«… è un mondo di divise, e il fatto di contrapporre le divise del ventennio non significa altro che mettere in discussione le divise. Il punto dei Disciplinatha è dire “Ok, noi siamo i fascisti, il male assoluto, questo non si discute. Bene, noi dalla merda giudichiamo voi che siete i buoni”. A questo punto ti rendi conto che sono tutti in divisa. Sono in divisa i punk, e guai a chi sgarra, sono in divisa i paninari, lo sono anche quelli con la kefiah. Erano tutti in divisa, e allora anche noi vogliamo le divise…». Dario Parisini, chitarrista dei Disciplinatha, circa la scelta di adottare un’iconografia che si richiamava al ventennio fascista.
Forse è impossibile far luce sul “caso” Disciplinatha più di quanto riescano le precedenti parole di Dario Parisini raccolte nel pregevole documentario di Alessandro Cavazza.
Ed è proprio grazie ad alcuni spunti tratti da questo documentario (inserito nel cofanetto antologico Tesori della patria, Black Fading Records, comprendente tutta la discografia rimasterizzata, un album di inediti e remix 2012) che proveremo a far luce sulla storia del più controverso gruppo/culto rock industrial degli anni ottanta bolognesi e non solo. Venerdì 9 novembre a Bologna, all’interno del Moonlight Festival (Zona Roveri), i Disciplinatha torneranno (per una sola volta, per una sola sera) ad esibirsi dal vivo con una performance live dal titolo: Questa è un’esercitazione.
Nessuna pretesa – peraltro ridicola – di esaustività, nel ricordare i Disciplinatha, più che altro la voglia di ragionare sulla loro sfida alla retorica e magari incuriosire chi non li ha conosciuti.
Formatisi nel 1987 a Bentivoglio (Bo), dopo un esordio con la Attack Punk Records, furono in seguito prodotti dal Consorzio Produttori Indipendenti, incidendo per la I dischi del mulo, registrando in tutto, tra gli anni ottanta e novanta, tre album in studio, un album dal vivo e una raccolta.
Vogliamo cominciare dai titoli? Maciste contro tutti, Un mondo nuovo, A- Raccolta, Primigenia; i Disciplinatha avevano capito che il luogo in cui è concesso dire tutto, è al contempo il posto in cui più difficilmente è possibile dire davvero qualcosa.
La misura di “antagonismo tollerato” rappresentava la linea oltre la quale non era consentito far sgranchire le gambe al coefficiente corrosivo e iconoclasta che, tanto più era domestico, quanto meno era rischioso da spacciare come dirompente. Ma loro non ci stavano, e hanno voluto giocare. Un gioco su diversi piani – linguaggio, iconografia, paradosso – che, per fare un esempio, mostrava giovani Balilla sulle cui divise, al posto del fascio littorio, campeggiava l’aquila di Armani.
Ma l’educazione al dissenso, se è di Stato, risulta di fatto consenso, e così Parisini e soci si resero ben presto conto che era possibile, dal punto di vista iconografico, giocare con i simboli del comunismo (ad esempio) me non sarebbe stato tollerato farlo con quelli del famigerato ventennio fascista.
Insomma hanno avuto la fortuna di vedersi proibire qualcosa, e se la sono presa quella fortuna. Una fortuna che però bisogna essere in grado di sopportare e che ti costringe a diventare equilibrista se, come ricorda nel documentario la bassista Roberta Vicinelli «… ai concerti si rischiava di prenderle da quelli di sinistra e da quelli di destra…».
Perché succedeva? Fraintendimenti, provocazioni portate all’estremo, e chissà cos’altro.
Qualche utile indizio? Scorrere i testi di Tu meriti il posto che occupi per comprendere come l’anatema che i Disciplinatha proponevano si scagliava, prima ancora che contro i dittatori, contro la straziante custodia degli schiavi per le loro stesse catene.
Alle spalle di una barricata tanti bambini cantano. Sopra e sotto alla barricata tanti bambini giocano
La lotta a noi non fa paura: è sponsorizzata. E la lotta non genera timori – qui è sempre firmata
Non c’è più gusto ad essere incazzati, tanto vale fermarsi
Non c’è più gusto ad essere annoiati, tanto vale calmarsi, fermarsi, calmarsi
Sopporta sopporta piega la testa, sopporta sopporta obbedisci
tu meriti il posto che occupi, tu meriti il posto che occupi
E ancora: «La vera disciplina della profezia non è quella del futuro, ma del presente. Profetizzare il presente, cogliere nel presente quello che verrà…» dice nel documentario Massimo Zamboni dei CCCP e anche produttore dei Disciplinatha. Molto bene. «C’è una crisi di valori» sentiamo cantilenare ogni giorno riguardo la politica e i rapporti fra le persone, i Disciplinatha se ne erano già accorti…
(…)
Preoccupante? Si. Il tuo sorriso riformista, ora ritratti – ma c’eri anche tu!
Preoccupante, una conforme ambiguità, una monotona agitata immobilità
preferivo prima, preferivo poi, preferivo ancora, preferivo noi
un mito una bandiera una nazione, parte uno spasmo intacca la digestione
si alza uno stronzo e intona una canzone: “è una crisi di valori!”
Preoccupante non si sente più pensare, preoccupante!
Preoccupante ricominciano a sparare figli della grassa pace continentale
Una preoccupante crisi di valori: dov’è la novità? (Crisi di valori)
Oscar Wilde diceva: «Sono persuaso di vivere in un’epoca in cui solo i cretini vengono presi sul serio, e vivo nel terrore di non essere frainteso». Venerdì 9 novembre a Bologna, la nostra ultima possibilità di fraintenderli. Provocatori, irriverenti, oltraggiosi, i Disciplinatha erano tutto questo, prendere o lasciare…