Un regolamento di conti. Non a Scampìa ma nel cuore antico di Napoli. I killer in sella ad una moto d’ordinanza sfrecciano in vico ai Monti, a valle del corso Vittorio Emanuele, Quartieri Spagnoli ad un passo da via Toledo, la strada dello shopping partenopeo. Sono appostati. Aspettano. Conoscono le abitudini della vittima predestinata. Deve pagare: è stato condannato a morte. Non è un reality show. E’ la casa del grande fratello camorrista.
La sentenza è esecutiva, non prevede appelli. Abita in quella viuzza cieca. Si muove sempre e solo in scooter. L’ora è scoccata. Sono le 20 e 35 del 2 novembre, il giorno della ricorrenza dei morti, appunto. I killer non perdono tempo. Cinque colpi calibro nove sparati in successione rapida centrano Antonio Cecere, 34 anni, solo un precedente per tentata estorsione nove anni prima. Il 34enne viene sbalzato dal suo scooter finisce a terra. Trova la forza per rialzarsi e accennare una fuga disperata. I sicari lo braccano. Si avvicinano ed esplodono altri tre proiettili. Lo finiscono così. E’ a terra in una pozza di sangue. E’ un’esecuzione da manuale.
L’imboscata non è finita. I killer scendono dalla moto. Non scappano. Si chinano sul cadavere ancora caldo. Cominciano a frugare nei suoi vestiti. Lo scuotono, una piccola oscillazione che fa fuoriuscire dai fori dei colpi, zampilli di sangue. Neppure ci fanno caso. Neppure hanno un disorientamento. Sono bestie. L’istinto è uccidere. Dovrebbero finire cementificati in una cella d’isolamento. Neppure temono di venire sorpresi accanto alla loro vittima. La perquisizione è appena cominciata. Tastano quel corpo crivellato. Un gesto macabro. Un gesto irrispettoso anche se sono carnefici a farlo. Cercano qualcosa ma non la trovano. Allora spogliano Antonio Cecere, gli calano giù i pantaloni e gli slip. Lo hanno ammazzato per prendersi o “riprendersi” qualcosa. E quel qualcosa non è il denaro, che, invece, è stato ritrovato addosso alla vittima.
Un agguato punitivo di camorra. Antonio Cecere ritornava nella sua casa di vico ai Monti ma subito sarebbe riuscito con sua moglie che gli aveva chiesto: “Stasera voglio uscire e festeggiare il mio compleanno a cena fuori”. E’ un omicidio, il 52esimo, dall’inizio dell’anno a Napoli, Italia, Europa. E’ una guerra continua e a bassa intensità. Sangue che sporca le strade. Sangue che imbratta le coscienze. Sangue che crea assuefazione. Sangue che corrompe le esistenze. Sangue che ricade sui vivi. Un lutto continuo. Antonio Cecere è un morto dimenticato.
E’ già stato archiviato nel meccanismo infernale: non era un innocente. La delega in bianco al killer è dovuta al precedente penale. Qualcosa aveva fatto il cristiano. Se la vedono tra loro. E’ una città senza speranza. E’ una città che rantola. E’ una città terminale. C’entra poco il dissesto o lo spread: Napoli non si salva