Dopo un anno da quella manganellata, il poliziotto accusato di avere spaccato i denti a una studentessa che protestava a Bologna, andrà davanti al giudice. La Procura del capoluogo emiliano ha infatti richiesto il rinvio a giudizio per P.B., l’agente del VII Reparto mobile accusato di avere sferrato, il 12 ottobre 2011, il colpo che spaccò quattro denti e un labbro a Martina Fabbri. La giovane, iscritta alla facoltà di Lettere e attivista del collettivo bolognese Sadir, quel giorno manifestava davanti alla sede cittadina della Banca d’Italia.
Le indagini della Digos, coordinate dai due pm Morena Plazzi e Antonella Scandellari, hanno richiesto molto tempo, anche perché nessuno degli agenti in piazza quel giorno si fece avanti per aiutare a risalire al colpevole. Fondamentali sono state le fotografie fornite in primo luogo dalla ragazza e dal suo legale Simone Sabattini, che ora si dichiara soddisfatto del lavoro della Procura. Pian piano, fino ad arrivare a questa estate, quelle immagini hanno permesso di risalire a quello che per gli inquirenti è il colpevole.
“Il ragazzo non c’entra niente e lo dimostreremo in udienza”, spiega Savino Lupo, l’avvocato che difende l’agente scelto ora imputato di lesioni gravi. “I filmini a disposizione degli investigatori, non riescono a individuare in maniera precisa l’autore del fatto”, spiega il legale. Al poliziotto P.B. gli inquirenti sarebbero arrivati quasi ‘per esclusione’, secondo Lupo. Ad agosto, infatti, un primo agente finito sotto indagine a causa di uno scudo protettivo a lui riconducibile e presente nelle fotografie del corteo, durante un interrogatorio riuscì a trovare un alibi di ferro: quello scudo lo aveva passato a un suo collega tra una carica e l’altra. Una prassi abbastanza normale durante operazioni di anti sommossa.
Non solo: l’agente che ha sferrato la manganellata a Martina, secondo quanto hanno ricostruito i pm, era l’unico che indossava degli occhiali da sole neri, contrariamente agli altri colleghi che avevano solo il casco. Il primo indagato, invece, non aveva occhiali da sole quella mattina e, come dimostra una foto, stava da un altra parte al momento del fatto. Per lui l’accusa ha chiesto quindi l’archiviazione.
Come si arriva a P. B. visto che comunque il primo indagato non ha fatto nomi? Per l’avvocato Savino Lupo i pm ci sono arrivati attraverso una induzione sbagliata, tanto che il legale si dice pronto a smontare in dibattimento davanti a un giudice. “Non ci sono solo gli occhiali, che il mio assistito poteva anche avere. Ci sono altri particolari che portano ad escludere in maniera tassativa che il colpevole sia lui. E li porteremo a processo”. Un altro punto su cui potrebbe far forza la difesa dell’agente è che non c’è stato un riconoscimento diretto dell’imputato da parte di Martina.