Ville a Cortina, appartamenti a Roma e Milano e perfino un castello a fronte di imposte non pagate e profitti girati alle Cayman. La Guardia di Finanza di Milano ha eseguito stamattina un decreto di sequestro preventivo di beni immobili e partecipazioni societarie per un valore di oltre 65 milioni di euro nei confronti di una delle più importanti famiglie industriali nel settore tessile e della moda, i Marzotto. L’operazione si colloca nell’ambito di un’inchiesta condotta dai pm Laura Pedio e Gaetano Ruta coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Greco, in cui sono indagate tredici persone, alcune appartenenti alla famiglia già proprietaria della griffe Valentino Fashion Group. E proprio il marchio della moda sarebbe all’origine del’inchiesta. L’accusa nei loro confronti, infatti, è quella di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e degli immobili, terreni e partecipazioni societarie a loro riconducibili. Con riferimento, in particolare, alla cessione della prima tranche della casa di moda avvenuta nel 2007.

GLI INDAGATI. Tra i tredici indagati  figurano MatteoVittorioDiamanteMaria Rosaria, Cristiana e Margherita della famiglia Marzotto, e AndreaIsabella e Rosanna della famiglia Donà Delle Rose. Le indagini sono nate da una verifica fiscale fatta dall’Agenzia delle Entrate e riguardano la vendita dil Valentino Fashion Group (il settore abbigliamento del marchio) da parte dei Marzotto e Donà Delle Rose al fondo Permira. Secondo l’accusa con l’operazione sarebbe stata realizzata una plusvalenza di 200 milioni di euro, ottenuta in Lussemburgo (attraverso la società Icg, di cui sono proprietari) senza pagare tasse per circa 65 milioni di euro. Il controvalore, quindi, degli immobili sequestrati stamattina, tra i quali figurano una villa di 28 vani a Cortina d’Ampezzo, case a Milano e Roma e un castello a Tressino.

Nel dettaglio, tra gli immobili sequestrati vi sono una porzione di villa e tre appartamenti a Cortina, più tre garage. La Guardia di finanza locale ha depositato il provvedimento al catasto del Comune, per un valore catastale complessivo di circa 3 milioni di euro. La disposizione è valsa per una porzione di villa (valore catastale 600mila euro), due appartamenti per un totale di 23 vani nel centro del Paese (uno del valore catastale di 600mila euro, l’altro di 1,2 milioni) e un altro di stanze (240mila euro). Sommati a questi anche i tre garage di pertinenza.

Un anno dopo l’operazione, nel 2008, Matteo Marzotto veniva nominato dal governo Berlusconi  presidente dell’Enit, l’Agenzia Nazionale del Turismo, l’Ente che ha il compito di promuovere l’immagine unitaria dell’offerta turistica nazionale e di favorirne la commercializzazione subentrato con accresciute e più articolate missioni istituzionali ad una quasi centennale attività dell’Ente Nazionale Italiano per il Turismo. Nell’estate 2009 ne è diventato commissario e all’inizio di quest’anno ha presentato ricorso al Tar per la mancata conferma al vertice dell’ente.

“Attraverso le indagini svolte – spiega una nota della Guardia di Finanza – è stato possibile individuare i luoghi in cui venivano effettivamente assunte le decisioni ed impartite le direttive sulla gestione della società di diritto lussemburghese. Le risultanze probatorie hanno permesso di riqualificare la holding come soggetto fiscalmente residente nel territorio nazionale con conseguente emersione dell’obbligo di denuncia al Fisco di una plusvalenza da cessione di partecipazioni”.

I GUADAGNI IN LUSSEMBURGO E IL PASSAGGIO ALLE CAYMAN. Secondo l’ipotesi della procura di Milano, nel 2007, quando Valentino Fashion Group fu venduta al fondo Permira, i proprietari della maggioranza relativa, appartenenti alle famiglie Marzotto e Donà dalle Rose, avevano prima venduto le loro quote alla Icg, che ha sede in Lussemburgo e di cui sono comunque sempre proprietari, e poi attraverso la Icg avevano concluso con il fondo l’operazione da 2,6 miliardi di euro, un vero e proprio record anche per l’epoca pre-crisi. I magistrati ipotizzano che si sia trattato di una esterovestizione, che ha avuto come effetto quello di non pagare le tasse in Italia.

L’inchiesta nasce da una segnalazione dell’Agenzia delle Entrate. Da quanto si evince dal decreto che ha disposto il sequestro, l’intero profitto realizzato nell’affare Valentino Fashion Group, compresa la parte “guadagnata con l’evasione fiscale”, sarebbe poi stato trasferito alle isole Cayman.  ”Ogni eventuale e residuo dubbio  in ordine all’opportunità del sequestro, infine, è fugato dalle vicende successive al 16.05.07 – scrive il gip Gianfranco Criscione nel decreto che dispone il sequestro per equivalente – che come s’è visto si sono sostanzialmente risolte nel trasferimento alle isole Cayman dell’intero profitto che la Igc realizzava nell’affare Valentino Fashion Group, ivi compresa la parte di tale profitto guadagnata con l’evasione fiscale in esame”. Circostanza che, per il gip “costituisce un chiaro e significativo indice del pericolo che gli odierni indagati possano trasferire all’estero almeno parte dei propri beni, oppure compiere altre operazioni finalizzate all’elusione dei rispettivi obblighi tributari”.

”La Igc è stata creata nel giugno 2006 e, una volta venduta la partecipazione in VFG (Valentino Fashion Group, ndr) e svuotata del corrispondente prezzo, è stata ceduta e posta in liquidazione nei primi mesi del 2009, dimostrando così come il suo utilizzo sia stato fin dal principio preordinato al trasferimento in Lussemburgo delle plusvalenze derivanti dalla cessione delle partecipazioni VFG omettendo così di dichiarare tale reddito in Italia”, si legge in un altro passaggio del decreto che ha disposto il sequestro.

ANCHE L’EX BOIARDO NEL MIRINO. Tra gli indagati figura anche Massimo Caputi, il manager lanciato con la privatizzazione di Grandi Stazioni che all’inizio del secolo ha visto entrare nella società delle Ferrovie dello Stato pesi massimi come Benetton, Pirelli e soprattutto Caltagirone; Giulio Tremonti ne aveva poi fatto il deus ex machina del carrozzone di Stato Sviluppo Italia, l’agenzia per l’attrazione degli investimenti nella Penisola che oggi si chiama Invitalia, dove in un triennio è riuscito, tra il resto, a promettere mari e monti con il lancio di Italia Navigando che avrebbe dovuto sviluppare il sistema portuale turistico italiano.

Risalgono a quel periodo i primi rapporti d’affari con Emma Marcegaglia che insieme ad altri soci comprò dal manager il 49 per cento di Italia Turismo, contenente proprietà alberghiere e villaggi turistici dello Stato. Un settore dove in tempi più recenti Caputi e l’ex presidente di Confindustria sono stati grandi alleati con il Forte Village di Santa Margherita di Pula, in Sardegna. Quello gestito dalla stessa società che nel baillame degli appalti del G8 si aggiudicò l’affitto per 40 anni dell’ex Arsenale alla Maddalena.

Ma Sviluppo Italia per Caputi è stata anche il trampolino per un’altra alleanza eccellente, quella con Francesco Gaetano Caltagirone, misteriosamente interrotta tra il 2009 e il 2010 dopo che il manager aveva rappresentato il costruttore romano per anni nel cda del Monte dei Paschi di Siena ai tempi della scalata Unipol-Bnl, ma anche nella contesa Acea, con una puntata in Banca Antonveneta dopo la carissima acquisizione da parte di Siena. Contemporaneamente Caputi era impegnato a 360 gradi nel mattone come ad della Fimit sgr con l’incarico di lanciare sul mercato il primo fondo immobiliare per apporto pubblico.

E proprio in quegli anni, nel 2008, sale all’onore delle cronache per aver dimenticato una busta con 45mila euro in un albergo milanese. Faccenda di cui si occupa la Procura e che fa finire sotto i riflettori la gestione della Fimit che investe in fondi immobiliari per conto delle casse pensionistiche Enasarco (medici), Inarcassa (ingegneri e architetti), Enpals (lavoratori dello spettacolo) e Inpdap (dipendenti pubblici). Di recente, fino a pochi mesi fa, Caputi che all’epoca dei fatti figurava tra gli azionisti di Valentino, è tornato a occuparsi del mattone con la sua Fimit (che tra l’altro vanta come presidente Antonio Mastrapasqua, presidente dell’Inps dal 2008 per decisione del governo Berlusconi). E si becca una multa dalla Consob per avere eseguito operazioni in conflitto di interessi senza informare adeguatamente le rispettive società, mentre in queste settimane è in testa alle cronache finanziarie per la stampella offerta a Marco Tronchetti Provera nel salvataggio della ex Pirelli Real Estate, oggi Prelios.

L’ULTIMA VENDITA. Nel mirino degli inquirenti non sembrerebbe invece essere finita l’operazione che, lo scorso luglio, ha visto il passaggio della proprietà di Valentino nelle mani di Mayholla for Investment, società del Qatar riconducibile allo sceiccco Hamad bin Kalahlifa al Thani, emiro del Paese. L’operazione da 720 milioni di euro, “Sbigottimento e avvilimento. Preoccupazione per la prosecuzione del progetto industriale ancora in fase di perfezionamento con il Qatar. Desidero che si faccia presto piena luce sulla cessione di Valentino al fondo Permira. Abbiamo fiducia alla magistratura. Questi sono i sentimenti che attraversano noi e i lavoratori nell’apprendere le ultime notizie sulla Valentino – Marzotto. Chiediamo innanzitutto segnali chiari: responsabilità fiscali e progetto industriale devono restare distinti. Si diano garanzie agli oltre 500 lavoratori complessivamente occupati. Subito!”, sottolinea in una nota Marina Bergamin, segretaria generale della Cgil.

LA DIFESA DI GHEDINI. Un sequestro ”infondato” e un’ipotesi di soldi finiti alle Cayman “frutto di un evidente sbaglio”, affermano gli avvocati Piero Longo e Niccolò Ghedini. “Si rileva come tale decisione sia del tutto infondata. Vi sono già agli atti numerose consulenze e precisa documentazione attestanti l’avvenuta regolarità delle operazioni compiute, assolutamente appalesate al mercato e alle autorità di controllo”, sottolineano i due legali. Inoltre, proseguono, “come risulta dalla documentazione bancaria, le plusvalenze derivanti dall’operazione sono state puntualmente dichiarate, assoggettate a tassazione e rimaste pacificamente nell’ambito dell’Unione Europea e, in particolare per la massima parte proprio in Italia. L’ipotesi quindi che fondi siano stati inviati alle Isole Cayman è frutto di un evidente abbaglio”, concludono.

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