esterne. Quelli del gas non sono mai esistiti”. Il grande interrogativo è proprio questo: se Hera è già difficilmente controllabile dai vari Comuni azionisti, cosa succederà quando diventerà un gigante finanziario? Sopratutto: 27 milioni di italiani sono andati alle urne spinti dallo slogan “Si scrive acqua, si legge democrazia”. A cosa è servito il loro voto?

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