In ogni partita finanziaria, anche quella che appare decisamente fallimentare, c’è sempre qualcuno che incassa. Nulla di nuovo sotto il sole, ma se si parla di banche, allora il tema diventa spinoso. Soprattutto se gli istituti di credito sono spinti sull’orlo del collasso e a intervenire deve essere lo Stato. E’ accaduto in Gran Bretagna con casi di scuola come Royal Bank of Scotland, ma anche in Olanda con Abn Amro e più di recente in Spagna con Bankia.

Con modalità diverse sta accadendo anche con il Monte dei Paschi di Siena che sta pagando lo scotto dell’acquisizione, decisa alla fine del 2007, della Antonveneta dal banco spagnolo Santander alla ragguardevole somma di 10,3 miliardi di euro. Eppure, proprio mentre la Guardia di Finanza fruga tra le carte dell’operazione che ha messo in subbuglio Siena e la “banca dei Ds”, c’è chi ancora difende l’acquisizione. Come l’allora presidente di Mps, già numero uno del primo azionista della banca la Fondazione Mps, Giuseppe Mussari, vicino a Massimo D’Alema e oggi ai vertici della potente Associazione Bancaria Italiana, che è recentemente finito nel registro degli indagati proprio per l’operazione Antonveneta.

Del resto, come Mussari ha spiegato in un’assemblea che per capire la ratio dell’operazione e i suoi costi basta leggere il prospetto informativo dell’aumento di capitale finalizzato all’acquisizione inviato alla Consob nel 2008. E’ lì che si parla dei 9 miliardi sborsati da Mps, ma anche di un passivo di Antonveneta da 7,9 miliardi già evidente nell’aprile dello stesso anno. Cifre importanti che, a distanza di tempo, stanno dimostrando l’insostenibilità di quell’acquisizione che pure venne portata a termine.

Ma quali furono i protagonisti della partita? Se al Monte dei Paschi comandava Mussari, dal lato del Santander c’era invece un altro personaggio chiave della finanza italiana: Ettore Gotti Tedeschi, un nome di recente tornato agli onori delle cronache per la sua burrascosa uscita dallo Ior e per le sue conversazioni con il presidente di Finmeccanica, Giuseppe Orsi. Quando Mps esprime nel novembre 2007 il proprio interesse per Antoveneta, Gotti Tedeschi è già pronto alla cessione. Al suo istituto, infatti, serve denaro per finanziare l’acquisizione della Abn Amro effettuata dal Santander pochi mesi prima. E dieci miliardi di euro sono una bella cifra. Soprattutto se si considera che alla fine del 2005 Abn Amro aveva acquistato Antonveneta per 6,3 miliardi e che dalla cessione al Monte dei Paschi è esclusa Interbanca il cui valore si stima fosse di circa 1,5 miliardi.

Una somma, quest’ultima, che ricorre nella storia Antonveneta-Mps dal momento che la magistratura, secondo quanto riportato da La Stampa, è alla ricerca di una somma analoga transitata su fondi esteri per valutare l’ipotesi di tangenti o di finanziamento illecito ai partiti. Denari esteri a parte, Gotti Tedeschi sa già che l’avventura spagnola nella Penisola è terminata. O quanto meno ridimensionata. Lui è l’uomo di riferimento di don Emilio Botin, il numero uno del Santander anch’esso vicino all’Opus Dei, che, attraverso la holding Santusa, all’epoca aveva in mano una quota di peso tra soci stranieri di Mediobanca e un rappresentante, la figlia Ana, nel consiglio delle Generali. Il futuro numero uno dello Ior è l’uomo che ha orchestrato i movimenti del Santander in Italia anche in termini di posizionamento nel salotto buono della finanza italiana. Ed è soprattutto un banchiere di lungo corso: assieme a Gianmario Roveraro, finanziere dell’Opus Dei rapito e ucciso nel 2006 da tre malviventi, nel 1987 aveva fondato a Milano la Banca Akros, che ha curato svariati collocamenti in Borsa, tra i quali anche quello della Parmalat di Callisto Tanzi.

Gotti Tedeschi ha incontrato Botin nel 1992, quando ha fondato la filiale italiana del Santander, ma ha anche ha guidato il gruppo spagnolo nel capitale del San Paolo Imi sul quale gli spagnoli avrebbero voluto avere un ruolo di primo piano grazie a una partecipazione vicina al 10 per cento. Un disegno che tramonta nel giugno del 2007 con l’annuncio della fusione del gruppo torinese con Intesa. Un brutto colpo per don Emilio e Gotti Tedeschi che comunque ha ancora la fiducia del banchiere spagnolo. Del resto le amicizie in Italia non gli mancano: è vicino a Cesare Geronzi, che è alle prese con l’incorporazione di Capitalia in Unicredit, nonché al banchiere francese Antoine Bernheim, all’epoca presidente delle Generali di Trieste, oltre che espressione degli interessi francesi in Mediobanca, il crocevia degli affari del Paese.

Ma soprattutto è cosciente del fatto che la cessione di Antonveneta rappresenta la buona occasione, a suon di miliardi di euro, per compensare lo smacco subito. Con l’aiuto di Mediobanca, che è il gruppo più attivo in Italia sul fronte operazioni di acquisizioni e fusioni con accordi annunciati (a giugno 2008) per un controvalore da 61,8 miliardi di dollari e una quota di mercato del 46,7%, davanti a Ubs (39,79 miliardi di dollari) e Morgan Stanley (38,06 miliardi). Oltre a contare il banchiere spagnolo tra i suoi azionisti di rilievo, Piazzetta Cuccia è infatti il consulente di Mps nell’acquisizione Antonveneta (la Rothschild di Franco Bernabé, attuale ad di Telecom, lo è per il Santander) assieme a Merryll Lynch, con alla guida Maurizio Tamagnini, che oggi è amministratore delegato del Fondo Strategico di Investimenti chiamato dalla Cassa depositi e prestiti a selezionare le più interessanti opzioni di acquisto per il nostro Paese. Non resta che sperare, per il bene di tutti, che la scelta non ricada su operazioni in stile Antonveneta.

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