Che Sergio Leone girasse divinamente, lo sapevamo già. Adesso sappiamo anche che sapeva tagliare da dio. La versione extralarge di C’era una volta in America, già presentata all’ultimo Festival di Cannes e ora in arrivo in 70 sale italiane del circuito Space (da venerdì e per solo quattro giorni) non aggiunge quasi nulla, anzi, forse toglie qualcosa al capolavoro di Leone (perché tagliando di solito si aggiunge, e gli autori sanno bene che tagliare se stessi è la vera prova del fuoco).

Sono in tutto 28 minuti recuperati dalla sceneggiatura originale e disseminati per lo più nella seconda parte del film, con funzioni esplicative rispetto all’intricatissimo intreccio. Ciò non toglie che nei sei blocchi di scene ritrovate (e riproposte con il sonoro originale, non doppiato) ci siano delle perle; il dialogo tra De Niro e il premio Oscar Louise Flechter, che appare nel ruolo della direttrice del cimitero dove vengono traslati gli amici di ‘Noodles’. E soprattutto lo scambio di battute tra Noodles stesso e il suo chauffeur, interpretato dal produttore del film Arnon Milchan, cui è affidata una battuta memorabile (e non casuale): “Gli italiani ammirano i loro boss mafiosi e malavitosi. Noi americani non abbiamo bisogno dei gangster per essere cattivi”.

Ma anche se le tre ore e quarantanove minuti della versione classica restano preferibili alla maratona di quattro ore e diciannove, non c’è dubbio che il restauro, voluto dalla Fondazione di Martin Scorsese e portato a termine dalla Cineteca di Bologna, abbia il merito di riaccendere i riflettori su un capolavoro che, per una misteriosa alleanza, cresce di grandezza con il tempo. Ci sono film la cui leggenda comincia prima e prosegue dopo la realizzazione; quella di Once upon a time in America parte nei primi anni Settanta, poco dopo Giù la testa, quando Leone si imbatte nel romanzo The Hoods di Harry Grey sulle gang ebree di New York e se ne innamora. I diritti cinematografici non sono disponibili, ma Leone non molla, anzi. “L’idea di trasformare in un film quella storia diventò una vera e propria ossessione, al punto da spingerlo a rifiutare qualsiasi altra proposta di lavoro”, ha detto la figlia Raffaella nel corso della presentazione alla stampa di questa nuova versione.

Passano gli anni anni, finché nel 1980 la situazione si sblocca; De Niro accetta la parte di Noodle, Milchan e la Warner fanno partire la produzione. Ma a riprese ultimate esplode il dramma del montaggio. Leone, poeta assoluto del flashback, ha interiorizzato fino allo spasimo l’action movie. Altro che guerra tra gang; il suo è un film sulle intermittenze del cuore e della memoria. Su come, nella vita di un uomo, i sogni cedano ineluttabilmente il passo ai ricordi. Ma mentre nella vita non si può tornare indietro, nel cinema sì. Delle quasi quattro ore della versione europea, in quella americana ne rimasero poco più di due, e qui sì che si sprecarono i tagli sacrileghi.

Leone morirà cinque anni dopo lo sconcio, dando la sensazione di avere lasciato un testamento non soltanto suo. Uno degli ultimi kolossal girati in 35 millimetri, prima della rivoluzione digitale, prima della perdita di sacralità della sala e del grande schermo, su cui si fondano il suo modo di girare e di muovere la macchina da presa. Questa ulteriore versione ce lo conferma. E suggerisce sottovoce qualcosa in più: chi è un maestro quando gira, resta un maestro anche quando taglia.

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