Metti una tarda mattina a Parma, Ohio. Un sobborgo piatto a sud di Cleveland. Una distesa di villette monofamiliari, dove vive una media borghesia dignitosa, non ricca, quasi interamente bianca. E’ qui, nell’enorme palestra del Cuyahoga Community College, che si sono ritrovati Bill Clinton e Bruce Springsteen, forse i due più affascinanti, influenti, celebri supporter di Barack Obama.
E’ stata un’ora di spettacolo/comizio tesa, appassionata, affascinate, con due ultra-sessantenni che hanno parlato, e suonato, per una folla composta in gran parte di giovani. “Ho fatto più di venti mestieri nella mia vita. Ma è la prima volta che ho il compito di introdurre un rocker”, ha detto l’ex-presidente, chiamando sul palco Bruce Springsteen. Il musicista e la sua band hanno attaccato “No Surrender” e subito dopo “The Promised Land”. Springsteen ha anche voluto spiegare perché anche quest’anno, come nel 2008, è sceso in campo per Barack Obama: “Ho 63 anni, e sono stato un uomo fortunato. Ho vissuto tanti momenti importanti. I movimenti per la pace degli anni Sessanta. L’elezione di Barack Obama. Ma penso che quest’anno siamo a una svolta cruciale per l’America, con i nostri diritti più importanti messi a rischio dai repubblicani”. In effetti, in un primo tempo, Springsteen aveva promesso di restare fuori dalla battaglia elettorale di quest’anno. Probabile che la recente ascesa nei sondaggi di Mitt Romney, soprattutto nei battleground states, abbia convinto il rocker a tornare a dare una mano a Obama. “Youngstown”, “This Land is My Land”, “We Take Care of Our Own”, “Thunderoad”, alcune delle creazioni più alte della cultura popolare americana degli ultimi decenni sono state cantate davanti a un migliaio di persone, con Springsteen che ha ricordato di aver passato tutta la vita “a raccontare il sogno americano e le sue cadute”. Una battuta che è risuonata con particolare forza in un anno elettorale in cui sono al centro del dibattito, e straordinariamente sentite, le questioni del declino americano, del lavoro che manca, del bread and butter che fatica ad arrivare sulle tavole degli americani.
In un messaggio pubblicato sulla prima pagina del suo sito, Bruce Springsteen ha anche cercato di articolare meglio le ragioni del suo appoggio ad Obama. In America, scrive Springsteen, i più fondamentali diritti politici ed economici restano a rischio: il tentativo di “sopprimere il voto in tanti Stati non sta ricevendo l’attenzione necessaria… E c’è una sempre maggiore divisione di ricchezza, con benefici e privilegi che vanno all’1% della popolazione”. Per questo, spiega Bruce, è necessario rieleggere Obama: “Il presidente è la scelta giusta per muovere il Paese nella giusta direzione. Abbiamo bisogno di un Presidente con una visione che includa tutti i nostri cittadini, non soltanto alcuni, siano essi i nostri devastati poveri, la nostra classe media sotto pressione, siano essi anche i più ricchi; siano essi uomini o donne, neri, bianchi, bruni o gialli, eterosessuali o gay, civili o militari”.
“Non avrei mancato all’evento per nulla al mondo”, ci ha detto Rachel Pfelf, una 43enne che ha guidato più di un’ora per arrivare a Parma. “Ho votato Obama nel 2008, quest’anno ero indecisa, ma non vedo molta alternativa”. Proprio il luogo e l’orario scelto hanno richiamato, oltre a molti giovani, anche donne e piccoli imprenditori: tre gruppi che la campagna di Barack Obama ha vigorosamente inseguito in questo Stato, l’Ohio, tradizionalmente un battleground state, che con i suoi 18 voti elettorali i democratici devono assolutamente conquistare se vogliono mantenere Obama alla Casa Bianca. In un pomeriggio monopolizzato da Springsteen e le sue canzoni, Bill Clinton ha avuto il compito di riassumere le ragioni per votare Obama nel 2012: riforma sanitaria, energia pulita, ritiro dall’Iraq. Soprattutto, le facilitazioni e gli incentivi agli studenti che frequentano l’università (un tema particolarmente sentito in un college statale come questo dell’Ohio). Clinton, in un discorso energico che ha ricordato quello della Convention democratica di Charlotte, ha anche scherzato. “Ho tutto il diritto di presentarvi Springsteen. Sono ‘Born in the USA’. E a differenza del candidato repubblicano alla presidenza, non ho portato i miei soldi all’estero”.
“Votate, votate, votate”, è stato l’urlo finale con cui Springsteen ha salutato la folla che non voleva abbandonare la sala e chiedeva musica, ancora musica. Gli ultimi bis sono stati “This Land is My Land” e “Thunderoad”, cantanti all’unisono con centinaia di ragazzi. Un aereo, poco lontano, attendeva il musicista per portarlo a un altro evento pro-Obama in Iowa. Quando le luci si sono riaccese, nella sala, la gente è rimasta ancora diversi minuti, a urlare: “Four more years”, ancora quattro anni.