Tra aggressioni fisiche, querele, minacce verbali, pene detentive uniche in Europa e disegni di legge che, se approvati, scoraggerebbero anche il giornalista più audace con multe inaccessibili, le minacce alla stampa italiana non finiscono mai. Anzi, aumentano. Lo rivela l’ultimo rapporto sui giornalisti minacciati dell’osservatorio Ossigeno per l’Informazione, presentato venerdì al presidente della Camera Gianfranco Fini.

Nel 2011 i giornalisti minacciati in Italia sono stati il 125 per cento in più rispetto all’anno precedente. I casi emersi sono 324, ma sarebbero almeno 10mila secondo l’osservatorio: un giornalista ogni dieci se si considera il totale degli iscritti all’Ordine. Tra gli episodi più gravi del 2011, le nuove minacce di morte a Lirio Abbate e l’assalto alla redazione di Castellammare di Stabia del quotidiano Metropolis, la cui vendita è stata impedita agli edicolanti con un raid.

Ossigeno denuncia poi l’aumento di richieste di risarcimento da parte di politici o dipendenti della pubblica amministrazione. La maglia nera dei casi di minacce va alla Campania, seguita da Sicilia e Lazio. I più a rischio? I cronisti locali, come aveva già evidenziato nel 2010 l’Unesco nel suo rapporto sui giornalisti uccisi nel mondo, l’80 per cento dei quali sono, appunto, penne locali. A queste, denuncia il Rapporto Ossigeno 2012, mancherebbe la solidarietà dei colleghi, ovvero quella “scorta mediatica” che invece si solleva unanime a difesa dei colleghi famosi.

Ultimo il caso – eccezionale per la rarità della condanna – del direttore dimissionario de Il Giornale Alessandro Sallusti, cui la Cassazione, in contrasto con una sentenza del 2009 dell’Alta Corte di Strasburgo, nei giorni scorsi ha confermato 14 mesi di carcere per diffamazione. In difesa di Sallusti si è mosso persino il Parlamento che, con un disegno di legge bipartisan, il 3491, vorrebbe sostituire per la diffamazione il carcere con una multa di almeno 5000 euro, cui vanno a sommarsi 30mila euro di risarcimento. Una cifra che scoraggerebbe qualsiasi giornalista, a maggior ragione precario, come è la quasi totalità dei collaboratori delle testate locali.

A chiedere l’abolizione del carcere per i giornalisti rei di diffamazione, però, sono prestigiose organizzazioni internazionali: dall’autorevolissimo International Press Institut di Vienna, secondo cui i giornalisti italiani sono spinti “all’autocensura” da un “uso punitivo della diffamazione a mezzo stampa”, all’Osce, l’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. La rappresentante per la libertà nei media Dunja Mijatovic nel 2011 si era detta “molto preoccupata” per il “clima di violenza e intimidazione” che regna nel giornalismo italiano e ha definito “allarmante” il “clima di impunità” che circonda chi minaccia i giornalisti. Mijatovic è la stessa che nel 2010 aveva chiesto all’Italia di rinunciare alla legge sulle intercettazioni pensata da Angelino Alfano, la cosiddetta “legge bavaglio”, che oggi torna alla riscossa sotto la spinta del Pdl, come condizione per approvare il disegno di legge anticorruzione. Nella nuova bozza il bavaglio sarebbe persino rafforzato, perché secondo alcune ricostruzioni dei giornali sarebbe vietata la pubblicazione degli atti coperti da segreto fino al termine dell’udienza preliminare persino in forma di riassunto. Pena, ancora una volta, il carcere.

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