Chissà cosa penserebbe oggi una delle reincarnazioni di Ximen Nao: magari il toro, o forse il maiale, si complimenterebbero con il loro autore, tirando qualche filippica sui bei tempi andati, quelli di una Cina contadina, ma capace di immaginarsi oltre la realtà e addirittura capace di vincere un premio internazionale. Lo scrittore cinese Mo Yan, pseudonimo letterario di Guan Moye, ha vinto il premio Nobel per la letteratura 2012. Come ha sottolineato la televisione di stato nazionale si tratta del primo scrittore di nazionalità cinese a vincere il prestigioso riconoscimento.
In realtà il Nobel per la letteratura era stato già vinto da Gao Xingjian, che però ha nazionalità francese. Noto per opere come Sorgo Rosso, Grande seno, fianchi larghi, Il supplizio del legno di sandalo e Le sei reincarnazioni di Ximen Nao, lo scrittore cinese, classe 1955, è originario del villaggio di Gaomi, nello Shandong, che ha fatto da scenario suggestivo ad alcuni dei suoi romanzi. E proprio l’unione tra realismo e capacità di immaginazione sono le cause del suo successo internazionale: come recita il comunicato dell’Accademia svedese delle Scienze, Mo Yan ha vinto il premio “per avere fuso realismo visionario, racconti popolari, storia e contemporaneità”.
Mo Yan – nome d’arte che significa “colui che non parla” – alla vigilia era dato in leggero svantaggio rispetto al giapponese Murakami dagli stessi commentatori cinesi, che ritenevano poco probabile l’assegnazione del premio a uno scrittore che a livello internazionale e internamente, dagli attivisti locale, è stato spesso criticato per la sua vicinanza al potere prestabilito, nonostante alcune delle pagine più brillanti dei suoi libri, come ad esempio quelle di Ximen Nao, siano fantastiche allegorie del potere, con un chiaro riferimento a quello comunista post rivoluzionario. Più che vicinanza si può sostenere che Mo Yan (che ha saputo dipingere come pochi la Cina rurale, senza mai perdere di vista la capacità immaginifica del popolo cinese) non ha mai preso le distanze dal governo pechinese: è infatti vice-presidente della controversa associazione degli scrittori cinesi sostenuta dal governo, si è ritirato dalla Fiera del Libro di Francoforte nel 2009 per protestare contro la presenza di scrittori cinesi dissidenti, tra cui Dai Qing e Bei Ling. Recentemente è stato preso di mira per aver aderito ai cento scrittori e artisti continentali che hanno commemorato Il discorso del 1942 di Mao Zedong – un insieme di dottrine che hanno dato forma alla letteratura nei primi anni del potere del partito comunista. Come ha specificato un quotidiano di Hong Kong nei giorni che hanno preceduto l’assegnazione del premio, “l’atteggiamento di Mo Yan verso il vivere come scrittore in Cina può essere paragonato al punto di vista di un personaggio chiamato la Quarta zia del suo romanzo, Le ballate dell’aglio.
“Qualunque cosa sia, non lasciarti buttare giù”. Yimou ha tratto un film con lo stesso nome. Attingendo ampiamente dalla sua educazione a Gaomi, Mo ha scritto racconti e romanzi ormai famosi, inclusi La vita e la morte mi stanno logorando, che ha ricevuto il Premio Newman per la letteratura cinese nel 2009, e Rana, che ha ricevuto il prestigioso premio letterario Mao Dun lo scorso anno. Nell’immediatezza del premio su Weibo, il Twitter cinese, sono partiti i commenti sulla vittoria di Mo Yan, registrando un’accoglienza tiepida, quando non contraria, da parte di alcuni attivisti. Come ha sottolineato uno di loro, “oggi abbiamo capito cosa serve per vincere un Nobel in Cina: non parlare”, facendo riferimento allo pseudonimo dello scrittore. C’è anche chi vede un intento riparatore da parte del Nobel, nei confronti della Cina: due anni fa a vincere il premio per la pace era stato Liu Xiaobo, dissidente cinese in carcere e impossibilitato a ritirare il premio. La Cina reagì in modo energico, boicottando il commercio (di salmone) con la Norvegia e chiedendo scuse internazionali. Il premio a Mo Yan, secondo molti, sarebbe riparatore di quello smacco internazionale ai danni della Cina.
di Simone Pieranni