Pareva che la maggioranza avesse raggiunto un’intesa bipartisan sulla ‘salva Sallusti’, che avrebbe portato in aula al Senato un testo sulla legge bavaglio annacquato rispetto alla versione precedente. E invece l’accordo salta. Il presidente del gruppo Pdl Maurizio Gasparri ha chiesto di rinviare tutto e la votazione si è incagliata sull’entità delle sanzioni pecuniarie a carico dei responsabili della diffamazione. Gasparri ha chiesto di accantonare gli emendamenti della discordia, ovvero quelli che riducono le multe a una forchetta che va dai 5mila ai 50mila euro. D’accordo con il rinvio si è detta anche il presidente dei senatori Pd Anna Finocchiaro e la discussione riprenderà lunedì.

Si tratta di una maggioranza che è spaccata: da una parte l’asse Pdl-Lega, sostenuto da parte dell’Udc, che non intende abbassare le sanzioni ai giornalisti e dall’altra la mediazione del Pd per un ddl meno punitivo. Che la Camera dovrà poi smontare o, più probabilmente, limare. Ma che, se approvato al Senato, passerà nella sostanza. E alle accuse dei senatori del Carroccio che definivano quella di ieri sera una “riunione del tutto informale alla quale abbiamo ritenuto opportuno non prendere parte”, Finocchiaro ha risposto: ”Alla riunione di ieri sera per vedere di tentare di arrivare ad un accordo sul ddl diffamazione c’era anche la Lega. Il senatore Mura è rimasto anche dopo che io me ne sono andata”. 

Voto segreto sull’articolo 1 – Ieri sera nella riunione si era parlato molto chiaro sul tetto massimo per le multe. Poi però in Aula tutto cambia anche perché, per usare le parole della Finocchiaro con i suoi, “questo più che un Senato è un’arena, un Colosseo nel quale si vuol vedere scorrere il sangue”. Da cui si crea una situazione “difficilmente governabile”. E ad animare la ‘fronda’ che dice no ad una riduzione così “drastica” delle multe, rispetto al tetto delle 100mila euro indicato dal ddl licenziato in commissione, è il segretario dell’Api Francesco Rutelli che, tra l’altro, è tra i promotori della raccolta di firme per ottenere il voto segreto sull’articolo 1 del provvedimento, praticamente il cuore del testo: quello che elimina il carcere per i cronisti, riduce le pene (in teoria) e disciplina l’obbligo di rettifica anche per i prodotti editoriali on line. L’articolo riforma in particolare una parte cruciale della legge sulla stampa del 1948 e in particolare l’articolo 13 laddove al posto della pena della reclusione da uno a sei anni per la diffamazione commessa con il mezzo della stampa e consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica una multa, fino a centomila euro.

Ma che l’accordo di maggioranza non tenesse alla prova dell’Aula lo si era già capito con il voto sulla norma che prevede la restituzione dei contributi per l’editoria in caso di condanna. Anche qui l’intesa era per sopprimerla. Ma poi 8 senatori del Pd e 68 del Pdl, più tutto il gruppo della Lega, e di Cn, hanno votato per mantenere in vita l’ennesimo obbligo per chi diffama.

Obbligo di rettifica per le testate online – In più, si prevede la pubblicazione obbligatoria delle sentenze e la restituzione dei contributi per l’editoria da parte di chi viene condannato. Passa anche l’emendamento Mugnai (Pdl) sull’obbligo di rettifica non solo per i giornali ma anche per i “prodotti editoriali diffusi per via telematica, con periodicità regolare e contraddistinti da una testata”. In pratica, quindi, per tutte le testate web e non solo per le edizioni telematiche delle testate giornalistiche vere e proprie. Approvato anche l’emendamento Rutelli-Bruno (Api) che impone al gestore di un archivio digitale di una testata editoriale on line l’integrazione o l’aggiornamento, su richiesta dell’interessato, della notizia che lo riguarda alla luce di un’avvenuta rettifica. In sostanza, deve esserci una modalità di collegamento tramite ‘link’ che assicuri la visibilità della rettifica della notizia originaria. 

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