Doveva essere il botto, la scossa definitiva che avrebbe azzerato tutto e rivoluzionato un’intera classe politica. La Sicilia però, è noto, non è terra di rivoluzioni epocali, ma al massimo culla di laboratori. Se rivoluzione doveva essere, quindi, l’isola degli alambicchi ha preferito quella stampata sui manifesti di Rosario Crocetta, eletto governatore nella competizione più rocambolesca degli ultimi anni. Il boom del Movimento Cinque Stelle c’è stato e si è probabilmente sentito fino a Roma, muta osservatrice del nuovo equilibrio siculo, mentre il candidato del Pd e dell’Udc è il nuovo viceré di una Regione che entro fine 2012 sfonderà quota 6 miliardi di euro di deficit. All’ex sindaco di Gela sono bastati 600 mila voti su un totale di 2 milioni e 200 mila votanti per conquistare lo scranno più alto di Palazzo d’Orleans: il 30 per cento dei consensi, raggiunti grazie al fatto che oltre 2 milioni e mezzo di siciliani hanno preferito non andare a votare. Il primo partito che ha vinto è stato quello di chi è rimasto a casa: per la prima volta nella storia più di un siciliano su due.

All’europarlamentare del Pd è bastato quindi aggiudicarsi il 30 per cento, 14 punti percentuali degli aventi diritto di voto, per festeggiare l’elezione che consacra l’inedita ammucchiata tra i democratici e l’Udc: una prova tecnica di alleanza in vista delle Politiche 2013. Compreso benissimo dai moderati, che volano sopra il 10 per cento, il patto Pd – Udc è stato rifiutato dai seguaci di Pierluigi Bersani, scesi dal 22 per cento di 4 anni fa (quando Anna Finocchiaro ottenne la stessa percentuale di Crocetta ma fu surclassata dal 65 per cento di Raffaele Lombardo) ai miseri 13 punti di oggi. Adesso per l’ex sindaco dandy di Gela arriva il momento più difficile: trascinare la rivoluzione dal neretto dei cartelloni elettorali, agli atti dell’Assemblea regionale. Compito tutt’altro che semplice per Crocetta, primo governatore siciliano dichiaratamente omosessuale che ha ricordato alla stampa di essere “condannato a morte da Cosa Nostra”. Il nuovo presidente dovrà infatti fare i conti con una maggioranza che semplicemente non esiste. La sua coalizione ha ottenuto 39 deputati su 90: troppo pochi per raggiungere la maggioranza a quota 46 “onorevoli”. Il neo governatore ha minacciato di chiudere baracca e burattini in caso di ostruzionismo e rispedire i siciliani al voto, dove “Crocetta prenderà il 60 per cento”. Ipse dixit. Il parlamento siciliano è però un posto in cui cambiare casacca non è mai stato difficile: i deputati eletti nelle liste autonomiste, dal Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo (che ha lasciato in dote un posto da onorevole al figlio Toti) a Grande Sud del grande sconfitto Gianfranco Miccichè appaiono pronti a qualsiasi tentativo di dialogo, come hanno ampiamente dimostrato nell’ultima legislatura.

Sono proprio i 4 anni di governo di Lombardo ad impensierire maggiormente la rivoluzione coi moderati di Crocetta. Durante la campagna elettorale si era parlato a più riprese di accordi sottobanco tra l’ex governatore e l’ex sindaco di Gela, complice anche il benestare di Gianfranco Miccichè. E in effetti, l’ex luogotenente di Silvio Berlusconi, undici anni fa uomo simbolo del 61 a 0, si è infranto sotto il 15 per cento, 5 punti in meno rispetto alle liste che lo sostenevano. Crocetta, però, ha conquistato più o meno gli stessi punti della sua coalizione, e da un’analisi a caldo sembra che il voto disgiunto abbia premiato più il secondo classificato, Nello Musumeci, fermo al 25 per cento con il Pdl sotto il 13. Oltre, ovviamente, al candidato dei Cinque Stelle Giancarlo Cancelleri, terzo con 18 punti percentuali, 3 in più della lista. I problemi per Crocetta potrebbero semmai arrivare dalle stesse liste che lo hanno sostenuto. Il neo governatore ha rifiutato a più riprese qualsiasi segno di continuità con Raffaele Lombardo, annunciando di voler azzerare i vertici amministrativi della Regione, vere poltrone di amministrazione del potere. Solo che molti di quei vertici sono stati nominati grazie all’apporto decisivo di alcuni degli uomini che oggi lo festeggiavano davanti al comitato di via Libertà. Come Beppe Lumia per esempio, finalmente gongolante dopo la mazzata subita da Leoluca Orlando alle amministrative palermitane. Negli ultimi 3 anni l’ex presidente della Commissione Antimafia è stato lo sponsor principale dell’alleanza con Lombardo, insieme al capogruppo del Pd Antonello Cracolici, che ha fatto ritorno all’Ars.

Rientra a Palazzo dei Normanni anche un uomo simbolo dell’Udc targata Totò Cuffaro: Nino Dina, in passato indagato per concorso esterno a Cosa Nostra e poi archiviato, fedelissimo dell’ex governatore ora recluso a Rebibbia dove sta scontando 7 anni di carcere per favoreggiamento alla mafia. Era invece stato addirittura vice di Cuffaro Lino Leanza, ora rieletto con l’Udc e inserito anche nel listino di Crocetta, dopo essere stato capogruppo del Mpa. Con la lista del nuovo presidente si era candidato anche Beppe Spampinato, fino a settembre assessore al lavoro di Lombardo. I fili che legano la coalizione di Crocetta con i volti del recente potere isolano sono quindi parecchi: varare la rivoluzione moderata mentre sono ancora saldamente annodati sarà problematico. E se al momento, dalla parte dei vincenti sembrano essere cambiate soprattutto le alleanze, sul fronte opposto si è capovolto essenzialmente un dato: il voto. Il Pdl, che in terra sicula aveva sempre regalato tante feste a B, con la gestione di Angelino Alfano si schianta al 12 per cento, meno della metà degli oltre 30 punti di 4 anni fa. Superano lo sbarramento ed entrano all’Ars Grande Sud e Cantiere Popolare di Saverio Romano, nato un anno fa da una costola dell’Udc: oggi i neoscudocrociati modello Cuffaro avrebbero raggiunto il 17 per cento, qualificandosi per l’ennesima volta come primo partito dell’isola. Come dire che a nord di Tunisi cambia tutto, per non mai cambiare nulla. A causa della debacle del certificato elettorale di Claudio Fava, rimangono nuovamente fuori dall’Ars Sel e Idv, sotto lo sbarramento del 5 per cento, nonostante l’aspirante presidente Giovanna Marano abbia raggiunto i 6 punti percentuali.

Un po’ di facce nuove nei corridoi di palazzo d’Orleans si vedranno comunque grazie al botto del Movimento Cinque Stelle, che porta all’Ars ben 15 deputati qualificandosi saldamente come la prima forza dell’isola. La campagna low cost dei giovani attivisti di Beppe Grillo è riuscita a conquistare l’elettorato deluso di qualsiasi colore politico, conquistando deputati in tutte le provincie e piazzando i suoi portavoce tra i recordman delle preferenze. Alla vigilia del voto i Cinque stelle avevano sognato la vittoria, complici anche alcuni exit poll ingannati dalle dichiarazioni di voto. Percependo il clima favorevole a Grillo e nonostante avessero scelto altri aspiranti governatori, molti elettori avevano affermato infatti di aver votato per Cancelleri: probabilmente da oggi dichiareranno di aver sostenuto fortissimamente Crocetta.

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