Per la Grecia “la bancarotta, l’insolvenza, dobbiamo stare molto attenti. Capisco i nostri partner che vengono in pressing su di noi per avere un ritorno agli aiuti, ma il rischio di un default è molto alto. Dobbiamo stare attenti ai limiti da raggiungere”. La dichiarazione che non lascia spazio a equivoci e riporta in uso una parola, il default, che era stata cancellata dal vocabolario ufficiale, è arrivata direttamente dal ministro delle Finanze di Atene, Yannis Stournaras a valle dell’ennesima giornata sull’orlo di una crisi di nervi, e di debito, per la tormentata Grecia. Che questa mattina, dopo la vana attesa del via libera alla nuova tranche di aiuti internazionali a fronte dei “compiti” fatti, è dovuta tornare sul mercato alla ricerca di 5 miliardi di euro per ripagare un uguale ammontare di titoli di Stato che scadono venerdì (di cui una parte in mano alla Bce) e scongiurare così un conclamato default. Alla fine è andato, almeno per oggi, tutto bene. Ma non finisce qui e i costi sono già alti: Atene ha venduto sul mercato titoli per quattro miliardi di euro, nello specifico 2,7 miliardi di bond della durata di un mese con un tasso d’interesse del 3,95% e 1,3 miliardi di titoli a 13 settimane e interesse del 4,2 per cento. Dopodomani, però, si replica alla disperata ricerca del miliardo che ancora manca.
E qui qualche problemino in più potrebbe presentarsi, come sa bene Stournaras. A comprare i bond sono infatti sostanzialmente le banche nazionali che lo fanno solo perché un secondo dopo li possono girare alla Banca centrale europea come garanzia per ottenere altri prestiti. Oltre ovviamente a incassare gli interessi che per la sola asta di oggi ammonteranno alla fine a circa 160 milioni di euro. A questo punto però sorge un inghippo che è all’origine della suspense con cui ci si avvicinerà all’asta di dopodomani, senza la quale Atene sarà costretta a dichiarare game over finendo definitivamente nello status di creditore insolvente.
La Bce ha infatti fissato un tetto di 12 miliardi di euro ai fondi che le banche greche possono ottenere offrendo in cambio di titoli di Stato. Un limite che lasciava alle banche elleniche un margine di altri 3,5 miliardi ma che con l’asta di oggi potrebbe essere stato ormai raggiunto. L’asta di giovedì potrebbe così vedere un’azione molto più contenuta da parte delle banche greche con il rischio che parte del collocamento non trovi compratori .
Eventualità che renderebbe impossibile rimborsare interamente i 5 miliardi di bond che scadono venerdì causando così l’ufficializzazione del default. In realtà nulla impedisce che la Bce chiuda un occhio e alzi temporaneamente la soglia come è già accaduto durante l’estate quando si arrivò a 17 miliardi. Grandi alternative non sembrano esserci visto che nelle casse pubbliche greche non c’è un centesimo e la nuova tranche di aiuti da 32 miliardi, ottenuta dopo l’ennesima manovra lacrime e sangue, è ancora ferma a causa degli screzi tra Unione europea e Fondo Monetario Internazionale sulle modalità di gestione della crisi ellenica e di riduzione del debito greco. Mentre ad Atene si gioca col fuoco a Bruxelles si temporeggia con il rischio che se non si trova presto un accordo che sblocchi i fondi, la Grecia è quindi costretta a cimentarsi sul mercato con ulteriori prove alla “o la va o la spacca”.
Il problema è che questi giochetti avvengono mentre la situazione sociale si fa giorno dopo giorno più drammatica e l’economia continua a sprofondare. Le ultime notizie del bollettino di guerra ellenico segnalano una disoccupazione giovanile ormai prossima alla spaventosa soglia del 60% e una situazione del sistema sanitario con le case farmaceutiche che sospendono la fornitura di farmaci anti cancro agli ospedali che non hanno più soldi per pagarli (la Merck –Serono si è però premurata di far sapere che i cittadini possono continuare a comprarsi autonomamente il medicinale salva vita in farmacia alla modica cifra di 4.000 euro per trattamento).
Intanto il paese è ormai è in svendita. La prossima ondata di privatizzazioni comprende la raffineria Hellenic Petroleum, i porti del Pireo e di Salonicco, la compagnia di acqua pubblica Thessaloniki water , il produttore di nickel Larco, l’aeroporto di Atene, le Poste, la società pubblica del gas oltre a una serie di aeroporti ed infrastrutture minori sparsi nelle isole. Nonostante sforzi e sofferenze quest’anno il Prodotto interno lordo è previsto in calo del 6% mentre nel 2013 contrazione dovrebbe attestarsi al 4,5%. Il deficit oscilla tra l’8 e il 9% del Pil mentre il debito dovrebbe raggiungere il 190% del Pil.
Persino il Fondo monetario ha recentemente avanzato dubbi sull’eccessiva rigidità e durezza delle richieste che gravano sulla Grecia. Il percorso di aggiustamento del deficit fissato per il periodo 2009-2015 prevede infatti interventi pari al quasi il 20% del Pil a fronte di sforzi chiesti a Irlanda e Portogallo che si fermano al 10 e al 9% del Pil. La Grecia ha sinora ricevuto prestiti per circa 240 miliardi di euro (su cui paga interessi di circa il 3-4% e che andranno comunque rimborsati) ma come si vede la crisi economica non fa che peggiorare e avvitarsi su se stessa.
Ieri Atene ha strappato a Bruxelles una proroga di due anni (dal 2014 al 2016) per centrare gli obiettivi di finanza pubblica concordati . Non è necessariamente una buona notizia visto che la concessione sembra essere subordinata all’adozione di ulteriori “strette” e che c’è, ovviamente, un prezzo da pagare. Secondo le prime stime lo slittamento avrà un costo quantificabile tra i 30 e i 40 miliardi di euro tra maggiori oneri che graveranno sulle finanze pubbliche, ritardo nell’accesso ai mercati e rallentamento nell’applicazione delle riforme.
Intanto forte di questi strabilianti successi ottenuti in Grecia, la famigerata Troika (Ue, Bce, Fmi) è sbarcata qualche giorno fa a Cipro, Paese a sua volta in gravi difficoltà economiche anche a causa della vicinanza geografica e finanziaria con Atene. Sul tavolo c’è un assegno da circa un miliardo di euro che verrà staccato in cambio di taglio degli stipendi pubblici, abolizione dell’indicizzazione dei salari all’inflazione e privatizzazioni.