Affari, politica e il sospetto della più grande tentativo di corruzione (fallito) della storia: 550 milioni di euro di tangente da ripartire, secondo la gola profonda Lorenzo Borgogni, ex responsabile delle comunicazioni di Finmeccanica, tra l’ex ministro Claudio Scajola, l’onorevole Pdl Massimo Nicolucci e l’allora ministro della Difesa brasiliano Jobin. L’inchiesta Finmeccanica – con l’arresto di Paolo Pozzessere, ex direttore commerciale e attuale senior advisor per i rapporti con la Russia, gli avvisi di garanzia all’ex ministro Pdl Claudio Scajola, al deputato Massimo Nicolucci e al presidente degli industriali napoletani Paolo Graziano – ieri è deflagrata aprendo nuovi scenari. Anche quello di pressioni su Silvio Berlusconi da parte dell’ex direttore dell’Avanti Valter Lavitola, in carcere da mesi per i finanziamenti all’editoria e gli appalti per le carceri modulari a Panama. Ma non solo: il Cavaliere, stando alle carte, avrebbe raccomandato un senatore Pdl per un ulteriore affare in Indonesia. Il politico poi avrebbe poi chiesto “provvigioni” a Finmeccanica come compenso dell’intermediazione. Insomma, in questa vicenda, che per le cifre fa impallidire la storica maxi-tangente Enimont l’ex presidente del Consiglio sembra sponsorizzare potenziali corrotti.
I nuovi sviluppi dell’indagine coordinata dal procuratore aggiunto di Napoli Francesco Greco e dai pm Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock portano anche in Brasile, Panama, Russia. Un sistema di corruzione internazionale che potrebbe avere precedenti solo guardando indietro di 20 anni. Gli inquirenti hanno messo nel mirino due importati affari, che tuttavia non sono andati in porto. Si parla di commesse da 180 milioni di euro per la fornitura di elicotteri, cartografia del territorio e sistema di vigilanza costiera, sempre a Panama: 18 milioni di euro la mega mazzetta che avrebbe dovuto intascare il presidente panamense Ricardo Martinelli) , vicenda che il gip definisce “raccapricciante”. E di un contratto per la fornitura di navi da guerra alla Marina militare brasiliana, un business da ben cinque miliardi di euro.
Berlusconi, Lavitola e l’ex dg convocato a Palazzo Grazioli. Lo stretto rapporto tra l’ex premier e il faccendiere Valter Lavitola è lo sfondo invece su cui si muove la vicenda dell’appalto Fincantieri-Finmeccanica per navi al Brasile. Giuseppe Bono, dg di Finmeccanica dal 1997 al 2000 e ad Fincantieri dal 2002, ascoltato a Napoli il 26 settembre scorso racconta dell’accordo stipulato da Fincantieri e il governo brasiliano per una fornitura di navi per un valore di 5 miliardi di euro, ripartiti al 60% per la sua azienda e al 40% per Finmeccanica e società del gruppo fornitrici di sistemi di controllo e combattimento. Dopo la stipula dell’accordo “Lavitola – dichiara agli inquirenti – venne in Fincantieri e sostanzialmente mi disse esplicitamente che riteneva di meritare un compenso per l’attività svolta ….io non ritenevo che l’azienda dovesse alcunché al Lavitola, perché non aveva ricevuto alcun incarico in tal senso…. Fui convocato telefonicamente da Berlusconi a Palazzo Grazioli … Lavitola mi aveva preannunciato questa telefonata. Andai con l’avvocato Iannucci…In quell’occasione Berlusconi mi disse, alla presenza di Lavitola, di tenere presente che Lavitola era il suo fiduciario per il Brasile; ebbi la netta impressione che Berlusconi era pressato da Lavitola”. Il top manager aggiunge che quell’incontro si svolse tra febbraio e marzo 2011 e poi non ebbe più occasione di incontrare Lavitola per le vicende brasiliane. Per gli inquirenti l’inchiesta vede ancora una volta giocare un ruolo attivo dell’ex direttore dell’Avanti . Nei confronti del giornalista il gip ha respinto la richiesta di un nuovo arresto, essendo già detenuto con accuse simili, mentre ha ordinato il carcere, per concorso in corruzione internazionale.
Scajola “canale privilegiato”. E’ Lorenzo Borgogni, ex responsabile comunicazioni esterne di Finmeccanica, a mettere nei guai l’ex ministro e ha rivelare il sistema. In un verbale del novembre dell’anno scorso racconta: “Pozzessere mi disse che Graziano era parte attiva, oltre a Fincantieri e Finmeccanica, nell’affare delle fregate e mi disse chiaramente di aver capito il motivo per il quale Fincantieri – nostra partner nell’affare – era molto più avanti di noi, e cioè di Finmeccanica; in poche parole Pozzessere mi disse che il dott. Bono di Fincantieri e Graziano gli avevano chiaramente detto di aver trovato un canale tra l’Italia e il Brasile tale da agevolarli nei rapporti con l’allora ministro della Difesa brasiliano Jobin, canale trovato da Graziano. Subito dopo tale colloquio, che avvenne nel 2009, io chiamai immediatamente, chiesi di incontrare e incontrai il mio amico Graziano, che conoscevo da tempo, appunto per chiedergli quale fosse il suo canale e se c’era la possibilità che anche noi di Finmeccanica potessimo beneficiare di tale canale privilegiato”. “In quell’occasione, siamo tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010, Graziano mi disse – prosegue Borgogni – che il canale privilegiato tra Fincantieri e il governo brasiliano era rappresentato dall’onorevole Claudio Scajola e dal parlamentare napoletano, della corrente di Scajola, on. Nicolucci, e ciò perché Scajola era molto legato al ministro della Difesa brasiliano Jobin; preciso che, anche se all’epoca Scajola era ministro dello Sviluppo economico, in realtà il suo dicastero non aveva nulla a che vedere con l’affare della fornitura delle fregate nel quale era invece semmai coinvolto il ministero della Difesa. In tale occasione il mio amico Graziano scese nei dettagli e mi spiegò che lui aveva creato il contatto tra l’on. Nicolucci di Napoli e il dott. Bono di Fincantieri e che l’on. Nicolucci era praticamente un emissario dell’on. Scajola il quale appunto aveva il contatto con il ministro brasiliano Jobin. Dunque Scajola, contattato attraverso Nicolucci, si era impegnato ad intervenire su Jobin appunto per favorire Fincantieri”.
La tangente dell’11 per cento. Sempre nello stesso verbale Borgogni spiega il meccanismo: “Ancora successivamente Pozzessere mi disse di aver appreso da Bono, o comunque da Fincantieri, che in cambio delle agevolazioni era stato pattuito un ritorno che avrebbe dovuto pagare la stessa Fincantieri quale contratto di agenzia dell’ammontare dell’11 per cento dell’affare complessivo, pari quest’ultimo, per la sola parte di Fincantieri, a 2,5 miliardi di euro”. La “cifra di ritorno percentuale, secondo quanto riferitomi da Pozzessere, doveva essere parzialmente destinata tra Scajola e Nicolucci da una parte e Jobin dall’altra. In una fase immediatamente successiva appresi sia da Pozzessere sia dall’ad Guarguaglini, evidentemente messo a parte da Pozzessere, che era stata chiesta anche a noi di Finmeccanica la stessa percentuale di ritorn0 dell’11 per cento della nostra parte di affare, pari anch’essa a 2,5 miliardi di euro; a tal riguardo Guarguaglini mi disse di aver detto a Pozzessere che la percentuale massima di ritorno che lui era disposto a pagare era quella del 3 per cento. Come ho detto tale percentuale doveva essere pagata sia da Fincantieri sia da Finmeccanica tramite la stipula di un contratto di agenzia in Brasile in capo ad un agente evidentemente indicato dal ministro Jobin. Non so se Finmeccanica o qualche società del gruppo ha già stipulato un contratto di agenzia, credo che Fincantieri l’abbia sicuramente stipulato, almeno così mi è stato detto”.
Il senatore Caselli “raccomandato” da Silvio per l’affare indonesiano. Tra i protagonisti dell’inchiesta entra anche un altro personaggio Pdl. E’ il senatore Esteban Caselli, originario dell’Argentina ed eletto nella circoscrizione estero, ripartizione America Meridionale, introdotto all’allora direttore commerciale della holding della Difesa, Paolo Pozzessere proprio da Berlusconi. Il politico voleva, come altri, ‘provvigioni’ da Finmeccanica. Il ruolo di Caselli, che per gli inquirenti napoletani potrebbe essere entrato anche nell’affare sfumato con l’Indonesia. Pozzessere racconta tutto agli inquirenti l’11 novembre 2011: “Nel marzo-aprile 2011 mi trovavo al circolo degli Esteri a Roma… quando ho ricevuto una telefonata dal presidente Berlusconi il quale mi chiese se Finmeccanica (o meglio Alenia e Agusta) erano interessate a vendere aerei e elicotteri al Governo dell’Indonesia: a tale domanda io risposi affermativamente e lui mi disse che c’era un suo amico, il senatore Esteban Caselli, che poteva esserci utile, nel senso che Caselli conosceva una persona che poteva esserci utile per la trattativa in Indonesia”.
Quella telefonata tra il manager e Berlusconi – che legge passi di una lettera in cui l’amico di Caselli afferma di essere “in grado di garantire la vendita libera da interferenze, in un’atmosfera di reciproca fiducia con il committente indonesiano” – è agli atti dell’inchiesta. “Dopo qualche giorno – continua Pozzessere davanti ai pm – mi chiamò il senatore Caselli e mi disse che mi avrebbe presentato tale Tsatsiky, che era l’uomo che poteva aiutarci nella trattativa”. Caselli fissò quindi un appuntamento con Tsatsiky nell’ufficio di Pozzessere per il 27 giugno, ma poi lo disdii dicendo al manager di Finmeccanica che Tsatsiky “non gli aveva fornito sufficienti credenziali”. Le cose in realtà sarebbero andate diversamente, a sentire Pozzessere. Che racconta: “Dopo un po’di tempo un mio collega responsabile di Finmeccanica a Londra, Alberto De Benedictis, mi disse di aver incontrato Tsatsiky il quale gli aveva detto che il senatore Caselli gli aveva chiesto dei soldi per farlo incontrare con me e per avere un mandato di agenzia da Finmeccanica, o meglio da Alenia”. La cosa lasciò “molto perplesso” Pozzessere il quale, “non avendo voglia” di informare personalmente dell’accaduto Berlusconi, incaricò Valter Lavitola, “che è un uomo di Berlusconi … dicendogli che ero molto seccato”. Tempo dopo, ricostruisce sempre il manager di Finmeccanica, il senatore Caselli andò a trovarlo nel suo ufficio “per tutt’altra vicenda”. In quell’occasione i due non parlarono “dei fatti precedenti”, ma il parlamentare – dice ai pm Pozzessere – “mi propose la vendita di un elicottero al ministero dell’Interno e io gli dissi di mettersi in contato con Agusta e cioè la società del gruppo che si occupa di elicotteri; a tal riguardo gli diedi il nominativo della persona di Agusta. Nella medesima circostanza il Caselli mi chiese quale sarebbe stata la provvigione e io gli risposi freddamente che lui era un Senatore della Repubblica e che, semmai, in presenza di presupposti commerciali, la provvigione per un mediatore/agente esperto del settore e per un affare di quel tipo, pari a 4,5 milioni di euro, poteva andare dal 5% al 10%. Ritengo che anche tale vicenda non è andata in porto”.
L’elicottero di Putin. Uno dei filoni porta l’attenzione degli inquirenti in Russia, dove il dirigente arrestato ieri svolgeva per la holding il ruolo di “senior advisor” e dove lo stesso ex direttore commerciale di Finmeccanica intendeva, secondo i magistrati, trasferirsi nel timore di restare coinvolto nella vicenda giudiziaria. In una intercettazione telefonica tra Marco Acca, responsabile vendite del settore militare di AgustaWestland e l’amministratore delegato Bruno Spagnolini. Quest’ultimo, in particolare, raccomanda all’interlocutore, in una conversazione del 16 aprile scorso a proposito di elicotteri (l’inchiesta in origine si concentrava su una mazzetta da 12 milioni di euro per una fornitura di elicotteri all’India, ndr): “Quando parlate di di, se dovete dire che ci volano vari Capi di Stato così, non menzionate Putin perché… Siccome me l’ha detto il...Presidente cioè cioè e loro gliel’avevano fatto vedere…Lei può dire ci volano una miriade di Capi di Stato…ma senza che nessuno dica Putin o che ne s0…”. Il gip di Napoli Dario Gallo, nell’ordinanza ricorda che si fa riferimento a elicotteri Agusta e alla loro vendita in favore di vari capi di Stato stranieri. “Lo stesso Spagnolini – scive il gip – aggiunge che ciò è voluto dal presidente (evidente il riferimento a Orsi Giuseppe, presidente e amministratore delegato di Finmeccanica)”. Dal momento che lo stesso Orsi aveva già parlato dell’acquisto di un elicottero da parte di Putin in un’intervista, questo “cambio di atteggiamento – spiega il giudice – è secondo i pm da ravvisare nell’esigenza di tenere riservati gli affari di Finmeccanica con Putin e la Russia in generale”.