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Giovanni Salvi, un magistrato alla giusta distanza dal fuoco

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La saggezza e l’eleganza spesso e da decenni abitano raramente nei Palazzi di giustizia. Prendiamo Catania. Qui il giudice Giambattista Scidà, noto criminologo minorile e a lungo presidente galantuomo del tribunale dei minorenni di Catania, citava Piero Calamandrei e saggiamente (in solitudine) ammoniva: “La giustizia deve essere e apparire un potere separato dagli altri due, poiché ha il compito di controllarli entrambi”.

Ecco, cito Scidà, ma penso alla recente storia di Giovanni Salvi e della corsa (riaperta?) al vertice della Procura della Repubblica di Catania, Sicilia, Italia. La questione è nuovamente nelle mani del Csm e in quelle del Consiglio di Stato: i pm Giovanni Tinebra e Giuseppe Gennaro hanno fatto ricorso, rivendicato il maggiore diritto di essere procuratori e rimesso in discussione la scelta fatta 12 mesi fa dal Csm. Mentre Salvi fa il procuratore da un anno, il Tar del Lazio, in prima istanza, ha dato loro ragione e riaperto il concorso.

Vedremo l’esito finale, anche se quel Palazzo non ha bisogno di corsi e ricorsi, dopo decenni di rimozioni, scandali, silenzi e teste sottola sabbia. Scidà aveva ragione quando denunciava la tradizionale “non estraneità” del potere giudiziario alla politica e all’economia a Catania. Ed è un fatto che dei tre concorrenti, Salvi sia l’unico “estraneo” a Catania.

Indiscusso curriculum a parte, la maggioranza del Csm un anno esatto fa aveva fatto la scelta di Salvi anche in ossequio di quello esprit de loi: mettere al vertice dell’ufficio della pubblica accusa un uomo che è – e appare – “nec prope, nec procul”, come dicevano i latini e si riferivano alla necessità di stare alla giusta distanza dal fuoco. Giovanni Salvi, in fondo, è questo: né vicino a Catania, né lontano dalla assoluta fedeltà alla legge.

Per questo, un procuratore “forestiero” come Salvi è una garanzia in più di indipendenza e autonomia per la certezza del diritto a Catania. Nel suo curriculum, non troverete mai neanche una traccia di presunte relazioni con potenti locali. L’unico – nella rosa dei candidati – a poter esibire questa estraneità. Catania, come e forse più di Palermo, ha bisogno di magistrati fuori dal contesto, dunque indipendenti.

Ma la scelta del Csm era ed è giusta per una ragione anche professionale. Nel loro ricorso, Tinebra e Gennaro (a lungo nella pm della distrettuale antimafia e procuratore aggiunto a Catania) esibiscono i loro curriculum ed eccepiscono a Salvi una “minore esperienza” in materia di mafia. Insomma: Salvi è inesperto di indagini sulla mafia. Ma è così?

Basta digitare Wikipedia e navigarci dentro, per rendersi conto che non è così.

Ecco un breve riepilogo dei processi curati da Salvi (certo in luoghi giudiziari molto lontani da Catania). Nel 1987, pm del processo sulla morte di Roberto Calvi: fu Salvi a far riaprire il processo dopo un’archiviazione per suicidio decisa dalla Cassazione. E quel processo accertò che fu la mafia (e non il crack dell’Ambrosiano) a suicidare il banchiere dell’Ambrosiano sotto il ponte dei Black Frairs di Londra.

Fu Salvi a ottenere l’arresto di Pippo Calò (il banchiere dei corleonesi) e di Flavio Carboni (faccendiere della P2) per quel delitto politico-economico-mafioso. Fu Salvi,  con la procura di Palermo, a raccogliere le testimonianze del boss Francesco Di Carlo che ricostruì la morte di Calvi e che mise a fuoco il ruolo di Michele Sindona in quel contesto di alta mafia. E quella ricostruzione ha sopravvissuto al terzo grado di giudizio. E fu il pm romano Giovanni Salvi che, indagando sugli affari di Calò, scoprì gli scenari criminali dello scandalo Italcasse, uno dei primi nel suo genere scoperto in Italia: Salvi scoprì che c’erano fondi di Calò (dunque della mafia) e del suo socio romano Domenico Balducci negli affari Italcasse: Calò e Balducci avrebbero garantito, attraverso loro società, le spericolate operazioni bancarie di imprenditori come il costruttore Caltagirone e la Sir di Rovelli. E fu infine il pm Salvia scoprire che la romanissima banda della Magliana aveva interessi in appalti proprio a due passi da Catania, nel porto di Siracusa.

Salvi è stato il pm in molti grandi processi sui misteri d’Italia: il memoriale Moro e il delitto Pecorelli. E sul terrorismo nero: Nar, Avanguardia nazionale, Ordine nuovo. E spesso, in quelle trame neofasciste, sono affiorate figure di mafiosi, faccendieri e banchieri.

Salvi è un magistrato competente in materia di mafia, molto competente. E’ stato anche pm nell’aula del processo sulla strage di Ustica ed è stato il primo pubblico accusatore del mondo a ottenere una condanna sull’operazione Condor. Il regime cileno di Pinochet sopprimeva i suoi oppositori precipitandoli da aerei, desaparecidos. Salvi ha ottenuto la condanna di Contreras Sepulveda, capo degli 007 di Pinochet, per quei delitti.

Uno che di Catania non sa nulla potrebbe obiettare: perché questa difesa di Salvi? Semplicemente perché è un magistrato “nec prope, nec procul” e per di più molto competente in reati di mafia. 

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